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sabato 1 luglio 2017

Palermo Pride 2017


Quest'anno ero partito stanco... anche perché da quattro anni vado al Pride da solo. E dopo aver contribuito, nel nostro piccolissimo, a sdoganarlo nella città di Palermo, per me ha un gusto agrodolce. Però una volta sul posto sono stato contagiato dall'atmosfera di festa. E dal fatto che il Pride di Palermo fa parte della mia storia personale come di quella di tutti i fratelli e le sorelle, LGBT e non, con i quali ci raduniamo ogni anno per questa grande manifestazione. Alla
 signora palermitana che in via Roma ha mormorato alle mie spalle «Ma cosa vorrebbero comunicare?» rispondo con colpevole ritardo: «A lei niente, madame. Solo così si può commentare una domanda che pretende di avere già in sé una risposta. Perché la sua non è una domanda. E' un giudizio. E dei più ipocriti. Se proprio vuole una risposta circostanziata, se davvero ha voglia di comprendere, inizi studiando un po'. Informandosi da dove ha origine questa festa e questa voglia di uguaglianza senza aver più timore di nulla.»





























domenica 25 giugno 2017

Quando la Pantera Nera affrontò il Klan: una lotta per tutti


Nel 1973, sulla testata "Jungle Action" lo sceneggiatore Don McGregor e i disegnatori Rich Buckler e Billy Graham, realizzarono un gioiello a fumetti destinato a distinguersi nella produzione Marvel nei decenni successivi, quasi mai raggiunto per intensità ed equilibrio tra testi e illustrazioni. Un pugno allo stomaco, in cui Pantera Nera, il primo supereroe africano in assoluto, si muoveva nella cosiddetta civiltà statunitense scontradosi contro l'ottusa violenza del Ku Klux Klan. Una rappresentazione avventurosa di un conflitto politico reale, quello tra l'organizzazione razzista americana e il partito per i diritti dei neri, gemmato dal movimento di Martin Luther King, ma caratterizzato da posizioni meno concilianti, da cui l'eroe Marvel prendeva direttamente il nome. Indimenticabile la scena in cui T'Challa, in casa dei genitori di Monica, vede attraverso il vetro chiuso di una finestra la bottiglia incendiaria volare nell'aria per colpire l'abitazione. Si tuffa in avanti infrangendo il vetro prima che la bottiglia tocchi la finestra, la afferra al volo e la scaglia lontano, nella direzione da cui è venuta. Una sequenza che oggi definiremmo cinematografica, che sulla tavola a fumetti aveva una potenza visiva incredibile. Quella storia aveva una densità politica non scontata. Gli avversari dell'eroe non erano geniali, né particolarmente potenti. Ma abbastanza numerosi, abbastanza pieni di odio da poterlo mettere ugualmente in seria difficoltà. Altra famosa scena, è la fuga di T'Challa legato alla classica croce ardente del Klan. In quel ciclo di storie, assistevamo alla rappresentazione epica e fantasiosa di una reale lotta politica e culturale. 

Da cosa nasceva il Klan, i suoi fanatismi, i suoi delitti? Da dove se non dalla paura di essere soppiantati, contaminati culturalmente, dal timore di perdere privilegi, anche da poco, a favore del popolo nero? Da dove nasceva lo slogan storico «Ammazza il negro prima che sposi tua figlia!»? 
Paura. Paura intrecciata a ignoranza, annegate in un oceano di superficialità. L'essere umano vive secondo cultura e non secondo natura (altrimenti non si sposerebbe, non sarebbe tendenzialmente monogamo, non avrebbe leggi e si guadagnerebbe il cibo e lo spazio vitale a suon di mazzate... e in effetti i trogloditi non sono del tutto estinti). La cultura genera consuetudini, norme, ma anche nazionalismi e pregiudizi. Paure che nel corso della storia allargano o spostano il loro perno di attenzione, soprattutto in momenti di crisi generale. Per questo, nel mese del Pride, voglio ricordare quando la Pantera Nera affrontò non la sua nemesi Klaw, o il Dottor Destino o un altro nemico in costume. Ma un avversario storico, reale, un avversario della sua gente, che li temeva e odiava in modo del tutto insensato. A chi in questi giorni, come tutti gli anni, va cianciando di etero Pride, o sussurra sui social che verrà il giorno che a essere discriminati saranno gli eterosessuali, e che dovrebbero essere loro a manifestare e a riaffermare la loro identità "a rischio", dedico questa tavola e il ricordo di una lotta memorabile, nella storia prima che nei fumetti. La lotta per il diritto a esistere. La lotta contro una paura che non ha ragion d'essere. Contro l'affermazione ossessiva della non appartenenza a una categoria che chiede solo un riconoscimento di diritti pari a qualunque cittadino pagante le tasse. La dedico a tutti i fratelli e sorelle LGBT, immigrati, diseredati e oggetto di discriminazione. E per ricordare che il fumetto, anche quello fracassone e bambinesco di supereroi, è riuscito a volte a essere profondamente serio. Un'altra celebre scena della saga, in una doppia splash page mostrava Pantera che agguantava due fuggitivi (un bianco e un nero) sollevandoli letteralmente da terra in un chiaro riferimenti allegorico alla bilancia della giustizia. 

Bravi, McGregor, Buckler e Graham. Viva la Pantera Nera e tutti coloro che resistono.



sabato 18 giugno 2016

Palermo Pride 2016



Palermo Pride 2016... il settimo a Palermo.

Solo poche parole, dopo aver vissuto ancora una volta la parata.

Va da sé che quest'anno la ricorrenza del Pride (festa politica) che trova la sua origine nei moti di Stonewall, dove un gruppo di transessuali (più di altri) trovarono per la prima volta la forza di resistere alle vessazioni arbitrarie di una polizia deviata, fosse legato alla tragedia di Orlando. Un episodio drammatico che resterà nella storia del movimento LGBT internazionale, per la sua folle gratuità, per la generica indifferenza e per aver fatto da scintilla a commenti di un'omofobia che rialza la testa senza la vergogna che avrebbe tutte le ragioni di provare.


Il costume di Massimo Milani (metà della storica coppia palermitana conosciuta come Massimo e Gino) è stato di una teatralità elegante e struggente. Una scelta riuscita, che coniuga rispettosamente il tributo al dolore per la violenza insensata che ha spezzato tante vite innocenti e la tradizionale manifestazione festosa che va comunque avanti, inesorabile come il progredire della storia e una lotta politica che più di prima deve vederci determinati. Un abito da sposa insaguinato (citazione filmica a Kill Bill di Quentin Tarantino) e la scritta “We Will Survive” (Noi sopravviveremo). Una sposa che sembra cadere sotto i colpi di una cieca violenza, ma che si rialza più forte di prima e combatte come una leonessa fino alla vittoria.

Questo Palermo Pride 2016, come già altre sue edizioni passate, potrà forse essere definito “poco trasgressivo” o “troppo poco fantasioso”. Ma non è su questo che intendiamo concentrarci. Pensiamo piuttosto (al di là di quel che vorremmo vedere) alla forza inclusiva e alla generale compostezza di quella che ancora oggi da molti è definita come una “indecente carnevalata”.


C'è da chiedersi cosa abbiano visto. Dove, e se la buona fede abbia casa dalle loro parti. Il Palermo Pride si è connotato sempre più come una manifestazione politica aperta e solidale con realtà che LGBT non sono. Quest'anno il tema ufficiale erano i migranti e l'accoglienza, ma nel corpo del corteo abbiamo avuto modo di incontrare anche associazioni per la tutela dei diritti degli invalidi (dimostrando che la guerra tra poveri può essere superata, e che non esistono battaglie che vengono prima di altre, ma piuttosto battaglie per una vita migliore che dovrebbero essere un'unica cosa).

Le famiglie arcobaleno, sempre più numerose e presenti, con i loro bambini, sono ormai un punto nodale della manfiestazione. Un Pride che forse deluderebbe chi cerca trasgressione ad ogni costo, nudità e provocazioni. Ma che dimostra una volta di più che la presunta “carnevalata” del Pride (molto più compito a Palermo di certe feste che celebrano vittorie calcistiche) non è che un comodo spauracchio. Un inesistente fantasma, creato a bella posta per giustificare inerzia e la (magari inconsapevole) pulsione a restare nell'ombra con l'illusione di essere migliori.










martedì 14 giugno 2016

Lettera aperta a un amico patetico



Caro amico patetico,

ti chiamo patetico perché, da come ti esprimi non viene naturale definirti omofobo, e neppure razzista. Da quel che hai scritto trasudi tanta di quell'ottusità che al massimo sei un idiota, sempre che non ci si trovi davanti a un ragazzino disgustosamente maleducato. Scrivo questa lettera aperta, ma non la indirizzo a te. So che non ti interessa, e non potrà interessarti mai. Lo faccio perché annoto in un blog le cose che mi colpiscono, e alcune di queste – penso – meritino di essere condivise. La tua furia, il tuo orgoglio, il tuo ossessivo bisogno di rivalsa, assomiglia tanto, ma davvero tanto a quello di molte minoranze discriminate nel mondo. E per questo ispiri più compassione che altro. Ma ripeto... probabilmente sei poco più di un bambino. Anzi, lo spero. Per te. Per tutti.

I social sono una brutta bestia, lo sappiamo. Come gli aeroplani. Macchine che realizzavano il sogno dell'uomo di volare, ma che finirono con l'essere usati per sganciare bombe. Lo sappiamo tutti che la possibilità di interloquire con persone distanti, che non ci vedono, che non conosciamo, è qualcosa di delicato che spesso porta a scontri inutili. Da bambini, appunto.

Vedi, a me hanno insegnato che vedere qualcosa di sbagliato senza intervenire equivale a giustificarlo. Per questo intervengo ogni volta che m'imbatto in un comportamento razzista. Nel caso specifico, stavo conversando con un amico, commentando per la precisione, un suo video sul grande tubo. L'amico mi saluta dicendo “Ti abbraccio”. Io rispondo al saluto scrivendo “Abbraccio ricambiato”. Dal nulla, salti fuori tu, perfetto sconosciuto, e spari un commento non pertinente alla conversazione, attribuendo senso di scandalo all'attore Gerard Depardieu (infilato a forza solo a causa di una citazione filmica) per dire che il tuo attore preferito (che tu definisci un “vero uomo”) schiferebbe quelle che per te erano “smancerie tra maschi adulti”.

Veri uomini.
Smancerie tra maschi adulti.

Sì, devi essere veramente molto, molto giovane.
Ripeto anche questo. Lo spero con tutte le mie forze, perché il contrario sarebbe sinistro.

A quel punto ti faccio notare che se anche Depardieu in persona si permettesse di dirmi una cosa del genere lo manderei affanculo. Che sentire il bisogno di mostrarsi maschi a tutti i costi allontana dall'essere quello che tu etichetti come “veri uomini”. E concludo facendoti presente che stai parlando con un gay che ci mette la faccia, giusto per farti notare che entrare in una stanza dove c'è gente che non conosci dovrebbe farti pensare due volte a fare battute che prevedono una complicità da scuola media.

Ok, sono un idealista illuso. Bisogna ripassare un concetto di base.
Scusarsi, oggi, è una capacità che possiedono solo superuomini e superdonne. Quindi, davanti a una gaffe, le possibilità si riducono a due. Tacere o gonfiare il petto, perseguendo gli stessi argomenti e peggiorando di molto la situazione.

Ed ecco, dunque, un lungo delirio sulla militanza gay, la “politicizzazione del proprio ano”, sulla “censura” (parola che ormai ha perso di senso e ha acquistato il significato di “libertà di dire stronzate senza che nessuno te le faccia notare”), insulti assortiti, minchiate a sfondo neanche tanto velatamente razzista... (“la strage di Orlando, beduini o non beduini...”) e un fiume di parole incomprensibili, scritte in un italiano opinabile, e del tutto prive di un senso compiuto che non sia l'ululato di un marmocchio fuori di sé perché è stato rimproverato e non resiste all'impulso di prendere a sassate la finestra di chi gli ha detto che le cose sporche non si mettono in bocca.

Così, tentando di togliere un sassolino dalla scarpa, ho scoperto che avevo invece pestato una cacca di cane. Mi ritrovo uno stalker che mi ingiuria sia sul canale degli amici che con messaggi privati (senza peraltro rendersi conto che questo lo sta già facendo sconfinare in un reato di natura penale). I contenuti sono espressi con una linguaggio che richiederebbe l'intervento di un esorcista, o forse di un esperto di lingue primitive, chissà. Gli argomenti addotti non meritano analisi, tanto varrebbe interpretare le scritte sul muro di un cesso... insomma, il piagnisteo di qualcuno che non ha sopportato di sentirsi dire che avrebbe potuto comportarsi meglio in casa d'altri.

Ho sentito (esagerando, lo ammetto) il bisogno di rammaricarmi per avere dato l'input a un tale proliferare di spazzatura sul canale di amici. Ma oggi non vedo perché dovrei farmi carico dell'inciviltà altrui. Il meccanismo è sempre lo stesso dell'età scolare. Il bullo bullizza. Quando gli si resiste o viene punito per le sue azioni, sente la necessità di vendicarsi della vittima che ha importunato. Io non ho alcun controllo su questi meccanismi di cui la nostra società è ancora malata. Posso solo riconoscerli e riprenderli, come faccio sempre.

Le opzioni di Internet lasciano il tempo che trovano. Bloccarti su Google, ovviamente, non è servito a nulla. Sicuro, come spieghi tu, tutti abbiamo più di un profilo. Credi davvero, poverino, che non me lo aspettassi? Pensi seriamente che perda tempo a leggere ogni virgola di quello che ancora ti ostini a scrivermi? Credi che, visto che ci tieni tanto, non esibisca i tuoi attacchi come medaglie? Davvero non ti rendi conto dello spettacolo miserrimo che stai facendo di te stesso? Che ogni cosa che scrivi è uno sputo che ti ricasca addosso?

No?
Mi dispiace molto per te.
Ma sei hai scelto di annegare nella tua stessa saliva, accomodati.

Sai una cosa, non ti odio. Temo, piuttosto, che tu abbia seriamente bisogno d'aiuto, perché tale insistenza a cercare riscossa è uno dei sintomi della nevrosi ossessivo compulsiva, e alla lunga se non arginata peggiora in modo drammatico, a volte sfociando in situazioni psicologicamente definite borderline. Ma devo ricordarmi che sto parlando a un campione di civiltà, che può insegnarmi tanto su molti fronti, e che di sicuro non ha interesse per certi futili argomenti accademici, e cui non frega nulla di conoscere veramente il suo interlocutore. Anche per questo ho smesso di leggere i tuoi deliri, e probabilmente (ma non sicuramente, perché non porgo l'altra guancia per sempre) stavolta non ti bloccherò. Lascerò che la tua ignoranza faccia spettacolo di sé. Che la tua arroganza si alimenti fino a scoppiare. Non confuterò i tuoi deliranti insulti, i tuoi vaneggiamenti pseudopolitici. Anzi, li sfoggerò. Sei stato maleducato, ma potevi evitare di apparire anche un mentecatto. Tuttavia, se ti fa sentire meglio, se non sei in grado di riconoscere una brutta figura, continua pure su questa strada. Spero solo che tu abbia vicino qualcuno che comprenda quanto stai male e ti aiuti. Perché non sei un omofobo, e neppure un razzista. Sei una creatura patetica. Piccola e bizzosa.

Ma c'è davvero tanta differenza?

Be', questa è una grande domanda.


domenica 28 giugno 2015

Pride LGBT 2015 (e ricordiamo che...)


Ricordo che anni fa, una delle persone più intelligenti che abbia avuto l'onore di conoscere, parlando del Pride e delle implicazioni "carnevalesche", spesso usate dai detrattori (etero e omo) per sminuirne il significato e le funzioni, mi disse: «Quel che viene dimenticato facilmente dai benpensanti, è la connotazione festiva della manifestazione. Una sfilata per esigere diritti negati che sostituisce agli aspetti spesso seriosi e tristi di altri cortei politici, una componente colorata, in maschera, se vogliamo. E propone una richiesta di eguaglianza e di libertà con il sorriso sulle labbra e la voglia di giocare... di mettersi in gioco.»
Non fa una grinza. Ma anche quest'anno non mancheranno gli atteggiamenti bacchettoni (trasversali, ricordiamolo). Ricordiamo l'odiosa frase di circostanza che sentiamo ripetere tanto, troppo spesso "Ho tanti amici gay che mi danno ragione." Ricordiamo la sintesi (mutatis mutandis) che ne ha fatto Zerocalcare nel suo "La città del decoro": "Io ho tanti amici *** che per primi schifano quelli così. Che sono bravi! Se ne stanno nascosti nelle fogne, come le Tartarughe Ninja. Non si fanno vedere come questi". Ricordiamo la risposta canonizzata da dare a questo tipo di persone (quelli che hanno tanti amici gay): "Io invece non ho molti amici. Ma sono tutti persone intelligenti." Ricordiamo anche (se ce ne fosse bisogno) che il Pride celebra anche la ricorrenza dei moti di Stonewall, quando nel 1969 un gruppo di Drag Queen affrontò la polizia che era solita vessarle, dando inizio a quello che sarebbe diventato il movimento per i diritti LGBT internazionale. Rammentate questo quando avete la tentazione di dire che travestiti, drag e transessuali danneggiano la causa omosessuale con i loro eccessi. Sono soltanto quello che sono. E sono quelli e quelle come loro che hanno fatto in modo che la resistenza avesse inizio. Pertanto rispetto. E sia festa, sia carnevale, sia gioia, e sia Pride... per tutti.