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mercoledì 3 ottobre 2012

Crossed, di Garth Ennis e Jacen Burrows

 

Un misterioso contagio dilaga improvvisamente in tutto il mondo. Un virus che rende gli infetti folli e animati solo dalle pulsioni più violente e perverse mentre una piaga scarlatta a forma di croce deturpa i loro volti. Li spinge una sorta di estasi del dolore, che non esitano a infliggere anche a se stessi in mancanza di vittime non ancora contaminate. Basta un morso, uno sputo, e si è contagiati. Chi cade preda dei loro attacchi subisce la più orrenda delle morti. Un pugno di uomini e donne tentano una disperata fuga attraverso un mondo devastato, in cerca di zone disabitate e relativamente sicure. Ma gli infetti sono ovunque, e l'unica cosa che pensano, la sola che li fa gioire, è uccidere, straziare e infliggere sofferenza a chiunque gli attraversi la strada...


Chi ha qualche capello grigio se lo ricorderà. Ancora per tutti gli anni settanta, molti film del terrore in uscita sugli schermi italiani esibivano l'avviso “Vietato ai minori di 14 anni”. Più che un divieto (comunque di norma applicato) lo si poteva considerare una sorta di strillo pubblicitario in più. Evidenziava, per cominciare, che ci si trovava di fronte a uno spettacolo di genere horror (il divieto ai minori di 18 anni era peculiare dei film a luci rosse, con pochissime eccezioni) e, agli occhi del giovane spettatore, ammantava il titolo di un'aura proibita, quasi maledetta. Significava che in quel film si versava sangue, che alcune scene non ti avrebbero fatto dormire la notte, e prometteva immagini disturbanti e trasgressive (almeno per un quattordicenne di quegli anni). Capitava spesso che su certi titoli nascessero falsi miti tra i ragazzi di età inferiore ai 14, e quindi esclusi dalla visione. Circolavano descrizioni dettagliate di scene raccapriccianti in realtà inesistenti, inventate chissà da chi secondo il proprio gusto dell'orrido e condivise con altri imberbi affamati di orrori come racconti da campeggio.

A qualcuno può capitare di ricordare tutto questo osservando la confezione di Crossed, miniserie di Garth Ennis distribuita dalla Panini Comics sigillata nella plastica. Lo strillo “Attenzione: pericolo di contagio” introduce le tematiche del racconto catastrofico e rappresenta nel medesimo tempo un ironico avvertimento. Il marchio “per un pubblico maturo” è bene in vista. All'interno della confezione c'è persino una copertina rimovibile - macabra, ma più neutra dei dettagliati disegni di Jacen Burrows - a nascondere la vera cover. Questo perché il volume non va sfogliato davanti a minori o persone non preparate. Troppo forti i contenuti. Troppo sconvolgenti, violenti, destabilizzanti. Viene proprio voglia di aprirla, quella busta. Sembra quasi che ci inviti a farlo. Sicuramente, un adolescente degli anni settanta avrebbe tentato di dare una sbirciatina...


Il divieto del cinema horror ai minori cadde in disuso a mano a mano che si avvicinavano gli anni ottanta, fatti salvi pochi titoli ritenuti particolarmente estremi e vietati ai minori di 18 anni. Si tratta in linea di massima di pellicole la cui capacità di shockare appare oggi stemperata rispetto alla sensibilità del pubblico di allora. Titoli che sdoganarono il genere splatter. Alcuni di culto, come Zombi (Dawn of the Dead) di George Romero e La Casa (Evil Dead) di Sam Raimi. Non era chiaro se il cinema di genere fosse stato promosso (estendendo il divieto alla maggiore età) a spettacolo più maturo o se il metro della restrizione stesse smarrendo il senso della misura.
Per chi ha vissuto quegli anni, non è difficile, in presenza di eventi mediatici che suscitano clamore come Crossed, tornare indietro con la memoria e riflettere su cronologie che rappresentano un filo rosso nello sviluppo dell'immaginario collettivo legato al perturbante.
Proviamo a vedere da dove si è partiti.


Nel 1973, George Romero dirige The Crazies (La città verrà distrutta all'alba), variazione sul tema della pandemia apocalittica già trattato nel precedente La Notte dei Morti Viventi. In The Crazies, un'arma batteriologica contamina accidentalmente una cittadina degli Stati Uniti causando nella popolazione esplosioni di follia feroce e atti di violenza fuori controllo.

1975: Lo scrittore anglosassone James Herbert pubblica il romanzo The Fog (Nebbia, nell'edizione italiana pubblicata nella collana Urania). Nel libro si narra di una misteriosa nebbia giallastra (anche stavolta un esperimento militare sfuggito di mano) che induce in persone e animali vere esplosioni di furia omicida, in un crescendo di crimini brutali e perversi. Celebre (con decenni di anticipo sui fatti dell'11 settembre) la scena di un aereo pilotato da un infetto che si schianta contro un edificio (episodio citato anche nel numero zero della miniserie di Garth Ennis).

1984: esce al cinema il film di Graham Baker Impulse. Una quieta cittadina è improvvisamente sconvolta da episodi di pazzia irrefrenabile. Come se qualcosa di impalpabile avesse cancellato i freni inibitori degli abitanti, spingendoli a realizzare ogni impulso attraversi loro la mente, dimentichi di ogni etica, pudore o razionalità, in un crescendo di caos e violenza.

1986: Lo scrittore statunitense David J. Schow conia il termine splatterpunk, un'etichetta sotto la quale si raccolgono autori e opere di genere horror estremo, volte a sconvolgere con la descrizione iperrealista di atti di violenza, spesso intrecciati con rappresentazioni di sesso esplicito. Lo splatterpunk si proponeva di abbattere barriere e tabù, e indurre nel lettore un profondo stato di disagio. Una sorta di provocazione artistica non troppo dissimile dal fenomeno punk degli anni settanta, quando, nei concerti, le band accompagnavano alle performance musicali gesti di rottura come quelli di urinare o vomitare sul pubblico. Anche se il termine fu coniato per la prima volta a metà degli anni ottanta, allo splatterpunk come pratica letteraria e non solo, sono riconosciute radici più antiche e ramificate. Uno dei semi è riconosciuto proprio nel romanzo Nebbia, di Herbert, che già nel '75 spingeva l'acceleratore di una violenza disinibita e ripugnante. Ma splatterpunk potrebbero essere definiti anche certi film del nostrano Lucio Fulci, soprattutto durante gli anni settanta, dove l'orrore fisico e il compiacimento sadico della morte violenta emergevano in modo visionario e ricco di dettagli orripilanti.

1991: Lo scrittore Breat Easton Ellis dà alle stampe uno dei suoi romanzi più famosi, quell'American Psycho che è nello stesso tempo ritratto impietoso degli yuppies di Wall Street e provocatoria opera di orrore, sadismo e vuoto esistenziale. Per sfrontatezza, raccapriccio e volontà di shockare, anche quest'opera viene accostata allo stile splatterpunk (sebbene la caratura letteraria di Ellis lo elevi comunque al di sopra delle etichette). Sempre durante gli anni novanta, l'underground americano ha prodotto fumetti più o meno convergenti all'estetica trasgressiva dello splatterpunk. Tra questi, sono da ricordare soprattutto i vulcanici David Quinn e Tim Vigil, che con il loro Faust: Love of the Damned realizzarono un'opera a fumetti veramente fuori dagli schemi. Allucinata, nichilista, sessualmente spudorata e palpitante di una violenza senza freni sublimata da disegni spettacolari. 
 

2008: Esce (fuori contesto, nella collana Segretissimo) il romanzo horror La croce sulle labbra, di Danilo Arona e Edoardo Rosati. Vi si narra di misteriosi riti tribali legati a un'antica divinità, di apocalisse e di un letale virus che causa esplosioni di incontrollabile follia assassina, mentre un herpes si forma sulle labbra dei contagiati fino a prendere la forma di una grottesca croce sanguinante...

Un momento! Ma non dovevamo parlare di Crossed?!


Beh, in un certo senso l'abbiamo fatto. Giacché ogni sviluppo citato conduce più o meno direttamente all'acclamata miniserie horror firmata da Ennis e Burrows per la Avatar Press (stessa etichetta sotto cui apparve il Faust di Quinn e Vigil). Pandemia. Zombi o pseudozombi. Splatterpunk come orrore estremo e sessuale. Trasgressione programmatica delle consuete autocensure del fumetto popolare. Crossed è tutto questo. Solo compresso e confezionato alla maniera dei Pringles per essere commercializzato presso i giovani lettori del nuovo millennio. Il successo dell'universo narrativo creato da Garth Ennis, cui si sono presto aggiunte nuove saghe (Crossed: Valori di famiglia; Crossed: Psicopatico) scritte stavolta da David Lapham e disegnate da Javier Barreno e Raulo Càceres, dove le tematiche nichiliste e gli effetti shock tracimano ulteriormente, merita un'analisi approfondita. La quantità di recensioni entusiaste apparse anche in Italia ci induce a riflettere ancora una volta sulla questione della forma, cui quella di originalità del tema è da sempre subordinata. 

 
Alcuni hanno descritto Crossed come intollerabile, sconvolgente, cupo e lontano dal consueto modello grottesco di Ennis. In realtà si esagera un po'. Garth Ennis, noto cantore dell'eccesso, supera gli ultimi limiti e si avventura nell'attuale concezione dell'orrido sdoganata dal genere torture porn (dove a far paura non è più tanto la morte, quanto la sofferenza che la precede). Crossed è una una cavalcata attraverso una galleria di orrori al servizio (più che della trama) delle matite eccelse di Burrows, magistrale nel realizzare tavole complesse dove succede proprio di tutto (e dove niente è piacevole). Ma non infrange nessun tabù che non sia già stato abbondantemente sfidato dai suoi antenati splatterpunk. Persino in altri contesti, George R. R. Martin nel suo Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, ha contaminato il fantasy - genere di solito abbastanza asettico - con elementi di estrema crudezza, non lesinando sull'incesto e l'infanticidio. Falso anche che l'ironia tipica di Garth Ennis sia del tutto assente. L'idea stessa di caratterizzare gli scrociati (così chiamati per bizzarra scelta della traduzione italiana) come un'orda di maniaci assassini che sembrano cloni del Joker sotto cocaina, pronti a violentare e squartare tutto quello che si muove, è di per sé goliardica. La famigerata scena del cerchio di sale, nella sua brutalità, è esemplare dell'umorismo nerissimo dell'autore irlandese. Così come il leader degli infetti, Horsecock, energumeno che si fa strada a colpi di fallo equino, urla il nome di Ennis con il ghigno sulle labbra. L'elemento tetro è riservato alle dinamiche tra i sopravvissuti e alla progressiva perdita di umanità quale prezzo per la sopravvivenza. Anche questo un archetipo consolidato, specialmente dalla filmografia apocalittica di George Romero, dove gli eroi commettono errori sciocchi e il confine tra mostri e umani si fa labile, suggerendo che i primi altro non sono che il riflesso distorto e spogliato dalle ipocrisie dei secondi.


Crossed è dunque un titolo estremamente derivativo, fortemente debitore soprattutto al romanzo Nebbia, per efferatezze e volontà di turbare. E il suo marchio sanguinante lo avevamo già visto nell'opera (italiana, pensa un po') di Arona e Rosati: il simbolo religioso della croce restituito al suo originale significato di tortura e morte. Per questo, con buona pace degli entusiasti che hanno salutato Crossed come un'opera innovativa, è difficile che i lettori più maturi restino colpiti dalle presunte trasgressioni di Ennis. Chi ha sfogliato i manga SM di Gengoroh Tagame ha un'idea più profonda di come possano essere rappresentate crudeltà e depravazione in atmosfere plumbee realmente prive d'ogni possibilità di redenzione. I meccanismi commerciali sono però quello che sono, ed ecco tornare il buon vecchio divieto ai minori, il passaparola sugli orrori insostenibili, e tutto quell'arsenale di ganci pubblicitari che tanto effetto hanno sui lettori giovani e affamati di trasgressione liofilizzata.


Allora perché Crossed piace nonostante non dica sostanzialmente niente di nuovo? Intanto perché propone al suo pubblico contenuti un tempo codificati in linguaggi meno popolari dal punto di vista commerciale. Del resto, se si guarda il cielo per la prima volta, soltanto allora ci si accorge che è azzurro, e il riciclaggio dello splatterpunk presso le nuove generazioni sembra una risorsa ancora da sfruttare. Ma Crossed affascina sopratutto perché è un fumetto realizzato con mestiere, sia da Ennis che da Jacen Burrows, veramente in gran forma. Crossed, insomma, non brillerà per novità, ma non è un fumetto da buttare o rifiutare a priori. Il punto è che le parti più interessanti sono proprio quelle più convenzionali del racconto di suspence. Superata la prima metà densa di turpitudini, i meccanismi del genere survival horror prendono il sopravvento sugli effetti repellenti, e la crescente tensione risulta ben condotta. Furbo (e disturbante) l'espediente di confondere vari tasselli temporali, e di mostrarci l'orrenda fine di alcuni personaggi per poi narrare da dove venissero, chi erano e che cosa speravano, infondendo maggior senso di orrore al destino che gli abbiamo già visto subire. Un paio di twist narrativi sono davvero potenti, anche se uno è forse troppo telefonato e si sarebbe giovato di un crescendo più insinuante anziché limitarsi a una rivelazione inattesa quanto improbabile nelle sue modalità. Crossed, dunque, funziona quanto basta e ha tutte le carte in regola per piacere soprattutto ai giovani affascinati dalle versioni contemporanee di pandemie, zombi, orrori urbani e la cifra provocatoria che segue l'horror estremo già dal secolo scorso. Ce lo dice il successo di vendita della serie, la produzione dei suoi capitoli successivi, la nascita di una nuova serie mensile (Crossed: Badlands) ancora firmata da Ennis cui succederà Jamie Delano, e il fatto che si intraveda all'orizzonte anche il progetto per un film.



Un'ultima, ironica, riflessione. Garth Ennis decide di rompere... gli argini, e osare ciò che non aveva osato prima, portando in scena sangue e sesso, sesso e sangue... in un'orgia di orrore che risulti quanto più perturbante per un pubblico generalista. Ma è davvero possibile che per un maschio eterosessuale, la sorte più spaventosa che si possa concepire sia... quella cosa lì?! Come un feticcio, la sodomia violenta appare quasi in ogni splash page, simile a una piccola firma beffarda. Quasi sempre presente, nelle magistrali tavole del bravissimo Jacen Burrows, anche ai limiti del subliminale. Ci diverte pensare che anche questo possa essere letto in maniera simbolica. Il vero valore di Crossed, come della maggior parte delle letture, consiste nell'uso che ne viene fatto. E' il sottile confine tra meccanismo commerciale (che ci riduce a meri acquirenti da spremere) e spunto per una lettura storica del genere horror, che possa far scoprire al lettore giovane un panorama vasto e variegato, pieno di regioni oscure e seducenti da esplorare.
Come provocazione, o meglio, come sfida culturale, questa l'accettiamo di buon grado.

 


Questa recensione è stata pubblicata anche su FantasyMagazine.


[Articolo di Filippo Messina]