mercoledì 9 agosto 2023

The Full Monty - La serie

 


Devo ammettere che ci credevo poco in questo The Full Monty – La serie, seguito realizzato per la visione domestica e disponibile sul catalogo Star di Disney Plus. Diciamolo. Il film cult del 1997 diretto da Peter Cattaneo non aveva realmente bisogno di un seguito. La storia dei sei disoccupati inglesi che per far fronte alla povertà si improvvisano spogliarellisti e “vanno fino in fondo” per offrire un valore aggiunto assente negli show professionali, si concludeva lì, nel momento in cui sul palcoscenico cadeva l'ultimo velo. Il teatro gremito, la folla divertita, il botteghino traboccante incassi che, almeno per un po', avrebbero permesso ai protagonisti di riprendere fiato.

Il senso di The Full Monty era questo. Non solo il resoconto di un'iniziativa grottesca ispirata dalla necessità economica, ma anche l'allegoria di un'umanità duttile, disposta a reinventarsi e a mettere in discussione se stessa al di là delle aspettative sociali. Sei uomini distanti dall'immaginario presentato dalle riviste patinate. Alcuni grassi, altri troppo magri, avanti negli anni, goffi o semplicemente negati per la danza. Il vero messaggio di The Full Monty erano la solidarietà tra poveri, la creatività e l'autoironia come strumento di sopravvivenza. Ricordo che alla sua uscita, la sinistra italiana non spese parole gentili per il film di Peter Cattaneo. Il segretario di Rifondazione Comunista Fausto Bertinotti lo bollò come farsa che metteva in burla i serissimi problemi dei lavoratori disoccupati, e sollecitò la sua base a preferirgli la visione di Brassed Off (Grazie, signora Thatcher) di Mark Herman, arrivato da noi quasi in contemporanea.


Lo spunto centrale dei due film era simile. L'ondata di licenziamenti in Inghilterra conseguente alla politica thatcheriana, lo spettro dell'indigenza per molte famiglie, la dignità negata e la crescente disperazione. In Grazie, signora Thatcher prevaleva senza troppi filtri l'elemento tragico. A nessuno dei membri dei minatori che suonavano nella banda locale saltava in mente di spogliarsi per far soldi. Qualcuno tentava pure di suicidarsi (succedeva anche in The Full Monty), e prevaleva una generale amarezza. Diciamo pure che il film di Mark Herman si presentava come un prodotto più “serio”, meno incline all'ironia, più cattivo nella sua opera di denuncia sociale.

Non che The Full Monty scherzasse su questo versante. Lo scenario di base non era mica da ridere. Niente lavoro, famiglie allo sbando, disoccupati in età che non trovano nuovi sbocchi... Persino l'organizzazione dello striptease maschile aveva qualcosa di disperato. Quello che forse sfuggiva al compagno Bertinotti era la rilevanza dell'umorismo britannico, spesso nerissimo, nell'affrontare i drammi quotidiani, e l'inno alla resistenza cantato dalle chiappe operaie al vento nel festoso finale.

Il film del 1997 rappresentava dunque una parabola conclusa in sé, per la quale nessun sequel sembrava avere ragione di esistere. La recente ondata di revival cinematografici e televisivi, con la sua mediocrità commerciale, non faceva sperare in niente di diverso. Davanti all'annunciato sequel di The Full Monty era stato facile pensare: Beh, sappiamo cosa vedremo. Ritroveremo i sei amici invecchiati, ancora una volta in una situazione di necessità. E per far fronte ai problemi dovranno replicare la loro esibizione di ventisei anni prima. E' un copione telefonatissimo.

Invece non è così.


Capiamoci. The Full Monty – La serie rimane un seguito non necessario. Quasi la totalità dei sequel prodotti non lo sono. Come rimane un'operazione di revival prescindibile. Ma la confezione è talmente accattivante e la sensazione di ritrovarsi con dei vecchi amici talmente simpatica, che la visione vale comunque il tempo speso. Se qualcuno si aspetta una replica, sia pure aggiornata, della trama del primo film, rimarrà deluso. No, stavolta non si organizza nessuno spogliarello. Nessuno va “fino in fondo” e neppure pensa di farlo. L'epica sequenza del film originale è celebrata da una divertentissima scena fan service, motivata da un contesto coerente ma del tutto imprevedibile.

Quello che rimane fedele allo spirito del primo The Full Monty è la denuncia di uno stato sociale carente, le cui storture sono sofferte dai più fragili, per i quali arginare le regole diventa l'unica opzione possibile. Un dramedy, come si chiamano oggi, in virtuoso equilibrio tra denuncia, dramma e humor nero, sullo sfondo di un momento di gloria passato in cui si è mostrato il culo nudo alla povertà, ridendole in faccia e facendola arretrare di qualche passo se non proprio sconfiggendola.


I sei protagonisti tornano tutti a calcare la scena con il supporto di qualche new entry ben caratterizzata. Robert Carlyle è sempre Gaz, e per il suo personaggio, folle e incontrollabile come allora, sembra quasi che il tempo non sia trascorso. Mark Addy, il corpulento Dave, ha una vita regolare come bidello in una scuola in cui sua moglie Jean, laureatasi nel frattempo, è diventata dirigente scolastico. Come allora rappresenta il cuore del gruppo, il suo aspetto più umano e insospettabilmente eroico. Gerald è in pensione e passa le sue giornate seduto al bistrò che Lomper gestisce con il marito mentre Guy, la sua fiamma di un tempo, si arrangia come può con una discutibile agenzia assicurativa. Il vecchio Barrington detto Cavallo, infine, ha ottenuto un sussidio di invalidità che fatalmente sta per scadere...

Il seguito di The Full Monty è simile a una rimpatriata dolceamara tra vecchi compagni di scuola in cui ci si conta le rughe e si confrontano i rispettivi traguardi e fallimenti. Non so se a Fausto Bertinotti piacerebbe più del prototipo. Sebbene nessuno si cali i pantaloni, l'ironia tutta british rimane lo scudo più forte con cui parare gli attacchi della sorte avversa. Eppure il senso di ingiustizia sociale è palpabile, crudo, e non si può non provare affetto per questi guerrieri del quotidiano affidati alle performance di attori e attrici da urlo.


Era necessario? Probabilmente no. E' piacevole? Assolutamente sì. Il messaggio è sempre lo stesso. Contro uno stato assente, spesso vessatorio, l'unico modo per difendersi è restare uniti. Resistere e tentare, forse solo per fallire. Ma come diceva Samuel Beckett, per avere la possibilità di andare avanti e fallire ancora. Fallire meglio. E restare umani.




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