sabato 18 maggio 2019

Flash: ancora sui viaggi nel tempo...


A proposito di viaggi nel tempo e annessi...
Stiamo ancora discutendo sulle incongruenze che scaturiscono da "Avengers: Endgame", e soprattutto dalle sbavature che riguardano i viaggi nel tempo, le loro regole (vere o presunte) e le contraddizioni cui il racconto va incontro. Come dico sempre, il tema del viaggio nel tempo non è mai immune dal generare pasticci, domande senza risposta, paradossi cui non c'è soluzione. Soprattutto considerato che non parliamo di filosofia, ma di storie avventurose che hanno bisogno di uno svolgimento che segue una causa, un effetto e che dovrebbe produrre un finale. Finale nel quale quasi mai quadra tutto. H. G. Wells, uno dei primi a parlare di macchina del tempo, non si pose il problema più di tanto, visto che il suo protagonista si limitava a viaggiare in un lontanissimo futuro e non toccava neanche di striscio eventi storici che potessero avere effetti sulla sua epoca o generare eventuale linee temporali alternative. Non è così con le saghe supereroistiche, dove parte del divertimento consiste proprio nell'andare a spasso in eventi passati e giocare con i riflessi che avranno nel futuro. Si è appena conclusa la quinta stagione di "Flash". Serie TV targata CW, dove i viaggi nel tempo seguono una logica ben diversa da quella enunciata nel film dei fratelli Russo. Nel mondo di "Flash" le dinamiche temporali sono le stesse di "Ritorno al futuro". La linea temporale, cioè, è malleabile, e la modifica di eventi passati avrà un inevitabile effetto su quelli a venire, modificando di fatto la storia, le persone e i loro rapporti. Stavolta, però, la conclusione lascia alquanto perplessi, e ancora una volta semina dubbi e situazioni irrisolte. Stiamo solo giocando, intesi? Ad ogni modo qui si parla di una stagione non ancora conclusa in Italia. Pertanto, leggete solo le l'avete già seguita fino alla fine in lingua originale.

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Le premesse della stagione erano che nella linea temporale da cui proveniva Nora Allen, il villain Cicada non era mai stato identificato e sconfitto. Altra sottotrama importante è il suo rapporto alla Hannibal Lecter- Clarice Starling con Eobard Thawne, l'Anti-Flash, che per tutta la stagione le fa da mentore, dandole suggerimenti e di fatto manipolandola per i suoi scopi. Alla fine della fiera e della stagione, si decide che l'unico modo per neutralizzare il secondo Cicada, Gracie, è necessario privare il suo alter ego del presente del potenziale metaumano e distruggere il suo pugnale che disattiva i superpoteri. Ok. Come già avvenuto in passato (già che ci siamo: ma ci hanno spiegato che ci fa Thawne vivo nel futuro? Non era morto due volte se non tre in modi differenti? Vabbè, manipola da sempre la linea temporale e ne salta sempre uno fuori. Accettiamolo per fede) ... quanto avviene nel presente cancella il futuro. La Cicada femminile (Gracie adulta) si dissolve e il suo pugnale è distrutto. Scopriamo che il pugnale di Cicada era il dispositivo che inibiva i poteri dell'Anti-Flash, in prigione nel futuro, e che distruggerlo lo libera (anche il pugnale svanisce) scatenando di nuovo la nemesi di Barry Allen.

Tutto torna? Direi proprio di no.


Per cominciare: nella prima versione nota della storia, quella riferita e documentata da Nora, Cicada non era mai stato sconfitto. Era svanito come Jack lo Squartatore ai suoi tempi. E negli archivi di Flash non ce n'era traccia. Ma allora com'è possibile che il suo pugnale (ancora funzionante) fosse nelle mani dell'autorità e che venisse usato come dispositivo inibente per i metaumani? Com'è possibile che le cronache non riportassero un fatto così importante? Come poteva il team Flash non saperlo. E soprattutto chi aveva sconfitto Cicada? Che fine aveva fatto? E per dirla tutta... se nel tempo di Thawne il pugnale scompare (non c'è mai stato), non dovrebbero essere modificati anche tutti i fatti che hanno portato alla sua cattura? I suoi poteri non erano mai stati annullati. Mistero della fede supereroistica.
Inoltre, se Gracie non diventerà mai Cicada... questa non dovrebbe mai essere arrivata dal futuro nel nostro tempo. Tutte le sue vittime dovrebbero essere vive, tutti i danni fatti ripristinati. Persino suo zio, il Cicada originale dovrebbe essere ancora vivo. Invece no. Con una coerenza del tutto simile a quella di "Avengers: Endgame", dove ci viene spiegato che la storia non si cambia, si generano solo linee temporali alternative, ma poi ci viene poi mostrato un Capitan America invecchiato, tanto da indurre i registi a fornire una forzata spiegazione extrafilmica, Cicada si dissolve (perché non è mai arrivata a nascere) ma lasciando intatti nel presente tutti gli effetti delle sue azioni.
La risposta, come già in "Avengers: Endgame", è sempre la stessa. Se giochi con i viaggi nel tempo, ti divertirai e farai divertire. Ma dopo ci sarà da discutere parecchio, e molte cose non torneranno. Stabilire regole narrative iniziali è un buon proposito, ma difficile da mantenere. Non si scappa. Queste avventure contano per il balletto, le piroette, le emozioni che suscitano. La razionalità sta di casa altrove. E l'estetica non si applica necessariamente ai sogni. Sono per l'appunto... sogni. Varianti fantastiche della realtà. E vanno trattate per quello che sono. Con un applauso se ci fanno svegliare con un sorriso, una smorfia se ci alziamo dal letto con l'amaro in bocca.

lunedì 13 maggio 2019

Resolution (2012) di Justin Benson e Aaron Moorhead



“Resolution” (2012) è il film horror che ha segnato l'esordio del duo Justin Benson e Aaron Moorhead, che si sarebbero fatti notare da un pubblico più vasto un paio d'anni più tardi con il popolare (e altrettanto bizzarro) “Spring”, da molti definito una sorta di “Twilight per adulti”.
Ma il debutto avvenuto con “Resolution” è ancora più indie, ancora più strano e sotto certi aspetti controverso. Un film indipendente fino al midollo, essenziale e girato benissimo con un pugno di attori e poche location rimediate. Non c'è da soprendersi che, a differenza di “Spring”, ambientato sullo sfondo degli splendidi paesaggi pugliesi e forte di una vena romantica, abbia avuto una distribuzione molto più limitata, e per quanto i consensi non siano mancati, riceva anche bocciature da chi non è interessato a leggere i sottotesti nascosti (ma neanche tanto, in fondo) dietro la sua narrazione ellittica e la confezione da budget limitato.

Michael e Chris sono amici dall'infanzia. Michael oggi è un uomo sposato, che lavora come grafico e ha una vita anonima, ma che procede senza troppi scossoni. Chris invece conduce un'esistenza deragliata. E' un tossico dedito al consumo di crack e ha imboccato un cammino autodistruttivo senza ritorno. Un giorno, Michael riceve via mail un collage di video che mostrano Chris in un luogo sperduto, intento a drogarsi e a compiere azioni sconnesse in palese stato di alterazione. Michal decide così di cercare il vecchio amico, raggiungerlo nella casupola in mezzo ai boschi in cui si è rifugiato e imporgli una settimana di astinenza nella speranza di persuaderlo a entrare in riabilitazione. E' l'inizio di una settimana da incubo, in cui la convivenza tra Chris, incatenato a una tubatura, e Michael nel vecchio casolare susciterà l'attenzione di una presenza invisibile la cui natura e le cui intenzioni sono tutte da stabilire.


“Resolution” (Risoluzione, inteso anche come “Soluzione” o “Traguardo”) non è un film per tutti. Ed è un film che porta in modo riconoscibilissimo il marchio che Benson e Moorhead hanno definito con le loro opere successive. Come “Spring” è un horror e nello stesso tempo non lo è. E' un film indipendente che gioca con determinati spunti, ma li sovverte, li declina in modi inconsueti e trasforma quello che ci si potrebbe aspettare in altro. In un contesto povero, in cui tutto è affidato alla recitazione (ottima!) dei due protagonisti, impegnati a lottare psicologicamente e a volte fisicamente in nome di un'antica amicizia, la trama dichiaratamente soprannaturale si insinua in modo subdolo, prendendo in prestito elementi dal cinema di genere e creando un puzzle allegorico che non condurrà a nessun effetto speciale, a nessuno spauracchio fotografato in campo. E sarà lo spettatore, sorpreso o sgomento a seconda delle sensibilità, a dover dare un senso al racconto.

Non è possibile evitare (come hanno già fatto in tanti) gli accostamenti con “Evil Dead” e soprattutto “Quella
casa nel bosco”. Parliamo qui non del film di esordio di Sam Raimi, ma del remake di “Evil Dead” realizzato da Fede Alvarez nel 2013. Anche lì il McGuffin iniziale era il tentativo di riabilitazione di un'amica tossicodipendente, e l'infelice scelta di rifugiarsi in una magione fatiscente in mezzo al nulla, già teatro di drammi stregoneschi e dove si trovava nascosto il famigerato libro dei morti. In “Resolution” abbiamo echi di tutto questo, ma in una forma molto più stilizzata. E' chiaro che nella casupola cadente in cui si svolge lo psicodramma tra i due amici sono avvenuti fatti terribili, e che molte tracce, confuse ed enigmatiche, sono seminate in ogni angolo. Avvertiamo echi di found footage, con il ritrovamento di supporti visivi e audio (che ci ricordano, questi, l'originale “Evil Dead”). Ma chi si aspetta la macelleria grottesca di quella scuola, resterà deluso. Ancora più sfumati sono i riferimenti a “Quella casa nel bosco”, film di Drew Goddard del 2012, pellicola riuscita che cercava di dare un senso globale a corsi e ricorsi di tanto cinema di genere. Ma nella sua povertà formale, nella sua essenzialità, “Resolution” forse va anche oltre. Innanzitutto perché rifugge da spiegoni e preferisce suggerire. Ma anche per la scelta di affidare solo all'atmosfera, alle aspettative e alla stessa intuizione dello spettatore, la risoluzione di cui parla il titolo.
Il racconto, che si sviluppa in pochi giorni, è irto di tracce, di sospetti, di teorie e di personaggi che fanno apparizioni fugaci. Le informazioni fornite sono soltanto delle esche su cui lavorare di fantasia. Come dice il personaggio (forse quello più inquietanti di tutti) dell'antropologo: «Un aborigeno australiano non sa niente di alieni, fantasmi o demoni. Ognuno dà il nome che vuole all'infinito.» E contemporaneamente fa un gesto, tocca qualcosa, mostra qualcosa che potrebbe essere rivelatore della metafora alla base del film.
Chi è dunque il mostro, il demone, il fantasma, la presenza diabolica (o come sceglierete di chiamarla) che manipola le vite dei protagonisti e di quanti girano loro intorno? Che ha scelto una vecchia casa in mezzo ai boschi come teatro, e sembra suggerire più che causare diversi snodi alla vicenda? E perché tutto sembra ruotare intorno al personaggio di un tossico, di un fattone che non vuol saperne di interrompere la sua corsa verso l'autodistruzione? Siamo sicuri che sia soltanto un pretesto? Tra presenze di redneck criminali, nativi americani dai modi enigmatici, ambigui venditori porta a porta, sette religiose e scienziati che più pazzi non si può, “Resolution” sembra mischiare le carte di un gioco da tavolo e invitare chi guarda a trovare la soluzione del rompicapo. Anzi, la sua risoluzione.
Un esercizio di cinema essenziale che Benson e Moorhead continueranno in seguito con “The Endless”(film di cui sono autori, registi e anche interpreti), che non è un seguito di “Resolution”, ma che in qualche modo ne riprende alcuni temi. Un cinema indipendente che usa il genere horror per parlare di stili, di narrazione e rapporto con le storie che siamo abituati ad ascoltare. Con quello che vogliamo, ci aspettiamo, desideriamo davvero ascoltare, vedere, assistere.

Un cinema della suggestione, più che horror. Grande nella sua piccolezza formale, e a suo modo coraggioso.

mercoledì 8 maggio 2019

Nessun perdono per i vivi - Campagna Kickstarter


Sosteniamo con piacere il progetto "Nessun perdono per i vivi" e la campagna Kickstarter volta alla sua realizzazione.Daniele Misischia, regista della sorpresa horror italiana della scorsa stagione "The End? L'Inferno Fuori", qui nelle vesti di sceneggiatore, propone un fumetto che parte da uno spunto crime per deflagrare nell'orrore. Alle matite, il bravo Stefano Cardoselli. Un progetto mediatico composito, che vede il volume al fumetti come primo step di un cammino artistico che culminerà in un film per il grande schermo, sempre diretto da Daniele Misischia. Invitiamo tutti a seguire e sostenere il crowdfunding, forti della riuscita esperienza cinematografica dello scorso anno. Abbiamo autori che meritano attenzione. Coltiviamoli. Come fiori in serra.



venerdì 3 maggio 2019

Doom Patrol, la serie TV



Mi sto finalmente mettendo in pari con "Doom Patrol", seconda serie TV a uscire dopo "Titans" per piattaforma streaming DC Universe.
Per cominciare, direi che si conferma l'attitudine della DC a centrare il bersaglio con produzioni seriali televisive, fallendo invece al cinema, nel seguire frettolosamente i passi della Marvel-Disney. "Doom Patrol" si presenta ufficialmente come uno spin off del già interessante "Titans", per quanto questa definizione gli venga stretta. I personaggi sono stati introdotti in una sola puntata del serial madre e oggi sono sdoganati in una serie autonoma che segue uno stile tutto suo e modifica il cast, aggiungendo un sempre carismatico Timothy Dalton nel ruolo di Niles Caulder e Brendan Fraser come Cliff Steele. In comune con "Titans" resta quel suggerimento di avventure ai margini di un mondo più vasto, dove i supereroi celebri sono nominati, ma restano invisibili. Una retrovia in cui i protagonisti, qui ancora più che in "Titans" devono sgomitare per trovare un loro ruolo. Se con i Titani si era scelta un'atmosfera ibrida tra il crime e l'horror, in "Doom Patrol" il registro è più ironico e a tratti (giustamente) demenziale. Senza escludere espliciti riferimenti al ciclo scritto da Grant Morrison, che rilanciò a suo tempo la serie a fumetti introducendo più di un personaggio che qui la fa da padrone. Il villain Mr. Nobody, interpretato dal "josswehdiano" Alan Tudyk è sicuramente uno dei punti di forza della serie, usato in modo metanarrativo, a volte come io narrante e commentatore degli eventi (anche se forse la sua resa farà storcere il naso a chi ama fare le pulci agli effetti visivi). 

Ricordiamo, inoltre, che nei fumetti, Doom Patrol e X-Men nacquero insieme, influenzandosi su parecchi punti (compresa una certa sedia a rotelle). Ma se i mutanti Marvel hanno preso la strada della critica sociale e della metafora della diversità che lotta per i suoi diritti alla vita, la Patrol è forse ancora più inquietante. Simbolo di una diversità sì mostruosa, ma che può alludere anche a un disadattamento psicologico, uno scollamento dalla realtà che tende più alla crisi esistenziale e a una lotta per restare in vita e in piedi in un mondo privo di vero senso. Gli antieroi della Doom Patrol, nella serie TV come nei fumetti, non sono supereroi reietti. Sono reietti con superpoteri, presentati come una sorta di famiglia Addams chiamata dal caso a occuparsi di faccende bizzarre che sono decisamente troppo pazze, troppo oltre perché gli eroi canonici possano gestirle.
Mentre la prima stagione marcia verso la conclusione, l'esperimento sembra riuscito e ci da motivo di attendere il prossimo arrivo di "Swamp Thing", per la stessa piattaforma streaming, che recupererà (così pare) temi e atmosfere del celebre ciclo di Alan Moore.
Un altro modo di intendere gli eroi super dei fumetti e un altro modo di tradurli in live action. Curioso anzicheno. Peccato che di queste serie, almeno finora, se ne parli così poco.


martedì 30 aprile 2019

Il Sipario di Cartone: Ultima serata



L'ultimo (per ora) appuntamento con Il Sipario di Cartone è per il 3 Maggio ore 19 presso la Biblioteca Salvatore Rizzuto Adelfio. Vedremo insieme "Heavy Metal", film d'animazione diretto da Gerald Potterton nel 1981. Una narrazione fantascientifica a scatole cinesi, in cui un racconto fa da cornice a più episodi, ambientati su pianeti diversi e diverse epoche, ma in qualche modo tra loro collegati. Una sarabanda di autori e storie che provengono dall'esperienza della rivista Metal Hurlant e dai tanti artisti del movimento de Les Humanoids. Prima della proiezione, la consueta performance teatrale sarà affidata alla voce e alla grinta di Mario Clames, che reciterà un monologo da "Devilman" manga capolavoro di Go Nagai. Per il fumetto, per il teatro, per il cinema e per una condivisione delle arti... venite a trovarci. L'ingresso è gratuito.



Abbiamo deciso di intitolare questa rassegna “Il Sipario di Cartone” con l'intento di presentare due linguaggi, anzi tre, accomunati dalla componente dell'arte grafica. Vedremo insieme tre film di animazione, scelti con un criterio che potremmo definire... non dico anticommerciale, ma volto al recupero di opere particolari, alcune vintage, ma in grado di fornire spunti di riflessione che vadano oltre l'attuale trend di intrattenimento.


Ma prima di vedere il film, stasera, il sipario di cartone di aprirà su una performance di stampo teatrale. Un teatro applicato al media fumetto. Quindi, la viva voce dell'attore e il suo gestire per passare poi alle immagini animate sullo schermo.
Perché?
Noi di Altroquando abbiamo da sempre fatto vivere i fumetti in contiguità con qualcosa che apparentemente c'entrava poco. Quando avevamo la libreria, i fumetti erano accanto alle produzioni underground, all'antiproibizionismo, alle battaglie per i diritti LGBT e alle mostre di artisti con attitudini variegate. Nella nostra nuova forma di associazione culturale, attraverso anche l'attività sul canale Youtube, abbiamo recuperato l'interesse per il teatro. Una delle poche forme d'arte che si possono veramente definire viventi. Il teatro è arte viva perché raggiunge la sua espressione massima durante la performance attoriale, davanti a un pubblico che fruisce il lavoro di chi sta facendo spettacolo nel momento stesso in cui questo si attua. Il fumetto, dal canto suo, è una forma d'arte... la nona... tuttora ambigua e soggetta a mutamenti. Da un lato è ancora fortemente sottovalutata da molti. Da un altro, lo sdoganamento del mondo nerd sta dando vita a una nuova forma di omologazione. E di casta. E sta portando a un generale appiattimento, dove il potenziale creativo del linguaggio fumettistico si arena nelle mode correnti e in dinamiche autocelebrative che girano a vuoto, macinando soldi e poco altro.
Decenni fa, i più maturi se lo ricorderanno, i fumetti furono portati in televisione con un esperimento rimasto isolato. Oggi noi cerchiamo di raccogliere quel testimone e di usare le opere a fumetti come strumento per dimostrare che la narrazione per immagini può essere veicolo di una forza testuale che va oltre il mezzo. Non solo per la moda dilagante dei cinecomics, ma come un immaginario comunicante con altre forme espressive, altre discipline. Un crocevia mediatico che può aprire porte impensate e condurre alla conoscenza e all'amore per altre arti (o produrne di ibride e di nuove). Oggi cominceremo con la forma del monologo. Domani, se l'esperimento susciterà risposte adeguate, potremmo progettare uno spettacolo più complesso. Chissà.



lunedì 29 aprile 2019

Ripensando a "Avengers: Endgame"



A distanza di un anno da “Avengers: Infinity War” torniamo a parlare di Marvel Cinematic Universe e del suo attesissimo atto conclusivo della prima importante saga. Un'operazione commerciale che porta sul grande schermo le logiche seriali del fumetto popolare supereroistico, suscitando entusiasmi e detrazioni. In ogni caso un grosso successo di pubblico. Solo un vlog, e qualche riflessione sul cinecomic del momento.SPOILER presenti. Quindi solo per chi ha già visto il film, Ok? Senza estremismi, senza tecnicismi... Solo voglia di parlarne.