Chi ha qualche capello
grigio se lo ricorderà. Ancora per tutti gli anni settanta,
molti film del terrore in uscita sugli schermi italiani esibivano
l'avviso “Vietato ai minori di 14 anni”. Più che un
divieto (comunque di norma applicato) lo si poteva considerare una
sorta di strillo pubblicitario in più. Evidenziava, per
cominciare, che ci si trovava di fronte a uno spettacolo di genere
horror (il divieto ai minori di 18 anni era peculiare dei film a luci
rosse, con pochissime eccezioni) e, agli occhi del giovane
spettatore, ammantava il titolo di un'aura proibita, quasi maledetta.
Significava che in quel film si versava sangue, che alcune scene non
ti avrebbero fatto dormire la notte, e prometteva immagini
disturbanti e trasgressive (almeno per un quattordicenne di quegli
anni). Capitava spesso che su certi titoli nascessero falsi miti tra
i ragazzi di età inferiore ai 14, e quindi esclusi dalla
visione. Circolavano descrizioni dettagliate di scene raccapriccianti
in realtà inesistenti, inventate chissà da chi secondo
il proprio gusto dell'orrido e condivise con altri imberbi affamati
di orrori come racconti da campeggio.
A qualcuno può
capitare di ricordare tutto questo osservando la confezione di
Crossed, miniserie di Garth Ennis distribuita dalla Panini
Comics sigillata nella plastica. Lo strillo “Attenzione:
pericolo di contagio” introduce le tematiche del racconto
catastrofico e rappresenta nel medesimo tempo un ironico
avvertimento. Il marchio “per un pubblico maturo” è
bene in vista. All'interno della confezione c'è persino una
copertina rimovibile - macabra, ma più neutra dei dettagliati
disegni di Jacen Burrows - a nascondere la vera cover. Questo perché
il volume non va sfogliato davanti a minori o persone non preparate.
Troppo forti i contenuti. Troppo sconvolgenti, violenti,
destabilizzanti. Viene proprio voglia di aprirla, quella busta.
Sembra quasi che ci inviti a farlo. Sicuramente, un adolescente degli
anni settanta avrebbe tentato di dare una sbirciatina...
Il divieto del cinema horror
ai minori cadde in disuso a mano a mano che si avvicinavano gli anni
ottanta, fatti salvi pochi titoli ritenuti particolarmente estremi e
vietati ai minori di 18 anni. Si tratta in linea di massima di
pellicole la cui capacità di shockare appare oggi stemperata
rispetto alla sensibilità del pubblico di allora. Titoli che
sdoganarono il genere splatter. Alcuni di culto, come Zombi (Dawn
of the Dead) di George Romero e La Casa (Evil Dead) di Sam
Raimi. Non era chiaro se il cinema di genere fosse stato promosso
(estendendo il divieto alla maggiore età) a spettacolo più
maturo o se il metro della restrizione stesse smarrendo il senso
della misura.
Per chi ha vissuto quegli
anni, non è difficile, in presenza di eventi mediatici che
suscitano clamore come Crossed, tornare indietro con la
memoria e riflettere su cronologie che rappresentano un filo rosso
nello sviluppo dell'immaginario collettivo legato al perturbante.
Proviamo a vedere da dove si
è partiti.
Nel 1973, George
Romero dirige The Crazies (La città verrà
distrutta all'alba), variazione sul tema della pandemia
apocalittica già trattato nel precedente La Notte dei Morti
Viventi. In The Crazies, un'arma batteriologica contamina
accidentalmente una cittadina degli Stati Uniti causando nella
popolazione esplosioni di follia feroce e atti di violenza fuori
controllo.
1975: Lo scrittore
anglosassone James Herbert pubblica il romanzo The Fog
(Nebbia, nell'edizione italiana pubblicata nella collana
Urania). Nel libro si narra di una misteriosa nebbia giallastra
(anche stavolta un esperimento militare sfuggito di mano) che induce
in persone e animali vere esplosioni di furia omicida, in un
crescendo di crimini brutali e perversi. Celebre (con decenni di
anticipo sui fatti dell'11 settembre) la scena di un aereo pilotato
da un infetto che si schianta contro un edificio (episodio citato
anche nel numero zero della miniserie di Garth Ennis).
1984: esce al cinema
il film di Graham Baker Impulse. Una quieta cittadina è
improvvisamente sconvolta da episodi di pazzia irrefrenabile. Come se
qualcosa di impalpabile avesse cancellato i freni inibitori degli
abitanti, spingendoli a realizzare ogni impulso attraversi loro la
mente, dimentichi di ogni etica, pudore o razionalità, in un
crescendo di caos e violenza.
1986: Lo scrittore
statunitense David
J. Schow conia il termine splatterpunk,
un'etichetta sotto la quale si raccolgono autori e opere di genere
horror estremo, volte a sconvolgere con la descrizione iperrealista
di atti di violenza, spesso intrecciati con rappresentazioni di sesso
esplicito. Lo splatterpunk
si proponeva di abbattere barriere e tabù, e indurre nel
lettore un profondo stato di disagio. Una sorta di provocazione
artistica non troppo dissimile dal fenomeno punk degli anni settanta,
quando, nei concerti, le band accompagnavano alle performance
musicali gesti di rottura come quelli di urinare o vomitare sul
pubblico. Anche se il termine fu coniato per la prima volta a metà
degli anni ottanta, allo splatterpunk
come pratica letteraria e non solo, sono riconosciute radici più
antiche e ramificate. Uno dei semi è riconosciuto proprio nel
romanzo Nebbia, di
Herbert, che già nel '75 spingeva l'acceleratore di una
violenza disinibita e ripugnante. Ma splatterpunk
potrebbero essere definiti anche certi film del nostrano Lucio Fulci,
soprattutto durante gli anni settanta, dove l'orrore fisico e il
compiacimento sadico della morte violenta emergevano in modo
visionario e ricco di dettagli orripilanti.
1991:
Lo scrittore Breat Easton Ellis dà alle stampe uno dei suoi
romanzi più famosi, quell'American Psycho che è
nello stesso tempo ritratto impietoso degli yuppies di Wall Street e
provocatoria opera di orrore, sadismo e vuoto esistenziale. Per
sfrontatezza, raccapriccio e volontà di shockare, anche
quest'opera viene accostata allo stile splatterpunk (sebbene
la caratura letteraria di Ellis lo elevi comunque al di sopra delle
etichette). Sempre durante gli anni novanta, l'underground americano
ha prodotto fumetti più o meno convergenti all'estetica
trasgressiva dello splatterpunk. Tra questi, sono da ricordare
soprattutto i vulcanici David Quinn e Tim Vigil, che con il loro
Faust: Love of the Damned realizzarono un'opera a fumetti
veramente fuori dagli schemi. Allucinata, nichilista, sessualmente
spudorata e palpitante di una violenza senza freni sublimata da
disegni spettacolari.
2008:
Esce (fuori contesto, nella collana Segretissimo) il romanzo
horror La croce sulle labbra, di Danilo Arona e Edoardo
Rosati. Vi si narra di misteriosi riti tribali legati a un'antica
divinità, di apocalisse e di un letale virus che causa
esplosioni di incontrollabile follia assassina, mentre un herpes si
forma sulle labbra dei contagiati fino a prendere la forma di una
grottesca croce sanguinante...
Un momento!
Ma non dovevamo parlare di Crossed?!
Beh,
in un certo senso l'abbiamo fatto. Giacché ogni sviluppo
citato conduce più o meno direttamente all'acclamata miniserie
horror firmata da Ennis e Burrows per la Avatar Press
(stessa etichetta sotto cui apparve il Faust
di Quinn e Vigil). Pandemia. Zombi o pseudozombi. Splatterpunk come
orrore estremo e sessuale. Trasgressione programmatica delle consuete
autocensure del fumetto popolare. Crossed
è tutto questo. Solo compresso e confezionato alla maniera dei
Pringles per essere
commercializzato presso i giovani lettori del nuovo millennio. Il
successo dell'universo narrativo creato da Garth Ennis, cui si sono
presto aggiunte nuove saghe (Crossed: Valori di famiglia;
Crossed: Psicopatico) scritte
stavolta da David Lapham e disegnate da Javier Barreno e Raulo
Càceres, dove le tematiche nichiliste e gli effetti shock
tracimano ulteriormente, merita un'analisi approfondita. La quantità
di recensioni entusiaste apparse anche in Italia ci induce a
riflettere ancora una volta sulla questione della forma, cui quella
di originalità del tema è da sempre subordinata.
Alcuni
hanno descritto Crossed come intollerabile, sconvolgente, cupo
e lontano dal consueto modello grottesco di Ennis. In realtà
si esagera un po'. Garth Ennis, noto cantore dell'eccesso, supera
gli ultimi limiti e si avventura nell'attuale concezione dell'orrido
sdoganata dal genere torture porn (dove a far paura non è
più tanto la morte, quanto la sofferenza che la precede).
Crossed è una una cavalcata attraverso una galleria di
orrori al servizio (più che della trama) delle matite eccelse
di Burrows, magistrale nel realizzare tavole complesse dove succede
proprio di tutto (e dove niente è piacevole). Ma non infrange
nessun tabù che non sia già stato abbondantemente
sfidato dai suoi antenati splatterpunk. Persino in altri
contesti, George R. R. Martin nel suo Le Cronache del Ghiaccio e
del Fuoco, ha contaminato il fantasy - genere di solito
abbastanza asettico - con elementi di estrema crudezza, non lesinando
sull'incesto e l'infanticidio. Falso anche che l'ironia tipica di
Garth Ennis sia del tutto assente. L'idea stessa di caratterizzare
gli scrociati (così chiamati per bizzarra scelta della
traduzione italiana) come un'orda di maniaci assassini che sembrano
cloni del Joker sotto cocaina, pronti a violentare e squartare tutto
quello che si muove, è di per sé goliardica. La
famigerata scena del cerchio di sale, nella sua brutalità, è
esemplare dell'umorismo nerissimo dell'autore irlandese. Così
come il leader degli infetti, Horsecock, energumeno che si fa strada
a colpi di fallo equino, urla il nome di Ennis con il ghigno sulle
labbra. L'elemento tetro è riservato alle dinamiche tra i
sopravvissuti e alla progressiva perdita di umanità quale
prezzo per la sopravvivenza. Anche questo un archetipo consolidato,
specialmente dalla filmografia apocalittica di George Romero, dove
gli eroi commettono errori sciocchi e il confine tra mostri e umani
si fa labile, suggerendo che i primi altro non sono che il riflesso
distorto e spogliato dalle ipocrisie dei secondi.
Crossed
è dunque un titolo estremamente derivativo, fortemente
debitore soprattutto al romanzo Nebbia, per efferatezze e
volontà di turbare. E il suo marchio sanguinante lo avevamo
già visto nell'opera (italiana, pensa un po') di Arona e
Rosati: il simbolo religioso della croce restituito al suo originale
significato di tortura e morte. Per questo, con buona pace degli
entusiasti che hanno salutato Crossed come un'opera
innovativa, è difficile che i lettori più maturi
restino colpiti dalle presunte trasgressioni di Ennis. Chi ha
sfogliato i manga SM di Gengoroh Tagame ha un'idea più
profonda di come possano essere rappresentate crudeltà e
depravazione in atmosfere plumbee realmente prive d'ogni possibilità
di redenzione. I meccanismi commerciali sono però quello che
sono, ed ecco tornare il buon vecchio divieto ai minori, il
passaparola sugli orrori insostenibili, e tutto quell'arsenale di
ganci pubblicitari che tanto effetto hanno sui lettori giovani e
affamati di trasgressione liofilizzata.
Allora
perché Crossed piace nonostante non dica
sostanzialmente niente di nuovo? Intanto perché propone al suo
pubblico contenuti un tempo codificati in linguaggi meno popolari dal
punto di vista commerciale. Del resto, se si guarda il cielo per la
prima volta, soltanto allora ci si accorge che è azzurro, e il
riciclaggio dello splatterpunk presso le nuove generazioni
sembra una risorsa ancora da sfruttare. Ma Crossed affascina
sopratutto perché è un fumetto realizzato con mestiere,
sia da Ennis che da Jacen Burrows, veramente in gran forma. Crossed,
insomma, non brillerà per novità, ma non è un
fumetto da buttare o rifiutare a priori. Il punto è che le
parti più interessanti sono proprio quelle più
convenzionali del racconto di suspence. Superata la prima metà
densa di turpitudini, i meccanismi del genere survival horror
prendono il sopravvento sugli effetti repellenti, e la crescente
tensione risulta ben condotta. Furbo (e disturbante) l'espediente di
confondere vari tasselli temporali, e di mostrarci l'orrenda fine di
alcuni personaggi per poi narrare da dove venissero, chi erano e che
cosa speravano, infondendo maggior senso di orrore al destino che gli
abbiamo già visto subire. Un paio di twist narrativi sono
davvero potenti, anche se uno è forse troppo telefonato e si
sarebbe giovato di un crescendo più insinuante anziché
limitarsi a una rivelazione inattesa quanto improbabile nelle sue
modalità. Crossed, dunque, funziona quanto basta e ha
tutte le carte in regola per piacere soprattutto ai giovani
affascinati dalle versioni contemporanee di pandemie, zombi, orrori
urbani e la cifra provocatoria che segue l'horror estremo già
dal secolo scorso. Ce lo dice il successo di vendita della serie, la
produzione dei suoi capitoli successivi, la nascita di una nuova
serie mensile (Crossed: Badlands) ancora firmata da Ennis cui
succederà Jamie Delano, e il fatto che si intraveda
all'orizzonte anche il progetto per un film.
Un'ultima,
ironica, riflessione. Garth Ennis decide di rompere... gli argini, e
osare ciò che non aveva osato prima, portando in scena sangue
e sesso, sesso e sangue... in un'orgia di orrore che risulti quanto
più perturbante per un pubblico generalista. Ma è
davvero possibile che per un maschio eterosessuale, la sorte più
spaventosa che si possa concepire sia... quella cosa lì?! Come
un feticcio, la sodomia violenta appare quasi in ogni splash page,
simile a una piccola firma beffarda. Quasi sempre presente, nelle
magistrali tavole del bravissimo Jacen Burrows, anche ai limiti del
subliminale. Ci diverte pensare che anche questo possa essere letto
in maniera simbolica. Il vero valore di Crossed, come della
maggior parte delle letture, consiste nell'uso che ne viene fatto. E'
il sottile confine tra meccanismo commerciale (che ci riduce a meri
acquirenti da spremere) e spunto per una lettura storica del genere
horror, che possa far scoprire al lettore giovane un panorama vasto e
variegato, pieno di regioni oscure e seducenti da esplorare.
Come
provocazione, o meglio, come sfida culturale, questa l'accettiamo di
buon grado.
Questa recensione è stata pubblicata anche su FantasyMagazine.
[Articolo di Filippo Messina]
Ottima recensione.
RispondiEliminaCondivido abbastanza il tuo giudizio, anche se mi sembra che Ennis abbia profuso anche troppa fatica per quella che, almeno originariamente, non era certo l'inizio di un franchise ma soltanto una "marchetta". Bello il montaggio incrociato, belle le citazioni ovunque, ma alla fine sa tutto di già visto, e non sconvolge più di tanto.
Molto interessante l'inizio del tuo articolo, Nebbia è venuto in mente anche a me, American Psycho non l'avrei mai associato a Ennis, ma mi sa che hai ragione. :)
Impulse e il romanzo italiano non li conoscevo, proverò a recuperarli...
Quanto alla letteratura conosci la Bizarro Fiction? Carlton Mellick III ?