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sabato 4 luglio 2020

Dark... un cugino per Lost

Anche "Dark" è giunto a termine. Tre stagioni, di cui le ultime due sono arrivate a discreta distanza dalla prima, causando una certa difficoltà a riprendere il bandolo della matassa, e rendendo necessario un tempestivo rewatch. Peraltro non spiacevole, considerata la miriade di avvenimenti, intrecci e personaggi che questa serie tedesca porta in scena e che si giovano di una seconda visione. Inoltre, rivedere "Dark" dal principio accende oggi una sensazione di tenerezza, ripensando al modo in cui la serie era stata salutata al suo primo apparire su Netflix. A suo tempo, qualcuno la definì la versione tedesca di "Stranger Things". E la vicinanza con l'uscita del primo capitolo di "IT" al cinema, fece persino percepire l'impermeabile giallo di uno dei protagonisti (dello stesso colore di quello indossato dal bambino nel film di Muschietti) come una sorta di inesistente citazione (guai a vestire gli stessi colori di qualcuno più popolare di te nel momento in cui debutti in società). Oggi, a serie conclusa, possiamo dire con certezza che se vogliamo riconoscere in "Dark" una parentela culturale con una fiction precedente, quella è sicuramente con il celebrato "Lost". E non per l'elemento fantastico in comune tra i due show, ma per una comune estetica narrativa. Volontariamente o casualmente (ma non ci credo più di tanto), lo show ideato da Baran Bo Odan è fortemente debitore alla serie di culto statunitense. E - titolo di merito - riesce a riprodurre certe atmosfere e dinamiche sviluppando una proprio personalità, tra l'altro tutta europea. Piaccia o meno, "Dark" è l'esperimento riuscito di un nuovo, intricato, mosaico narrativo che produce una propria mitologia. Cosa che caratterizzava la storica serie di J. J. Abrahms e Damon Lindelof. "Dark", insomma, non si identifica soltanto con il suo spunto fantascientifico, ma con la sua selva di personaggi e la frammentazione del racconto che conferisce loro profondità, episodio dopo episodio, dettaglio dopo dettaglio, secondo il medesimo meccanismo di caos e progressiva ricostruzione che riguardava le vicende dei naufraghi sull'isola e del mistero che li legava. In parole povere, sia pure in modo più lineare e compatto (ed è paradossale da dire) rispetto alla lunghezza fluviale di "Lost", "Dark" riesce a far rivivere le emozioni di un grande arazzo che si completa poco per volta, alimentandosi di aspettative, teorie, attesa. E se di citazioni vogliamo parlare (perché ci sono, e sono tante), notiamo sotto finale quella musicale dedicata a "L'esercito delle 12 scimmie", film di Terry Gilliam che ha in comune con la serie tedesca lo spunto centrale del racconto. Come "Lost", anche il finale di "Dark" potrebbe scontentare qualcuno. Così come non tutti i numerosi enigmi, a serie conclusa, risultano perfettamente sciolti (ma anche qui, come in "Lost", molto è affidato all'attenzione dello spettatore, rifuggendo dagli spiegoni). In definitiva, dunque, le due serie, statunitense e tedesca, hanno in comune certe scelte di scrittura (direi di qualità) e la struttura labirintica, fatta di rimandi e pezzi da incastrare che coinvolgono lo spettatore in un gioco in cui non può restare passivo, pena il caos (e un mal di testa mostruoso). "Dark" non sarà perfetto. E ovviamente gli manca l'originalità che "Lost" presentava. Ma rispetto a tanti epigoni si avvicina davvero tanto ai risultati del prototipo. Ed è per questo che probabilmente sarà ricordato.

martedì 7 settembre 2010

LOST e l'arte di Jared Stumpenhorst


LOST si è ormai concluso. Dopo sei anni e sei stagioni, la serie televisiva più innovativa degli ultimi tempi ha salutato il suo pubblico lasciando dietro di sé una lunga eco di entusiasmi e critiche feroci per il suo finale non consueto, non per tutti, sicuramente spiazzante. Resta la certezza di un successo senza precedenti e di un approccio alla narrazione televisiva destinato a fare discutere ancora. La recente uscita in cofanetto della serie su dvd e la presentazione di quella scena inedita, intitolata The New Man in Charge, che aggiunge alcuni tasselli alla conclusione della vicenda, ha riattizzato in parte l'interesse per questa moderna epica televisiva. Accanto all'immancabile merchandising, relativo a ogni serie di successo, si colloca anche una produzione spontanea,  opera degli appassionati, in qualche caso più interessante dei prodotti commerciali sfornati in serie da aziende blasonate. Abbiamo scoperto l'arte di Jared Stumpenhorst e del suo progetto intitolato LOST 365 dal blog di Jorge Garcia, diario on line che l'attore ha tenuto durante tutta la sua permanenza alle Hawaii, sul set della serie. Il progetto di Jared Stumpenhorst, illustratore di indubbio talento, consisteva nel proprorre ogni giorno un suo lavoro grafico dedicato a LOST nel corso della sesta e ultima stagione dello show. Leggendo i suoi post più recenti, scopriamo che non è riuscito esattamente a mantenere fede a un impegno così costante. Ma non importa. Abbiamo sotto gli occhi un artista dalla personalità intrigante, con influenze derivate dalla pop art e dall'underground, che merita sicuramente attenzione per questo e per i progetti che seguiranno. Le sue sintesi grafiche (vogliamo chiamarle così?) di LOST sono caratterizzate da un'asciuttezza formale suggestiva e dalla capacità estrema di riassumere in pochi elementi un concetto, una scena, un personaggio. Chi ha visto e amato LOST e la sua mitologia non potrà che essere d'accordo. Se alcuni personaggi sono presentati sotto forma di ritratti appena convenzionali, in molti casi sono suggeriti da dettagli che rendono ben presente la loro essenza e il loro destino. Altre volte è un oggetto, la zoommata su un particolare sfuggente, una semplice frase a richiamarci alla memoria una situazione o uno snodo della vicenda seguita in televisione.
Date un'occhiata al bellissimo lavoro di Jared Stumpenhorst, anche quello che non ha a che fare con LOST. E' un artista da tenere d'occhio.





martedì 25 maggio 2010

LOST - Riflessioni finali



Dopo sei anni siamo arrivati al capolinea. LOST, la serie televisiva che è riuscita a frantumare le convenzioni dello spettacolo seriale così come il muro che solitamente separa lo show dal suo pubblico, è finalmente giunta a termine. Ed è salutata, come previsto, da una pioggia di polemiche, di opinioni contrastanti, e commenti... più o meno inutili. Almeno, questo è il mio parere.
Non ci saranno spoiler in questa mia nota di commiato a uno spettacolo televisivo che mi ha tenuto compagnia e divertito così a lungo. Giusto qualche generica riflessione sul fenomeno che ha rappresentato, e l'esposizione del mio personale punto di vista. Opinione che, da nerd, so bene di essere condannato a ripetere e a difendere nei prossimi giorni. Almeno finché il periodo del lutto non sarà trascorso, e LOST potrà essere riposto nella teca che gli spetta, in mezzo alle pietre miliari della storia della televisione. Questo perché senza bisogno di scomodare una parola come “capolavoro”, LOST si è dimostrato, nel corso delle sue sei stagioni, un prodotto televisivo oggettivamente innovativo e del tutto particolare. A partire dall'inusuale metodo narrativo, per proseguire con i sottotesti ermetici, i rimandi intellettuali, gli enigmi e la capacità di coinvolgere lo spettatore in un gioco di società che continuava ben dopo la visione dei singoli episodi.

Non ho intenzione di assumere un atteggiamento estremo. Non mi interessa difendere a oltranza una serie che, ancora oggi, dopo il suo finale, continuo ad apprezzare. Così come non mi riconosco nei delusi, che ritengono la conclusione della saga annacquata, scontata o addirittura... No, mi sono impegnato a non fare spoiler, e manterrò fede alla promessa. Parlerò, infatti, più delle reazioni cui sto assistendo che del finale vero e proprio. Il mio giudizio è comunque desumibile e poco rilevante.

Mi scopro a pensare che esistono dei trend ricorrenti per alcuni eventi mediatici. Continuando a parlare di fiction, ma spostandoci nel mondo degli anime giapponesi, qualcosa di simile la vidi accadere qualche anno fa. Quando la bellissima serie Neon Genesis Evangelion terminò in modo magistrale, ma forse troppo letterario e allegorico per lo zoccolo duro dei fans, affammati di ben altra sostanza. Bene, sono persuaso che con LOST stia succedendo qualcosa di molto simile. Mi torna in mente anche la serie a fumetti Preacher. Un ciclo di storie spettacolari, sia pure con alcune lungaggini nell'ultima parte, e un finale del tutto in carattere con lo spirito del racconto che fu odiato da molti. Non mi fu mai del tutto chiaro il perché. Forse semplicemente perché qualcuno aveva iniziato a denigrarlo anzitempo, sostenendo che fosse meglio interromperlo un capitolo prima del vero epilogo. Affermazione priva di senso, dal momento che il finale della storia, che poteva pure non piacere a qualcuno, era comunque un vero finale. Cosa che sarebbe venuta a mancare se la saga si fosse conclusa là dove qualche bello spirito suggerì a suo tempo di interrompere la lettura.
E' come se la maggior parte delle serie di successo siano destinate comunque a fare i conti, un giorno con la loro conclusione. E questo a prescindere dalla loro reale qualità, con tutte le implicazioni soggettive e sociologiche del caso. Sembra di assistere alla fase di negazione del decesso di una persona cara. L'ira nei suoi confronti per l'improvviso abbandono. L'incredulità. Poi viene la nostalgia. Di solito, almeno, è così. Ma il trend più comune a molti cult degli ultimi decenni è sempre quello. Un istintivo, immediato ripudio.

Ora che anche LOST ha concluso il suo ciclo vitale, assistiamo al ripetersi di questo fenomeno.
Un giudizio al negativo (in qualche caso feroce) poco congruo se si considerano i meccanismi tecnici fisiologici a una serie televisiva. Quando un racconto è condotto con suspence impeccabile, inventiva a iosa, mistero e buon ritmo, riuscendo a far crescere l'attesa di stagione in stagione, beh... è semplicemente normale che una volta sciolti i nodi principali e intrapreso il cammino verso la conclusione dell'avventura pura e semplice, alcune soluzioni possano sembrare tiepide. Spesso ci si dimentica che a contare è il viaggio più della destinazione. Ecco perché il dibattito se il finale di LOST sia bello o brutto è particolarmente sterile. LOST è un prodotto che va osservato e valutato nel suo insieme. Separare la fine dal resto per etichettarla con roboanti etichette denigratorie o glorificanti è puro delirio nerd.

Personalmente, penso che LOST sia finito in un modo non troppo diverso da quello che mi aspettavo da tempo. E non perché sono più acuto di altri o dotato di maggiore fantasia. Ogni storia va seguita a suo modo, e la scoperta della chiave di lettura è parte integrante del gioco che il narratore ci invita a fare in sua compagnia. Una volta ricevute le risposte alle domande più importanti (lasciando alla libera interpretazioni piccoli dettagli che spiegati per esteso perderebbero fascino diventando puerili), è possibile cogliere che LOST è un racconto metaforico, che vive delle sue allegorie e che se il suo finale è... una merda! come in tanti stanno scrivendo in questi giorni... Beh, allora probabilmente lo è anche il finale di un famosissimo film hollywoodiano che ha fatto (non a torto) la storia del cinema. Concetti che si possono condividere o rifiutare, ma che conservano una loro coerenza e pulizia formale. Un lungo spettacolo che è stato e rimane affascinante.

Mi sono impegnato a non fare spoiler, e non tradirò le premesse. Ma se non volete neanche un piccolo, piccolissimo indizio... è meglio che saltiate questo paragrafo e andiate subito alla fine del post. In verità, non svelerò i fatti. Solo una citazione. Una citazione che potrebbe...


SPOILER


...fornire una chiave di lettura ai più attenti.
Il significato di LOST è quello espresso dal poeta John Donne. Nessun uomo è un'isola. Ognuno, per far pace con se stesso e trovare la sua strada, ha bisogno degli altri. Della loro interazione, dei loro errori e del loro aiuto. E' necessario che ognuno svolga il suo ruolo affinché alla fine ci si possa ritrovare. Tutti. Come parti armoniose di un unico grande essere divino. Compreso il concetto poetico alla base di questa parabola, si arriva alla conclusione che LOST non poteva avere un finale diverso. Può piacere o meno. Ma è del tutto coerente e tecnicamente onesto con la mitologia che ce lo ha fatto amare per sei lunghe stagioni.


FINE SPOILER

Le ambiguità, i piccoli misteri rimasti irrisolti, non contano più di tanto. E' possibile che alcuni spunti e personaggi si siano persi per strada, forse per dimenticanza degli sceneggiatori, forse per defezione di qualche interprete. Ma anche in questo caso parliamo di qualcosa di fisiologico a una serie televisiva, e pretendere la perfezione assoluta sarebbe ingenuo.
LOST è e rimane una serie straniante e originale sotto molti aspetti. Nel bene e nel male non sarà facile fare di meglio.

E' stato un bel viaggio.

E non c'è altro da dire, se non... Namaste