martedì 28 novembre 2023

Un'altra serialità è possibile - Seconda Parte


Torniamo a parlare di serialità alternativa. Niente di trascendentale o particolarmente trasgressivo. Semplicemente serie che pur avendo motivo di interesse non godono della ribalta mediatica riservata ad altri titoli, citati, discussi, analizzati nel dettaglio con cadenza regolare.

Ecco dunque una seconda infornata, e ricordate che non si tratta di una classifica, ma solo di una lista di serial da me ritenuti consigliabili.


Gli orrori di Dolores Roach – basato su uno spettacolo teatrale in seguito adattato in podcast, narra la storia di Dolores, compagna di un piccolo boss di quartiere a Manhattan. Un giorno la donna si ritrova incastrata per i traffici del convivente, e sconta sedici anni di prigione mentre l'uomo scompare senza lasciare traccia. Una volta uscita, tenta di riprendere faticosamente in mano la sua vita praticando massaggi, ma qualcosa va inevitabilmente storto, innescando una spirale di omicidi, cannibalismo e colpi di scena. The Horror of Dolores Roach è un teatrino del grand guignol retto tutto sulle spalle dell'istrionica Justina Machado, in cui grottesco e humor nero la fanno da padroni dall'inizio alla fine. Lo trovate su Prime TV.


From
– Curioso il fatto che di From si parli così poco. Eppure sembra piacere a tutti quelli che lo guardano. Anche la critica lo ha accolto piuttosto bene. Due stagioni (finora, una terza in produzione) di dieci episodi l'una. Un ritmo serratissimo e un concept abbastanza pauroso da togliere il sonno. Da qualche parte, non si sa dove, esiste una cittadina fantasma. Le persone vi capitano per caso mentre viaggiano su strade che conducono tutte in posti diversi. Il problema è che non appena arrivati non è più possibile andarsene. Si è in trappola e si diventa preda di creature sanguinarie e sadiche che fanno a pezzi chiunque gli capiti a tiro. L'unica cosa da fare è organizzarsi, darsi regole e cercare di condurre una parvenza di vita normale. Almeno fino al tramonto, quando i mostri iniziano la loro caccia. Le parentele con Lost (con cui condivide uno dei protagonisti, l'attore Harold Perrineau) sono palesi. Un luogo enigmatico dove si manifestano fenomeni soprannaturali. Una comunità di persone disperse costrette a convivere con una minaccia costante e tante domande in attesa di risposta. Il punto è che From funziona, spaventa e diverte. Per essere l'epigono di un cult ha una sua forte personalità, e merita la visione. Su Paramount +.



The Watcher – Poliziesco? Mistery? True crime? The Watcher è una strana creatura televisiva, che si dice ispirata a fatti realmente accaduti. Basata in particolare su un articolo di giornale che avrebbe sviscerato l'inquietante vicenda relativa alla casa maledetta di Westfield nel New Jersey. La famiglia Brannock, padre, madre e due figli, acquista una casa che sembra perfetta per condurre una vita comoda e tranquilla. Una vera casa dei sogni. Qualcosa, però, inizia subito ad andare storto. I vicini sono strani, invadenti e misteriosi. Ma soprattutto qualcuno inizia a scrivere loro delle lettere poco rassicuranti. Qualcuno che sembra sapere tutto della storia precedente della casa, degli eventi che vi si sono svolti, e che osserva i nuovi abitanti con intenzioni non proprio amichevoli. E' l'inizio di un incubo. Lo trovate su Netflix. 



Shrinking – Strizzacervelli allo sbando. Il dramedy (ma che pende più sul comedy) prodotto da Apple TV è una piccola perla di ironia garbata. Scherzare sulla psicoterapia e i terapeuti è un classico, ma qui si fa sul serio. Per ridere, ovviamente. Jason Seagal, che figura anche tra gli ideatori dello show, dipinge un ritratto agrodolce di padre, marito vedovo e terapeuta che si rivela più in crisi dei suoi pazienti. Ma tutto il cast è al massimo, compreso un Harrison Ford in formissima e l'esplosiva Jessica Williams. Se non lo avete ancora visto, potete recuperarlo su Apple TV+.


Calls – Una delle serie più sperimentali degli ultimi anni. Calls, infatti, si presenta come serie televisiva, ma sotto molti aspetti avrebbe potuto essere un podcast. La serie ideata dal regista Fede Alvarez per la piattaforma Apple TV, è una sorta di provocazione antitelevisiva estrema, più vicina al radiodramma. Ogni episodio riproduce una conversazione telefonica mentre sullo schermo lampeggiano astratti disegni geometrici. L'intero racconto è racchiuso nelle parole, nelle reazioni di chi parla e negli eventi che descrivono. Siamo dalle parti della fantascienza, ma anche del soprannaturale in un'accezione più ampia. Quasi un “Ai confini della realtà” senza il supporto delle immagini. Stranissimo e suggestivo. Su Apple TV+, ultimamente generoso di proposte originali.


Le Fate Ignoranti - La Serie – A circa vent'anni dall'uscita in sala del suo film omonimo, il regista Ferzan Özpetek riprende temi e personaggi e confeziona una serie televisiva per Disney+. Era proprio necessario? A essere pignoli no. Eppure la versione seriale de Le Fate Ignoranti non è affatto spiacevole. Qualche cambio di prospettiva sacrifica un po' il twist iniziale del film, ma i nuovi interpreti sono simpatici, e l'approfondimento delle storyline dei comprimari interessante. Un'occhiata, dopotutto, la merita. Come già detto: su Disney+.



Full Monty – La serie – Da Full Monty, il film di Peter Cattaneo, di anni ne sono passati invece quasi trenta. In questo caso non siamo in presenza di un remake, ma di un seguito parecchio tardivo. Anche qui è lecito interrogarsi sul senso dell'operazione. E anche qui la risposta potrebbe essere: perché no? Full Monty – La serie non è una mera riproposizione dello stesso spunto del film del 1997, ma una rimpatriata con i suoi personaggi invecchiati, e un aggiornamento di alcune dinamiche sociali che purtroppo non sono troppo cambiate. Un cast di attori in gran forma, delle divertenti trovate narrative, dialoghi fulminanti e una trama agrodolce che conquista. A un vecchio amico non si nega un saluto affettuoso. Su Disney+.


Paranormal – Una serie egiziana sul soprannaturale prodotta da Netflix, ispirata a un ciclo di romanzi dello scrittore Ahmed Khaled Tawfik. Qualcosa di insolito, per noi occidentali, abituati a osservare il tema del paranormale attraverso le maglie di una cultura completamente diversa. Paranormal narra le vicende di Refaat Ismail, medico egiziano che a seguito di un trauma infantile ha sviluppato un atteggiamento difensivo freddo e rigidamente razionale. Eppure sembra che qualcosa che non appartiene a questo mondo abbia preso a seguirlo e a insinuarsi nelle vite di tutti quelli che gli sono vicini. Una catena di eventi terrificanti apparentemente slegati tra loro, ma in realtà connessi da un obiettivo finale. In bilico tra horror, commedia e dramma, Paranormal è un piccolo gioiello che attinge a miti e leggende metropolitane dell'Egitto per raccontare il rapporto dell'umanità con l'ignoto. L'attore Ahmed Amin, famoso in patria per i suoi ruoli comici, interpreta qui un personaggio indimenticabile, il cui scetticismo granitico è messo a dura prova. Da scoprire su Netflix.



The Lefovers – E' una serie del 2014, conclusa nel 2017 dopo tre stagioni. Mi si potrebbe obiettare che è passata di cottura. Ma la inserisco ugualmente nella lista per un motivo molto valido. Tuttora è una serie sottovalutatissima e vista solo da pochi eletti volenterosi. Ed è un peccato, perché stiamo parlando di una delle serie televisive più belle, strane e ben scritte da che ho memoria. Al timone c'è Damon Lindelof, che recupera alcuni degli espedienti di sceneggiatura usati in Lost per narrare una storia corale che sotto certi aspetti ha tutte le carte in regola per contendere il trono al celebratissimo cult. Alla base di The Leftovers c'è il romanzo omonimo (in Italia si intitola Svaniti nel nulla) di Tom Perotta. Un giorno, senza nessuna spiegazione, il 2% della popolazione mondiale scompare senza lasciare traccia. Un evento mistico? Un enigmatico piano alieno? Il misterioso accadimento stravolge la vita sul pianeta in termini culturali suscitando le più sconcertanti reazioni personali e di massa. Il romanzo di Perotta è interamente adattato nella prima stagione, mentre le successive due sono il risultato del lavoro di scrittura di Lindelof, cui l'autore originale ha comunque fornito assistenza come supervisore. Una saga enigmatica a cavallo tra dramma e mistery, magnificamente interpretata. Da vedere. Attualmente si trova su Netflix.



The Midnight Club – La penultima delle serie ideate da Mike Flanagan per Netflix, e forse quella meno chiacchierata. Sicuramente meno della miniserie Midnight Mass. Quasi niente a confronto della recente The Fall of the House of Usher, che chiude la lunga collaborazione del regista con la piattaforma streaming. Come mai? E' vero che la serie è stata cancellata dopo appena una stagione, e questo non è mai un bel biglietto da visita. C'è da considerare anche il tema, non troppo allegro, ispirato al romanzo di Christopher Pike. Il Rotterham è un hospice, cioè una struttura ospedaliera che ospita malati terminali che trascorrono tra le sue mura le loro ultime settimane di vita. Compito dell'istituto è rendere quanto più agevole il loro cammino verso il crepuscolo. Il Rotterham è specializzato nell'accogliere pazienti molto giovani, cosa che rende ancora più tragico il concept di base. I ragazzi affrontano la situazione ognuno a suo modo, e cercano la catarsi in riunioni di mezzanotte in cui si raccontano storie paurose. Il patto che li lega è che quanti di loro andranno via per primi dovranno fare di tutto per contattare gli altri, e dimostrare che una vita dopo la morte esiste. 

La cancellazione della serie non deve scoraggiare la visione dell'unica stagione esistente. In primo luogo perché la qualità è alta. In secondo perché, sebbene Flanagan abbia poi pubblicato un articolo in cui rivelava i suoi piani per il seguito mai girato, l'unica stagione di The Midnight Club si regge benissimo in piedi da sola. Le ambiguità, le domande senza risposta, hanno tutte una funzione allegorica che si incastra perfettamente nel clima del racconto. La resistenza alle avversità della vita, il valore dell'amicizia e l'accettazione della morte. Non è affatto impossibile riuscire a rispondere da soli agli elementi (in verità pochi) rimasti insoluti. Siamo davanti a dei simboli, e i simboli vanno interpretati più che spiegati. Quindi date una possibilità a The Midnight Club, che in definitiva è uno show più speranzoso e ottimista di quanto ci si potrebbe aspettare. Ruth Codd, qui al suo esordio, è strepitosa, e fa sempre piacere rivedere Heather Langenkamp. Su Netflix. 



domenica 26 novembre 2023

Doctor Who: Speciale 60 - Star Beast

 



Il Dottore è tornato.

Russell T. Davies è tornato.

E' tornato David Tennant.

E' tornata Catherine Tate.

E siamo tornati noi. I whovians, il pubblico.

Credo.

Diciamo che il primo episodio speciale prodotto in occasione del sessantesimo compleanno dello show iniziato nel lontano 1963, sa farsi voler bene. Non solo per una serie di graditi ritorni su schermo, ma per l'emozione generale che suscita in molti spettatori affezionati. La sensazione di essere tornati finalmente a casa, dopo un porzione di viaggio strana, lunga... non sgradevole, ma neppure confortevole. La run curata da Chris Chibnall e interpretata da Jodie Whittaker nel ruolo del tredicesimo Dottore, infatti, pur presentando elementi intriganti non era stata esattamente il massimo. Chibnall aveva ingranato la marcia e intrapreso sentieri impervi, forse animato da un'ansia di rinnovamento non del tutto ponderata che più che altro aveva portato caos nello show, presentando twist narrativi che allontanavano il personaggio centrale dalla sua visione originale e ne minavano i presupposti più amati. Anche la scrittura di molti episodi non era stata gran che ispirata. Il ritmo s'era rivelato spesso fiacco. La scelta di introdurre una squadra di comprimari al posto della tradizionale spalla unica aveva appesantito la narrazione anziché arricchirla, e tutto l'impianto aveva finito col soffrirne perdendo freschezza. Nel complesso, una sensazione di potenziale sprecato.

E adesso?

Questo speciale che inaugura un nuovo corso è davvero così bello?

Non si tratta di questo. Tutto è ancora da scoprire. Anche perché sappiamo già che il ritorno di David Tennant, quattordicesima incarnazione del Timelord che riprende uno dei suoi volti più carismatici, è soltanto temporaneo, e l'hype per conoscere il vero nuovo Dottore, l'attore angloruandese Ncuti Gatwa è alto.

Allora perché questo entusiasmo?

L'ho detto nelle prime righe. La sensazione, almeno per adesso, è quella di un felice ritorno alle origini. Non solo per il riapparire di volti noti, ma per la scrittura, il modo di narrare il protagonista e il suo rapporto con il resto del cast. Un riallineamento che fa ben sperare.

Lo speciale intitolato “Star Beast” è l'inizio di un nuovo percorso che si ammanta di nostalgia e promette di recuperare il tempo perduto. I toni trascurati nelle stagioni precedenti. Ed è curiosamente... un cinecomic.

Sì, perché l'ossatura dell'episodio si basa su un fumetto, uno dei tanti episodi disegnati che sono stati dedicati al Timelord nel corso dei suoi sessantanni di vita.

Star Beast” nasce nel 1980 come storia a fumetti pubblicata dalla Marvel Comics UK, sceneggiata da Pat Mills e John Wagner (ideatori di Judge Dredd) e disegnata da Dave Gibbons (che qualche anno dopo avrebbe realizzato il celeberrimo “Watchmen” su testi di Alan Moore). L'avventura vedeva come protagonista il Dottore televisivo al tempo in carica, il quarto per la precisione, interpretato dall'attore Tom Baker, e metteva al suo fianco Sharon, la prima companion afro della storia.

A più di quarant'anni di distanza, Russell T. Davies attinge a quel racconto a fumetti, lo vernicia, lo svecchia e lo innesta sulla nuova mitologia televisiva, mettendo al centro un evento che i fans attendevano da tempo: la reunion del Dottore con Donna Noble, la compagna più insolita dello show, e anche una delle più sfortunate, riprendendo le fila di un discorso lasciato in sospeso parecchi anni fa.


Che dire, quindi?

Per cominciare, che è bello rivedere vecchi amici e sperimentare le sensazioni di un tempo. Che David Tennant fosse nato per impersonare il Dottore era una cosa già metabolizzata. Il suo ritorno, sia pure breve, nello show non può che suscitare entusiasmo oltre che clamore. Lo stesso vale per Catherine Tate e la felice chimica che ancora oggi si avverte tra i due attori. E poi c'è Rose. Una nuova Rose (nomen omen), interpretata dall'attrice transgender Yasmine Finney, traghettatrice per un nuovo corso, portatrice di istanze potenti, e di una battuta chiave che farà scoppiare il fegato agli avversatori della cultura woke, già di malumore dall'annuncio del casting di Ncuti Gatwa come primo Dottore nero.


Ma Doctor Who è sempre stato questo. Uno show proiettato nel futuro. Pazzo, anarchico e meravigliosamente queer. Chi pensava che il ritorno del Timelord al genere maschile rappresentasse un passo indietro su un determinato fronte, resterà deluso. E sono solo cavoli suoi.

Di Doctor Who ci piace proprio questo. La sua capacità di cambiare, di adattarsi, magari di sbagliare e fallire, come la run imperfetta gestita da Chibnall. E la possibilità di tornare indietro, ma conservando lo sguardo all'oggi, al domani, alla possibilità di un mondo migliore, facendo battere i suoi due cuori. Quello del protagonista e quello condiviso dal suo pubblico in tutto il mondo.






giovedì 23 novembre 2023

Capolinea Malaussène: fine del viaggio e grazie di tutto


Alla fine ce l'ha fatta, Daniel Pennac, a sfornare l'ultimo capitolo della quasi quarantennale saga della tribù dei Malaussène, iniziata nel lontano 1985 con Il paradiso degli orchi. Un'attesa lunghetta, e anche pericolosa per l'autore e i suoi lettori. 
Infatti, Il caso Malausséne – Mi hanno mentito, era uscito nel 2017 e si interrompeva con un irritante “Continua”, alla maniera delle più recenti saghe cinematografiche, spesso divise in più parti. Cinque anni di astinenza per leggere quello che si annunciava come il definitivo addio a un cast di personaggi diventato di romanzo in romanzo affollatissimo. Una trama labirintica, come sempre quando si parla dei Malausséne, a metà strada tra il noir e la commedia surreale, in cui una nuova generazione di protagonisti affiancava quelli storici dimostrandosi altrettanto imprevedibile. 


Il pericolo consisteva proprio nell'intima interconnessione tra i due romanzi spezzati da quel letale “À Suivre”, e nei cinque anni trascorsi tra un volume e l'altro. Orientarsi tra i mille accadimenti, decine di personaggi vecchi e nuovi, e non perdersi dopo l'intervallo non era facile. Lo stesso riassunto, all'inizio del nuovo libro, è più uno sberleffo al lettore che la sintesi degli eventi già narrati. Sintetico, ironico, inutile. Quasi un invito a tuffarsi in acqua per imparare a stare a galla da soli. E la paura di annegare c'era, e neppure poca. Eppure, l'ormai settantanovenne Pennac fa centro per l'ennesima volta. 

Capolinea Malaussène è un vero gioco di fuoco che fa di tutto per concludere col botto la mitologia dell'amatissima e disfunzionale famiglia di Belleville le cui avventure ci hanno tenuto compagnia per ben trentotto anni. Sarà veramente l'ultimo capitolo? Pennac aveva annunciato un primo addio ai suoi personaggi già una ventina d'anni fa, per poi proseguire a spizzico con nuove storie. Era evidente che congedarsi da Benjamin e gli altri non era facile per lui come per noi. Ma tutto ha una fine. O così pare. Certo, il buon Pennac non è più un ragazzino, ma chi può dire che cosa farà? Come scriveva lui stesso in Storia di un corpo, la vera età di una persona non si calcola in base alla sua data di nascita, ma in base ai passi che la separano dalla tomba. E questo rimane imponderabile. Soprattutto se parliamo di uno scrittore estroso e prolifico. 

In Capolinea Malaussène ritroviamo tutti gli ingredienti che ci hanno fatto amare il cocktail nero-rosa-piccante-dolceamaro-frizzante-torcibudella della saga. I complessi intrecci polizieschi. L'umorismo beffardo. Il tono da commedia improvvisamente interrotto da esplosioni di violenza che sconfinano nell'horror. E poi c'è quell'atmosfera da resa dei conti, da sfida all'O.K. Corral. La conversazione con un vecchio amico che mentre ci parla sta mettendo le sedie sul tavolo, chiudendo le finestre e preparando i catenacci. 


Capolinea Malaussène è un libro che lascia senza fiato tanto è affollato da personaggi, dettagli e citazioni. Un rondò che riprende tutti i temi trattati nei libri precedenti, riassume quella che è diventata una vera e propria “lore” (come dicono oggi quelli bravi) e la arricchisce con spunti inediti. Nuovi personaggi, nuove suggestioni... e uno spettacolare villain, malvagio e insidioso come mai ne abbiamo incontrati tra le pagine dello scrittore francese. Una vera festa d'addio dedicata al lettore e ai suoi eroi, dove pare di sfogliare un vecchio album di famiglia mentre si stanno vivendo nuove esperienze. E quel twist! Anzi due twist. Ma facciamo anche tre. Non ve li aspetterete proprio. I lettori di fumetto seriale americano, certe cose le chiamano “retrocontinuity”. Vale a dire la rivelazione di retroscena importanti taciuti durante la narrazione principale che a un tratto emergono per cambiare le carte in tavola. Beh, nel suo feuilleton contemporaneo, Daniel Pennac fa tesoro di questo espediente, e picchia duro, imbastendo una serie di colpi di scena che hanno l'effetto di una mascoliata finale prima del botto definitivo. 

E' veramente la fine? Non vedremo più Benjamin, Julie, Jeremy, Thérèse, gli altri fratelli, sorelle, nipoti e i tanti amici che nel tempo hanno formato con loro la più allargata delle famiglie? Secondo le intenzioni di Pennac, sembrerebbe di no. Poi chi lo sa! Aver visto sin dagli anni 80 dei personaggi nascere, crescere, e oggi agire da adulti, è stato un po' come vivere un'esistenza parallela. Daniel Pennac si è meritato un posto importante nella corte dei romanzieri internazionali, e la tribù Malaussène è diventata un vero mito moderno. Giusto che avesse la sua conclusione. Epica, come meritava. 

Ma una lacrimuccia ci sta tutta.


lunedì 2 ottobre 2023

Dieci Anni, ma sempre presenti

 


Dieci anni senza Altroquando. Ma anche dieci anni di resistenza per continuare a esistere.


Tanto è trascorso dalla chiusura della prima fumetteria storica di Palermo e dalla scomparsa del suo fondatore, Salvatore Rizzuto Adelfio. Oggi, in occasione di questo decimo anniversario, è il momento di ricordare quell'esperienza culturale e la persona che l'ha resa possibile. Come allora, dall'apertura sul Cassaro di Palermo nel lontano 1991, si comincia dai fumetti, con una serie di eventi che esordiranno presso i locali di Comix Green, altra fumetteria storica della città, e proseguiranno in ordine sparso nei prossimi mesi. Il 12 ottobre alle 16:30 presso Comix Green in via Pignatelli Aragona 78, si aprirà la mostra intitolata “Memorie da un Altroquando”. Una vasta raccolta di omaggi grafici che Salvatore Rizzuto Adelfio, titolare di Altroquando, ha collezionato sin dai primi anni 90 fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 2013. Opere nate spontaneamente dalla creatività dei giovani frequentatori della libreria, aspiranti fumettisti e illustratori, alcuni dei quali oggi hanno intrapreso una carriera da professionisti. Immagini promozionali, caricature del titolare, brevi storie a fumetti e altre esplosioni di libera creatività. Una collezione che narra una lunga stagione culturale e la sua naturale evoluzione a cavallo di due secoli. Il fermento di una Palermo in cui leggere e fare fumetto, ma anche inventarsi e mettersi in gioco, era una passione ancora nuova e piena di entusiasmo. Quella allestita presso Comix Green dall'attuale gruppo Altroquando, crew culturale che ha raccolto il testimone della precedente attività, sarà la prima di una serie di mostre che non vogliono essere solo un nostalgico sguardo al passato, ma si propongono come memoria storica a una città che, da Salvatore Rizzuto Adelfio e dalla sua libreria, ha ricevuto un'importante spinta creativa in grado di mettere insieme arte, divertimento e impegno sociale.

Ci sarà sempre un Altroquando, anche fuori dalle mura anguste di una bottega. Altroquando oggi è un tag culturale che si occupa di divulgare le tante declinazioni del narrare, partendo dai fumetti per parlare di vita, storia e società. E le radici sono sempre una parte importante nella storia di ognuno di noi.

Dopo l'inaugurazione, la mostra si potrà visitare durante gli orari lavorativi di Comix Green (10 -13; 16-19:30) fino a sabato 14 ottobre 2023.





mercoledì 6 settembre 2023


In memoria del regista Giuliano Montaldo, appena scomparso, oggi vi propongo uno dei suoi film meno ricordati, visibile gratuitamente su Rai Play.

Circuito Chiuso
, film surreale, inquietante, claustrofobico e oggi dimenticato dai più, merita di essere recuperato, superando i pregiudizi che si potrebbero nutrire per un prodotto italiano televisivo di fine anni '70. Nato per la TV, acclamato al Festival Internazionale del Cinema di Berlino nel 1978, il film di Montaldo fu a un passo dall'essere distribuito al cinema, ma per ragioni contrattuali rimase confinato allo spazio televisivo. Circuito Chiuso è una parabola surreale, quasi horror sul rapporto tra spettacolo e pubblico. In un piccolo cinema romano, durante la proiezione di un film western, uno spettatore è assassinato con un colpo di pistola. Il pubblico viene trattenuto dalla polizia e si cerca di riprodurre gli eventi della giornata in cerca del misterioso, assassino mentre tra i presenti le tensioni crescono e un sociologo che si trovava in sala azzarda una strana, inquietante teoria.

Una metafora sul cinema e lo show business in generale che, fruito acriticamente, ci uccide e si nutre di noi. Praticamente un antesignano di Nope di Jordan Peele, che attinge dichiaratamente anche a elementi della narrativa di Ray Bradbury.

Un film ingiustamente considerato minore nella carriera del grande regista scomparso. Una novella "creepy" che conserva ancora oggi tutta la sua potenza simbolica, grazie anche a un cast affiatato di attori tra cui spicca l'indimenticato Flavio Bucci.

venerdì 25 agosto 2023

In Memoriam


 

10 anni oggi dalla scomparsa di Salvatore Rizzuto Adelfio. Senza di lui, Altroquando a Palermo non sarebbe mai esistito. Senza di lui tutte le cose che ho fatto negli ultimi anni non le avrei nemmeno pensate. Senza di lui la nostra città sarebbe stata un luogo più vuoto e più triste. Più di un libraio. Più di un attivista. Più di un amico. Più di un compagno di vita.

Il ragno radioattivo che mi ha morso.

Il Maestro Splinter che mi ha addestrato.

L’Abin Sur che mi ha affidato il suo anello del potere.

Lo Xavier che mi ha insegnato che la diversità è un dono.

I miei occhi e il mio cuore.

Il mio altro quando.


Sempre presente. Mai dimenticato.

Ci sarà sempre un Altroquando.





mercoledì 9 agosto 2023

The Full Monty - La serie

 


Devo ammettere che ci credevo poco in questo The Full Monty – La serie, seguito realizzato per la visione domestica e disponibile sul catalogo Star di Disney Plus. Diciamolo. Il film cult del 1997 diretto da Peter Cattaneo non aveva realmente bisogno di un seguito. La storia dei sei disoccupati inglesi che per far fronte alla povertà si improvvisano spogliarellisti e “vanno fino in fondo” per offrire un valore aggiunto assente negli show professionali, si concludeva lì, nel momento in cui sul palcoscenico cadeva l'ultimo velo. Il teatro gremito, la folla divertita, il botteghino traboccante incassi che, almeno per un po', avrebbero permesso ai protagonisti di riprendere fiato.

Il senso di The Full Monty era questo. Non solo il resoconto di un'iniziativa grottesca ispirata dalla necessità economica, ma anche l'allegoria di un'umanità duttile, disposta a reinventarsi e a mettere in discussione se stessa al di là delle aspettative sociali. Sei uomini distanti dall'immaginario presentato dalle riviste patinate. Alcuni grassi, altri troppo magri, avanti negli anni, goffi o semplicemente negati per la danza. Il vero messaggio di The Full Monty erano la solidarietà tra poveri, la creatività e l'autoironia come strumento di sopravvivenza. Ricordo che alla sua uscita, la sinistra italiana non spese parole gentili per il film di Peter Cattaneo. Il segretario di Rifondazione Comunista Fausto Bertinotti lo bollò come farsa che metteva in burla i serissimi problemi dei lavoratori disoccupati, e sollecitò la sua base a preferirgli la visione di Brassed Off (Grazie, signora Thatcher) di Mark Herman, arrivato da noi quasi in contemporanea.


Lo spunto centrale dei due film era simile. L'ondata di licenziamenti in Inghilterra conseguente alla politica thatcheriana, lo spettro dell'indigenza per molte famiglie, la dignità negata e la crescente disperazione. In Grazie, signora Thatcher prevaleva senza troppi filtri l'elemento tragico. A nessuno dei membri dei minatori che suonavano nella banda locale saltava in mente di spogliarsi per far soldi. Qualcuno tentava pure di suicidarsi (succedeva anche in The Full Monty), e prevaleva una generale amarezza. Diciamo pure che il film di Mark Herman si presentava come un prodotto più “serio”, meno incline all'ironia, più cattivo nella sua opera di denuncia sociale.

Non che The Full Monty scherzasse su questo versante. Lo scenario di base non era mica da ridere. Niente lavoro, famiglie allo sbando, disoccupati in età che non trovano nuovi sbocchi... Persino l'organizzazione dello striptease maschile aveva qualcosa di disperato. Quello che forse sfuggiva al compagno Bertinotti era la rilevanza dell'umorismo britannico, spesso nerissimo, nell'affrontare i drammi quotidiani, e l'inno alla resistenza cantato dalle chiappe operaie al vento nel festoso finale.

Il film del 1997 rappresentava dunque una parabola conclusa in sé, per la quale nessun sequel sembrava avere ragione di esistere. La recente ondata di revival cinematografici e televisivi, con la sua mediocrità commerciale, non faceva sperare in niente di diverso. Davanti all'annunciato sequel di The Full Monty era stato facile pensare: Beh, sappiamo cosa vedremo. Ritroveremo i sei amici invecchiati, ancora una volta in una situazione di necessità. E per far fronte ai problemi dovranno replicare la loro esibizione di ventisei anni prima. E' un copione telefonatissimo.

Invece non è così.


Capiamoci. The Full Monty – La serie rimane un seguito non necessario. Quasi la totalità dei sequel prodotti non lo sono. Come rimane un'operazione di revival prescindibile. Ma la confezione è talmente accattivante e la sensazione di ritrovarsi con dei vecchi amici talmente simpatica, che la visione vale comunque il tempo speso. Se qualcuno si aspetta una replica, sia pure aggiornata, della trama del primo film, rimarrà deluso. No, stavolta non si organizza nessuno spogliarello. Nessuno va “fino in fondo” e neppure pensa di farlo. L'epica sequenza del film originale è celebrata da una divertentissima scena fan service, motivata da un contesto coerente ma del tutto imprevedibile.

Quello che rimane fedele allo spirito del primo The Full Monty è la denuncia di uno stato sociale carente, le cui storture sono sofferte dai più fragili, per i quali arginare le regole diventa l'unica opzione possibile. Un dramedy, come si chiamano oggi, in virtuoso equilibrio tra denuncia, dramma e humor nero, sullo sfondo di un momento di gloria passato in cui si è mostrato il culo nudo alla povertà, ridendole in faccia e facendola arretrare di qualche passo se non proprio sconfiggendola.


I sei protagonisti tornano tutti a calcare la scena con il supporto di qualche new entry ben caratterizzata. Robert Carlyle è sempre Gaz, e per il suo personaggio, folle e incontrollabile come allora, sembra quasi che il tempo non sia trascorso. Mark Addy, il corpulento Dave, ha una vita regolare come bidello in una scuola in cui sua moglie Jean, laureatasi nel frattempo, è diventata dirigente scolastico. Come allora rappresenta il cuore del gruppo, il suo aspetto più umano e insospettabilmente eroico. Gerald è in pensione e passa le sue giornate seduto al bistrò che Lomper gestisce con il marito mentre Guy, la sua fiamma di un tempo, si arrangia come può con una discutibile agenzia assicurativa. Il vecchio Barrington detto Cavallo, infine, ha ottenuto un sussidio di invalidità che fatalmente sta per scadere...

Il seguito di The Full Monty è simile a una rimpatriata dolceamara tra vecchi compagni di scuola in cui ci si conta le rughe e si confrontano i rispettivi traguardi e fallimenti. Non so se a Fausto Bertinotti piacerebbe più del prototipo. Sebbene nessuno si cali i pantaloni, l'ironia tutta british rimane lo scudo più forte con cui parare gli attacchi della sorte avversa. Eppure il senso di ingiustizia sociale è palpabile, crudo, e non si può non provare affetto per questi guerrieri del quotidiano affidati alle performance di attori e attrici da urlo.


Era necessario? Probabilmente no. E' piacevole? Assolutamente sì. Il messaggio è sempre lo stesso. Contro uno stato assente, spesso vessatorio, l'unico modo per difendersi è restare uniti. Resistere e tentare, forse solo per fallire. Ma come diceva Samuel Beckett, per avere la possibilità di andare avanti e fallire ancora. Fallire meglio. E restare umani.