lunedì 13 maggio 2019

Resolution (2012) di Justin Benson e Aaron Moorhead



“Resolution” (2012) è il film horror che ha segnato l'esordio del duo Justin Benson e Aaron Moorhead, che si sarebbero fatti notare da un pubblico più vasto un paio d'anni più tardi con il popolare (e altrettanto bizzarro) “Spring”, da molti definito una sorta di “Twilight per adulti”.
Ma il debutto avvenuto con “Resolution” è ancora più indie, ancora più strano e sotto certi aspetti controverso. Un film indipendente fino al midollo, essenziale e girato benissimo con un pugno di attori e poche location rimediate. Non c'è da soprendersi che, a differenza di “Spring”, ambientato sullo sfondo degli splendidi paesaggi pugliesi e forte di una vena romantica, abbia avuto una distribuzione molto più limitata, e per quanto i consensi non siano mancati, riceva anche bocciature da chi non è interessato a leggere i sottotesti nascosti (ma neanche tanto, in fondo) dietro la sua narrazione ellittica e la confezione da budget limitato.

Michael e Chris sono amici dall'infanzia. Michael oggi è un uomo sposato, che lavora come grafico e ha una vita anonima, ma che procede senza troppi scossoni. Chris invece conduce un'esistenza deragliata. E' un tossico dedito al consumo di crack e ha imboccato un cammino autodistruttivo senza ritorno. Un giorno, Michael riceve via mail un collage di video che mostrano Chris in un luogo sperduto, intento a drogarsi e a compiere azioni sconnesse in palese stato di alterazione. Michal decide così di cercare il vecchio amico, raggiungerlo nella casupola in mezzo ai boschi in cui si è rifugiato e imporgli una settimana di astinenza nella speranza di persuaderlo a entrare in riabilitazione. E' l'inizio di una settimana da incubo, in cui la convivenza tra Chris, incatenato a una tubatura, e Michael nel vecchio casolare susciterà l'attenzione di una presenza invisibile la cui natura e le cui intenzioni sono tutte da stabilire.


“Resolution” (Risoluzione, inteso anche come “Soluzione” o “Traguardo”) non è un film per tutti. Ed è un film che porta in modo riconoscibilissimo il marchio che Benson e Moorhead hanno definito con le loro opere successive. Come “Spring” è un horror e nello stesso tempo non lo è. E' un film indipendente che gioca con determinati spunti, ma li sovverte, li declina in modi inconsueti e trasforma quello che ci si potrebbe aspettare in altro. In un contesto povero, in cui tutto è affidato alla recitazione (ottima!) dei due protagonisti, impegnati a lottare psicologicamente e a volte fisicamente in nome di un'antica amicizia, la trama dichiaratamente soprannaturale si insinua in modo subdolo, prendendo in prestito elementi dal cinema di genere e creando un puzzle allegorico che non condurrà a nessun effetto speciale, a nessuno spauracchio fotografato in campo. E sarà lo spettatore, sorpreso o sgomento a seconda delle sensibilità, a dover dare un senso al racconto.

Non è possibile evitare (come hanno già fatto in tanti) gli accostamenti con “Evil Dead” e soprattutto “Quella
casa nel bosco”. Parliamo qui non del film di esordio di Sam Raimi, ma del remake di “Evil Dead” realizzato da Fede Alvarez nel 2013. Anche lì il McGuffin iniziale era il tentativo di riabilitazione di un'amica tossicodipendente, e l'infelice scelta di rifugiarsi in una magione fatiscente in mezzo al nulla, già teatro di drammi stregoneschi e dove si trovava nascosto il famigerato libro dei morti. In “Resolution” abbiamo echi di tutto questo, ma in una forma molto più stilizzata. E' chiaro che nella casupola cadente in cui si svolge lo psicodramma tra i due amici sono avvenuti fatti terribili, e che molte tracce, confuse ed enigmatiche, sono seminate in ogni angolo. Avvertiamo echi di found footage, con il ritrovamento di supporti visivi e audio (che ci ricordano, questi, l'originale “Evil Dead”). Ma chi si aspetta la macelleria grottesca di quella scuola, resterà deluso. Ancora più sfumati sono i riferimenti a “Quella casa nel bosco”, film di Drew Goddard del 2012, pellicola riuscita che cercava di dare un senso globale a corsi e ricorsi di tanto cinema di genere. Ma nella sua povertà formale, nella sua essenzialità, “Resolution” forse va anche oltre. Innanzitutto perché rifugge da spiegoni e preferisce suggerire. Ma anche per la scelta di affidare solo all'atmosfera, alle aspettative e alla stessa intuizione dello spettatore, la risoluzione di cui parla il titolo.
Il racconto, che si sviluppa in pochi giorni, è irto di tracce, di sospetti, di teorie e di personaggi che fanno apparizioni fugaci. Le informazioni fornite sono soltanto delle esche su cui lavorare di fantasia. Come dice il personaggio (forse quello più inquietanti di tutti) dell'antropologo: «Un aborigeno australiano non sa niente di alieni, fantasmi o demoni. Ognuno dà il nome che vuole all'infinito.» E contemporaneamente fa un gesto, tocca qualcosa, mostra qualcosa che potrebbe essere rivelatore della metafora alla base del film.
Chi è dunque il mostro, il demone, il fantasma, la presenza diabolica (o come sceglierete di chiamarla) che manipola le vite dei protagonisti e di quanti girano loro intorno? Che ha scelto una vecchia casa in mezzo ai boschi come teatro, e sembra suggerire più che causare diversi snodi alla vicenda? E perché tutto sembra ruotare intorno al personaggio di un tossico, di un fattone che non vuol saperne di interrompere la sua corsa verso l'autodistruzione? Siamo sicuri che sia soltanto un pretesto? Tra presenze di redneck criminali, nativi americani dai modi enigmatici, ambigui venditori porta a porta, sette religiose e scienziati che più pazzi non si può, “Resolution” sembra mischiare le carte di un gioco da tavolo e invitare chi guarda a trovare la soluzione del rompicapo. Anzi, la sua risoluzione.
Un esercizio di cinema essenziale che Benson e Moorhead continueranno in seguito con “The Endless”(film di cui sono autori, registi e anche interpreti), che non è un seguito di “Resolution”, ma che in qualche modo ne riprende alcuni temi. Un cinema indipendente che usa il genere horror per parlare di stili, di narrazione e rapporto con le storie che siamo abituati ad ascoltare. Con quello che vogliamo, ci aspettiamo, desideriamo davvero ascoltare, vedere, assistere.

Un cinema della suggestione, più che horror. Grande nella sua piccolezza formale, e a suo modo coraggioso.

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