sabato 17 aprile 2021

Antebellum

 

Siete tra quelli cui piace il "politicamente scorretto"? Che pensano sia figo?

Ok. "Antebellum", allora, è il film che fa per voi. Dico questo perché il film, opera prima del duo di registi Gerard Bush e Christopher Renz, picchia durissimo ed è politically incorrect dall'inizio alla fine. Non solo. Lo è nel modo giusto. Quello che piace a me. Quando questa visione si applica alle categorie privilegiate, forti, e non a quelle diseredate e messe in un angolo dalla storia. E' scorretto anche nel portare in scena le dinamiche del contrappasso, nel rifiutare soluzioni concilianti e nel suggerire soltanto paura e rabbia. Le etichette di genere che accompagnano "Antebellum" sono tre. "Drammatico", "Thriller" e "Orrore". Credo di potere affermare che sono tutte e tre veritiere. Il film di Bush e Renz passa da un genere all'altro senza che quasi ce ne rendiamo conto, e lo fa assestando calci nello stomaco mica da ridere. Il punto è che "Antebellum" è uno di quei film di cui non è possibile parlare veramente senza sciupare tutto. Sarebbero sufficienti quattro parole in fila per guastare l'esperienza immersiva e ansiogena che si propone. Insomma, è uno di quei film che sarebbe meglio vedere senza sapere nulla della trama. Magari anche niente dello scenario, in modo da affrontarlo e lasciarsi travolgere dai suoi sottotesti nel modo più neutro possibile. Anche se l'esperienza, se siete sensibili, può essere dura. E' stato scritto anche che il film soffre, forse, di una cifra stilistica fin troppo estetizzante. Elemento che potrebbe impoverire la forza viscerale di alcune tra le scene più disturbanti. Può darsi. Di sicuro non ci troviamo di fronte a un film perfetto. Ma io penso che "Antebellum" svolga benissimo il suo sporco lavoro di horror politico. Fa stare male. Ti resta in testa. E ti spinge a chiederti se tra le righe non ci sia tanto, troppo di corrispondente alla nostra realtà contemporanea. Una realtà che spesso ti induce a pensare che il peggio sia passato, quando il passato (come recita la citazione di William Faulkner in apertura) non muore mai, si annida tra noi, e detta l'agenda al presente in modo spaventoso.

mercoledì 3 marzo 2021

Paranormal: dall'Egitto con... terrore


«Se la mente ti fa dei brutti scherzi... Faglieli anche tu!»

"Paranormal" è una serie Netflix egiziana a tema soprannaturale, tratta da una serie di romanzi, molto popolari in patria, scritti da Ahmed Khaled Tawfik. La serie è partita in sordina, ma grazie a un discreto passaparola sta pian piano conquistando una discreta fetta di pubblico. All'estero pare essere andata molto bene, e già si discute se confermarla per una seconda stagione. Nel panorama delle serie TV (o streaming che dir si voglia), dominato decisamente dalla cultura anglofona, "Paranormal" è una proposta davvero bizzarra. Innanzitutto per la sua ambientazione, discretamente diversa da quelle cui siamo abituati, e per il modo di intendere il soprannaturale, il misterioso e l'horror, qui rappresentato riferendosi, volta per volta, a leggende popolari in Egitto, spesso mutuate anche dalla cultura greca. Il plot di "Paranormal" si fonda molto sulla caratterizzazione del suo protagonista, il dottor Refaat Ismail. Personaggio che più antieroico non si può. Medico razionalista schivo, misantropo, nevrotico, il cui mal di vivere ha origine, però, in un trauma infantile legato a qualcosa di tuttora inspiegabile. Esperienza che farà da perno all'intera serie e alle avventure, apparentemente indipendenti, ma in realtà collegate da un sottile filo esoterico, che sconvolgeranno la vita del dottore e di tutta la sua famiglia.


"Paranormal" è quindi un racconto di fantasmi, di magia e di mitologia, con sprazzi horror e una curiosa alternanza tra i toni del dramma e quelli della commedia. L'attore Ahmed Amin, che interpreta Refaat, infatti, è noto in patria per essere soprattutto un comico. Ma il suo personaggio si arricchirà di più strati di episodio in episodio, così come l'avventura si farà sempre più nera e inquietante.
Una piccola, interessante sorpresa, quindi. E' probabile che molti storceranno il naso per la povertà degli effetti visivi (non se ne può più, gente. Seguite il cuore delle storie, è importante anche quello). Eppure "Paranormal" è una perla da scoprire tra le tante proposte, fatte con lo stampino, dal colosso dello streaming. Umorismo nero, paura, personaggi ben caratterizzati. E la costruzione di una mitologia interna che, se la serie sarà confermata per nuove stagioni, promette di crescere ulteriormente. Il mondo è grande. Le storie possono essere raccontate in molti modi diversi, in contesti molto variegati. E "Paranormal" è un ottimo biglietto da visita. Auguriamoci che a questo esperimento (a mio parere riuscito) ne seguano altri altrettanto interessanti.

sabato 6 febbraio 2021

Wandavision... ipotesi sul multiverso

Ok, un commento (pleonastico e non richiesto) sull'ultima puntata (la quinta) di Wandavision lo faccio anch'io. Innazitutto... SPOILER come se piovesse. Quindi evitate di leggere se non siete in pari con la serie. . . 

Io sono abbastanza convinto che Wandavision sia pensato per fare da prologo alla nuova fase dell'intero MCU. Che cioè abbia la funzione di introdurre nuovi spunti, nuovi personaggi, nuove minacce e forse anche un nuovo trend generale. La teoria che furoreggia in queste settimane è che Wanda non sia l'unica responsabile nella creazione dell'universo bolla, ma che sia stata in qualche modo indotta a fare ciò che fa. 

Una teoria validissima, che andrebbe bene in ogni caso. Sia che l'intenzione sia quella di fare di Wanda il nuovo villain della fase 4 che farne l'innesco per l'esordio di qualcun'altro. O qualcos'altro. Si fa un gran parlare di Mefisto (o Mephisto, fate voi!). Da un lato a me sembrerebbe un arrivo ingombrante. Nelle saghe a fumetti, Mefisto operava un ruolo di retrocontinuity, ed era funzionale alla cancellazione dei figli di Wanda dal cast degli Avengers (almeno finché non si è deciso di farli ritornare, in un modo ancora più contorto, come Wiccan e Speed). Introdurre Mefisto, considerato che questi è praticamente il diavolo dell'universo Marvel (proprio il diavolo della tradizione giudaico-cristiana, ma con un look da supercriminale), a mio parere sarebbe un eccesso e farebbe pensare ad altri piani. Una decisa virata mistica per il MCU e l'arrivo di quello che (in termini di potenza e pericolosità) dovrebbe essere il nuovo grande antagonista della macrotrama. Non che questo sia da escludere, ma non mi persuade del tutto. Non così presto, almeno. 

E' sempre possibile che tutto sia da ricondurre alla follia di Wanda (e per il momento lo accoglierei come un twist drammatico accettabilissimo), ma è pur vero che nei fumetti (successivamente) lo sbrocco della strega è stato ricondotto all'intervento di altri agenti negativi (nella fattispecie, il Dottor Destino). E' plausibile anche che (come già fatto in passato) la scrittura in live action ibridi e sintetizzi temi fumettistici. Per esempio riassumendo in un unico demone dimensionale i personaggi di Chthon e Mefisto, ricordando che il primo, nei fumetti, ha svolto un ruolo nello sviluppo dei poteri di Wanda, preparandola per essere il suo tramite terreno. Vedremo quindi Wanda posseduta? Non lo escluderei, ma secondo me non immediatamente. Piuttosto nei film seguenti, di cui Wandavision rappresenterà il trampolino di lancio. 

Un altro aspetto sul quale rifletto molto è l'introduzione del concetto di multiverso. E' praticamente dichiarato, lo stiamo aspettando. Anzi, è qui. Il mio sospetto è che la scelta di rappresentare la vita idilliaca immaginata da Wanda come varie sitcom della storia della televisione, sia qualcosa di più di un semplice gioco citazionistico. Penso che possa avere una maliziosa funzione metaforica. La presentazione di una componente metafilmica e metatelevisiva che diventa simbolo del multiverso. L'arrivo di Pietro con le sembianze di Evan Peters, il Quicksilver più longevo sullo schermo, più amato e più ricordato (dopo la toccata e fuga di Aaron Taylor-Johnson in "Age of Ultron") sembrerebbe suggerirlo. E' un po' come dire tra le righe "Tutto ciò che prima era della Fox adesso è nostro, possiamo usarlo. Lo abbiamo preso da un'altra dimensione, un'altra realtà mediatica, e adesso è qui. Esattamente come Wanda attinge a dinamiche e format da sitcom televisive per vivere una vita spensierata." La battuta di Darcy Lewis («Ha dato il ruolo di Pietro a un altro attore!») avrebbe dunque una valenza pirandelliana. Sì, Pietro è tornato, ma operando uno spostamento da una dimensione dell'immaginario (cinematografico) a un'altra. Eppure è sempre lui, perché il suo ruolo è comunque quello. Se l'intenzione è questa (una lettura pirandelliana del multiverso che attinge anche a precedenti letture filmiche) sarebbe divertentissimo. E anche coerente, se ricordiamo che nei fumetti, a volte è stato teorizzato che Wanda cerca i propri desideri tra tutte le realtà possibili, e una volta individuati li porta nella propria realtà. Detto così è un'astrazione, ma il multiverso e la capacità di direzionare i suoi contenuti potrebbe diventare un modo interessante per spiegare i poteri di Wanda nella versione live action. 

Se tanto fosse vero, il tema della fase 4 potrebbe riguardare qualcosa di simile alla storica Crisi della DC comics negli anni 80, ma anche la più recente Secret War marvelliana, che dopotutto sono la stessa cosa. Una ridefinizione della realtà che sintetizza storyline, personaggi e situazioni prendendole da più universi narrativi per pianificare un nuovo status quo editoriale (o, in questo caso, cinematografico). Questo potrebbe portare gli X-Men della Fox a fare parte in qualche modo del passato del MCU, a dare per scontate le loro avventure già viste (o parte di esse) e ad andare avanti con nuove formazioni mutanti, o nuove versioni dimensionali di alcuni personaggi amati. Nella fattispecie, mi aspetto che il prossimo Deadpool vada a nozze con questo gran casino, diventando addirittura un commentatore esterno al nuovo assetto. E' tutta una menata mentale nerd, ovvio. Eppure qualche traccia esiste. Spero che il Quicksilver di Evan Peters resti con noi in futuro. Almeno occasionalmente. Non avevo gradito la sparizione repentina della prima versione del personaggio. Scelta che ci ha privati di vedere approfondire il forte legame dei gemelli Maximoff, tema che ha un potenziale notevole. Per tutto il resto... Ok. Ricordiamo soprattutto che stiamo solo giocando.

mercoledì 23 dicembre 2020

The Leftovers

 


Non so ricostruire che cosa mi abbia fatto scoprire "The Leftovers" (serie TV prodotta da HBO iniziata nel 2014 e conclusa dopo tre stagioni) con tanto ritardo. Forse perché l'anno del suo debutto per me fu particolarmente duro, e la mia soglia di attenzione in fatto di spettacolo era molto bassa. Oppure perché la serie è stata oggettivamente sottovalutata dai più, e mentre la critica e quella fetta ridotta di pubblico che aveva avuto il piacere di scoprirla la elogiava, altri brand dal fandom agguerrito facevano molto più rumore rubandole la scena. Curioso, considerando che tra le tante serie che nel corso degli anni sono state paragonate alla leggendaria "Lost", "The Leftovers" è una delle poche, forse l'unica a meritare seriamente questo accostamento. Pur trattandosi di un prodotto per molti aspetti differente, e nonostante il fatto che la mano di chi scrive, in collaborazione con Tom Perrotta, l'autore del romanzo alla base di tutto, sia quella di Damon Lindelof, cocreatore di "Lost" e suo principale sceneggiatore.

The Leftovers (sottotitolato "Svaniti nel nulla", che poi sarebbe il titolo italiano del libro di Perrotta) è veramente una strana creatura. Tutto ha inizio con la simultanea sparizione di migliaia di persone nel mondo. Una sorta di rapimento mistico (alcuni, almeno, lo interpretano così) del tutto privo di spiegazione. Evento incomprensibile e traumatico, che lascia milioni di persone alle prese con un lutto difficile da elaborare. Figli, mogli, mariti, genitori, amici, sono svaniti senza una ragione apparente. Non si ha idea di quale sia stata la loro sorte, e quello che hanno lasciato è un mondo ferito, diverso, che a tre anni da quell'evento apparentemente soprannaturale è profondamente cambiato. Lo scenario è quello di una società dove tante certezze sono state ridotte in cenere (la sparizione è un evento isolato o potrebbe ripetersi da un momento all'altro?), e dove lo shock planetario ha prodotto una miriade di nuove forme di fanatismo. Per quanto le persone si sforzino di continuare a vivere normalmente, niente è più come prima. E ognuno reagisce come può, secondo la propria storia, il proprio carattere, le proprie ferite.

Damon Lindelof fa tesoro della narrazione frammentata sdoganata da "Lost", ma mettendola al servizio di una storia più compatta (solo tre stagioni, neanche troppo lunghe). Ancora una volta siamo di fronte a un mosaico le cui tessere sono state incasinate, e anche stavolta dovremo attendere che tutti i pezzi vadano pian piano al loro posto. Ma in "The Leftovers" c'è molto più di un accattivante trucchetto narrativo. La regia è sempre molto curata, il cast superbo, e alcuni frangenti hanno il sapore spiazzante di un'opera surrealista. Un po' alla Luis Buñuel, ma a tratti assume anche toni alla Lars von Trier, intinti in un misticismo che ha qualcosa di perverso. Un romanzo corale che presenta una galleria di personaggi dai destini intrecciati, e una serie di avventure singole che si incastrano significativamente nel disegno generale, risultando in qualche caso dei piccoli film preziosi in sé.

Al tono drammatico, si mischia in modo insinuante un vago elemento grottesco (in qualche caso si potrebbe parlare di vero e proprio humor nero), accompagnato dal commento di una colonna sonora spiazzante come la stessa narrazione, fatta di scelte eterogenee, canzoni folk, opera lirica e altro ancora, che contribuiscono a conferire alla serie un alone di intrigante follia.


Un peccato che (così pare) la serie abbia finito col diventare un prodotto d'essay, mancando la ribalta e sottraendo agli attori Justin Theroux e Carrie Coon (attrice teatrale pluripremiata, e prossimamente protagonista al cinema di “Ghostbusters: Legacy”), ma anche al sempre straordinario Christopher Eccleston e a un'imprevedibile Liv Tyler, l'attenzione che le loro performance avrebbero meritato.
Una serie, dunque, della quale mi sento di consigliare spassionatamente il recupero. Aspettatevi tanti pugni nello stomaco. Ma anche un coinvolgimento che vi toglierà il sonno imponendovi di andare avanti. E di innamorarvi di ogni singolo personaggio, anche quelli apparentemente odiosi. Forse soprattutto quelli.





lunedì 21 dicembre 2020

The New Mutants: Nuovi mutanti... Anzi, vecchiotti

 


«L'ho visto ieri. E' davvero molto brutto. Indifendibile!»

Quando senti queste parola da una persona che ha fatto del cinema la sua professione, blogger e podcaster più che in gamba, e persona che hai imparato a stimare, le tue aspettative scendono veramente ai minimi storici. Certo, c'è quella vocina. Quella che dice che... Ok, lei è brava, è preparata, però... Ci sono state anche alcune volte in cui vi siete trovati in disaccordo. Qualcosa che a lei è piaciuto, mentre tu non riesci proprio a mandarlo giù. E poi qualcosa che invece tu adori, laddove lei trova e schiaccia pulci che tu non riesci a vedere neanche se ti sforzi. Quindi... insomma! Magari è una di quelle volte. Diamo un'occhiata a questo The New Mutants”. Non è detto che il film non ti possa se non altro intrattenere...

Beh, scordatelo. Aveva ragione lei. Da vendere. “Indifendibile” era la parola giusta.

Che qualcosa non andasse era nell'aria già da tempo. Il progetto su un film dedicato ai Nuovi Mutanti, le nuove leve del franchise X-Men, già a loro volta un piccolo classico nell'ambito della lunga e complessa epopea mutante di casa Marvel, era entrato in produzione nel 2017, ben tre anni fa. Si parlava addirittura di una trilogia. Come se fosse una sorpresa. Oggi se produci un film di intrattenimento devi puntare alla serialità, avere l'occhio lungo, e promettere narrazioni di grande respiro. Promettere, però, non significa mantenere. E l'occhio lungo dei proposito commerciali spesso inciampa nelle gambe corte di un modello ormai spremuto fino all'osso, nella giusta incertezza dettata dalla precarietà dei diritti sui personaggi e da una creatività ormai esaurita per quanto riguarda le storie di supereroi. Nelle intenzioni della Fox (oggi 20th Century Studios) e del regista Josh Boone (che firma la sceneggiatura insieme a Knate Lee) la trilogia sarebbe dovuta procedere sotto il titolo "Growing Pains" (Dolori di crescita). C'è di più, Boone voleva fare di "New Mutants" un film del terrore, dove i poteri mutanti potessero diventare metafora di paure adolescenziali e incertezza del domani. Qualcosa che più che ambizioso puzzava già di vecchio solo a parlarne, e forse anche un pochino arrogante.


"
Legion", pregevole serial televisivo iniziato nel 2017 e anch'esso ispirato alle serie mutanti Marvel, con le sue atmosfere da incubo e i suoi personaggi surreali, aveva già conquistato questa frontiera, e fare di meglio era una bella sfida. Inoltre, il film del 2019 "Freaks!" di Adam Stain e Zach Lipovsky, con la sua umiltà di mezzi e una scrittura non banale, aveva dimostrato di poter parlare degli stessi temi in modi alternativi e affascinanti. Più nuovi di questi “Nuovi Mutanti” sicuramente.

Tralasciando i ripetuti rinvii, le riprese aggiuntive e tutti quegli incidenti di percorso che gridavano a gran voce che in questo film ormai non ci credeva quasi più nessuno, il risultato finale è davvero imbarazzante. Non è neppure la povertà tecnica del film, considerato che un titolo indipendente come il già citato “Freaks!” riesce a essere grande con delle buone idee piazzate nel posto giusto. Il problema imperdonabile di “The New Mutants” è la scrittura. Particolarmente svogliata, con dialoghi che bucano i timpani. Stereotipati da far paura più di qualunqu ripresa aggiuntiva volta a rendere “più simile a un horror” l'ennesimo, frettoloso filmetto supereroistico. Sì, frettoloso, nonostante la lunghissima gestazione asinina. In definitiva, definire “televisivo” il film di Josh Boone sarebbe ancora un complimento. E' difficile trovare la parola giusta. E' come la compulsione a grattare un prurito insistente, che sta lì a tormentarti, e senti di doverlo eliminare a costo di strapparti la pelle e lasciare una ferita sanguinante. Pensare che tutto, per la non più esistente Fox (dopo l'acquisizione da parte della Disney), era iniziato nel 2000 con i primi due “X-Men” di Bryan Singer, oggi risulta sconfortante. E in fondo, si intuisce, produzione e regista lo sapevano pure. Dai, un accanimento terapeutico di anni, una fugace uscita e poi una velocissima distribuzione in home video, allegato a riviste popolari nelle edicole. Fa addirittua provare un po' di tenerezza, e rimorso all'idea di sparare sulla croce rossa.

Ma quei dialoghi, Dio buono! Quei dialoghi!

Le intenzioni sembrano essere quelle di confezionare un thriller da camera. Ma quegli scambi di battute (forse prese in prestito da una collezione di fotoromanzi degli anni 80) non solo presentano relazioni e dinamiche assolutamente telefonate, ma pongono la pietra tombale su uno script dove la fantasia è un cadavere che i vermi hanno già digerito da un pezzo. Il peccato più grande è che qualche (vaga) ideuzza che avrebbe potuto rendere il film almeno un pochino simpatico per i veri fans c'era. Alcuni inside joke intriganti, la riscrittura di un noto personaggio di secondo piano, il disvelamento graduale dei poteri dei giovani protagonisti. Tutto, però, è gestito talmente male da fare incazzare anche il più indulgente lettore delle saghe mutanti. Anzi, più sei preparato sui fumetti e meno potrai goderti il film. Non per sterili bizze da fan tradito, ma per l'assoluta piattezza della trasposizione, cosa che ti fa prevedere ogni singolo passo dei personaggi con il risultato di non aspettare nulla se non la fine delle tue sofferenze. Molto presto ci viene ricordato che in questa dimensione narrativa gli X-Men esistono e sono famosi. Ok, perfetto, i vip sono dietro i paraventi. Ma qualche sforzo di logica in più sembrava brutto? Ci si potrebbe chiedere com'è possibile che un gruppo di giovani mutanti inesperti dai poteri potenzialmente pericolosi siano affidati a una struttura dove sembra esserci un'unica scienziata-custode. Rinunciate, la risposta non esiste. Dobbiamo accontentarci del fatto che si chiami Cecilia Reyes, e che è una vecchia conoscenza di noi lettori. E purtroppo non è l'unico punto debole del film.


Basta, infatti, conoscere le caratteristiche di un certo personaggio e del suo background fumettistico perché l'intera dinamica del racconto sia scoperta nel giro di un minuto, bruciando il climax prima ancora che incominci e sprofondando tutto in una galleria del già visto. E sì, perché mentre “New Mutants” stava ancora cuocendo a fuoco lento, nei cinema usciva
“IT” di Andrès Muschietti, e qualcuno si faceva venire pessime idee.

Maisie Williams come Wolfsbane sarebbe andata pure bene. Parliamo di un personaggio che soffre il peso di un'opprimente morale religiosa e convive con una mutazione che la rende affine a una belva, una furia primitiva incatenata da una repressione culturale lacerante. Non mi crea nessun problema la scelta di renderla protagonista di un romance omosessuale. Ci mancherebbe. Quello che trovo contraddittoria è la sua sicurezza, fin troppo serena nel gestire il rapporto con l'amata considerate le premesse castranti. Il suo alter ego licantropico avrebbe dovuto essere espressione di pulsioni sentimentali e sessuali che lottano per liberarsi dai condizionamenti di una vita trascorsa all'insegna della repressione. Invece tutto risulta buttato a caso, senza un vero ordine. Il fatto, poi, che la regia scelga di suggerire il suo orientamento sessuale mostrandola mentre assiste rapita a una scena di bacio lesbo in un celebre show televisivo, è semplicemente irritante e nemico della buona scrittura. Anya Taylor-Joy come Illyana è forse quella che rende di più. Ma è tutto da attribuire al suo naturale carisma e non al modo in cui la sua parte è stata scritta. Non si capisce nemmeno come funzionano i suoi poteri. E in effetti, la sua storia non sarebbe stata facile da riassumere neppure per uno bravo.

Non una delusione, in verità. Solo un senso di spreco e di confusione. Ma soprattutto di tristezza. Tristezza per un film nato zoppo, e definitivamente stroncato da ripetuti rimandi che ne hanno solo prolungato l'agonia. Triste per il suo titolo, che contiene la parola “Nuovi”, posta sulla confezione di un prodotto scaduto e ormai, aimé, immangiabile.











lunedì 30 novembre 2020

Mi ricordo carri, maschere... e pazienza!






"Il Carro e la Maschera" è stata una brillante compagnia teatrale bolognese fondata da Luigi Monfredini che, sotto questo nome, allestiva magnifici spettacoli per ragazzi. Ebbi il piacere di conoscerli e conversare a lungo con Luigi ed Elisabetta Muner quando portarono a Palermo "Il compleanno dell'infanta" dal racconto di Oscar Wilde, al Teatro Europa, dove in quel periodo lavoravo. Uno spettacolo coloratissimo basato sull'animazione di marionette e pupazzi di vario genere, musiche originali e una ciurma di attori-animatori davvero in gamba. Le locandine non erano da meno. E mi mangio le mani ricordando che ne conservai una, tenendola appesa per molto tempo nella mia stanza, ma che negli anni è andata, aimé, perduta. Il tocco finale di questo ricordo è che le locandine di molti spettacoli prodotti da "Il Carro e la Maschera" erano firmate da Andrea Pazienza. Quando ripenso ai miei trascorsi, al teatro e ai fumetti che hanno sempre caratterizzato la mia vita, scorgo un fatale filo rouge.


Per inciso: oggi quelle stesse locandine sono in vendita in rete a prezzi discretamente importanti.

mercoledì 11 novembre 2020

Dalla parte di Sadakiyo...



Quando avevo quattordici anni e iniziavo il liceo ero un ragazzino molto schivo. Mi facevo lunghe passeggiate da solo, e posso capire che apparissi strano. Qualche anno dopo venni a sapere che si era diffusa una leggenda metropolitana che mi riguardava. I compagni di scuola affermavano che salissi sui terrazzi dei palazzi cittadini per cercare di mettermi in contatto con gli extraterrestri, sperando che mi rispondessero. Non c'era niente di vero, ovviamente. E' probabile che la cosa fosse nata come uno scherzo, ma nel tempo aveva finito col mettere radici nei ricordi dei miei coetanei e - ebbi modo di appurare - adesso veniva raccontato come un aneddoto reale. Quando, a diciotto anni, scoprii che si raccontava questo, rimasi sconcertato. Mi sorprende ancora di più, però, realizzare che questa "leggenda scolastica" sia praticamente identica alla storia di Sadakiyo, personaggio di "20th Century Boys", magnifico manga di Naoki Urasawa. E mi chiedo se certe storie non nascano nell'immaginario infantile spontaneamente, forse ispirate dai caratteri delle persone, dalle domande che ci poniamo su di loro quando, per una ragione o per l'altra, non riusciamo a conoscerle davvero. In antropologia si parla di poligenesi e convergenza, cioè di un'idea, una tradizione, una suggestione dell'immaginario, che nasce in molte zone geografiche distanti tra loro, ma tende a convergere assumendo aspetti simili in paesi diversi. Magari è un concetto applicabile anche a certe dinamiche dell'adolescenza, e alle fantasie che la accompagnano. Con la differenza che queste cose, nel manga di Urasawa, Sadakiyo le faceva veramente. Io, invece, non le avevo mai fatte. Come che sia, mi convinco sempre di più che i fumetti abbiano influenzato tutta la mia vita, e che stiano continuando a farlo.