martedì 8 agosto 2023

Quelle classi così speciali... anzi, differenziali...

 


Le parole della giornalista Concita De Gregorio, pubblicate sul quotidiano La Repubblica nell'articolo intitolato Il valore di un selfie hanno fatto il giro della rete scatenando una selva di (giuste) polemiche.

Il casus belli è stata la bravata di una comitiva di giovani turisti tedeschi a Villa Alceo, dimora storica di Viggiù. I ragazzi avrebbero realizzato un video in cui giocavano con la statua di una fontana ottocentesca, rimasta gravemente danneggiata. Fatto di per sé grave, che si aggiunge a un altro episodio recente. L'incisione dei nomi di altri giovani stranieri sulle pietre del Colosseo a Roma. Gesti da cui emergono inconsapevolezza, spregio del patrimonio pubblico e una sconfortante superficialità.

Poi... c'è il commento scritto dalla giornalista su Repubblica. Una sfuriata legittima, ma espressa in termini altrettanto costernanti. Non si tratta soltanto dell'uso di parole come “decerebrati” e il paragone dei protagonisti del gesto vandalico a persone con disturbi cognitivi. De Gregorio fa riferimento anche ai tempi delle cosiddette “classi differenziali”, orrenda istituzione scolastica risalente ai primi anni 70, affermando che sarebbero state il posto ideale per questi sciocchi influencer. Un posto in cui una maestra avrebbe detto loro «vieni, tesoro, sillabiamo insieme. Prima però pulisciti la bocca.»

La polemica riguarda l'atteggiamento abilista che pervade l'articolo, l'accostamento di un comportamento sciocco al quotidiano drammatico degli individui con deficit mentali, ma anche l'allusione a quella vecchia, fortunatamente superata, realtà scolastica in termini che suonano quasi nostalgici. Praticamente un recinto dove rinchiudere i cretini per trattarli con il paternalismo (e lo spregio) che gli sarebbe dovuto.

Concita De Gregorio ha provveduto a pubblicare delle scuse. Oddio, se vogliamo chiamarle così. Si premura, infatti, di lamentare subito il peso del “politicamente corretto” che appesta la sinistra italiana limitando anche la libertà di espressione di giornalisti come lei. Più che delle scuse, una conferma. Qualcosa che mi rammenta un episodio scolastico del quale fui testimone ai tempi del liceo quando, dopo una lite furiosa tra ragazzine, una delle due, costretta a scusarsi da un insegnante, si rivolse all'altra borbottando tra le lacrime: «Va bene, ti chiedo scusa. Ma confermo che sei una puttana!»

Peggio ancora. Mi ricorda proprio le classi differenziali. Perché io c'ero. Le ho viste, nella mia scuola elementare, e ne rammento il profondo orrore. All'epoca, tra gli operatori scolastici, erano chiamate “classi speciali”. La parola “speciale” diventava dunque un eufemismo dal significato terrificante. Un'etichetta che alludeva a una condizione triste, malata, diversa, e a uno spazio apposito in cui essere confinati con altri derelitti non conformi al consesso dei “normali”.

Le classi differenziali, ironia della lingua, erano in realtà delle vere e proprie riserve in cui bambini con problemi eterogenei erano stipati senza nessuna attenzione specifica alle loro necessità peculiari. Luoghi in cui erano ammassati senza criterio ragazzi down, bambini con disparate forme di deficit psichico, ma anche altri con deformità fisiche, spastici, gente con problemi motori e di fonazione, ma perfettamente sana dal punto di vista mentale. Insomma, quelle classi, più che “differenziali”, erano un indifferenziato recinto di soggetti identificati come freaks, dove bambini sfortunati, spesso provenienti da famiglie di estrazione proletaria, erano vigilati alla maniera di animaletti da tenere al guinzaglio finché la campana non annunciava la fine delle lezioni.

Le ho viste quelle classi, quando avevo otto anni, e ne rammento il clima da piccolo lager con la faccia da clown gioviale. Nei corridoi della scuola, visto che ero schivo e silenzioso, venivo spesso scambiato per uno dei tanti bambini “speciali” che eludevano la sorveglianza e vagavano per l'istituto. Ricordo la sufficienza del personale scolastico, la pietà mista a malcelata insofferenza.

E ricordo anche altro.

Ricordo Rodolfo (lo chiameremo così), bambino di scuola elementare, più grande di me di qualche anno, che frequentava la quinta mentre io ancora ero in terza. Rodolfo aveva evitato di finire rinchiuso nelle classi differenziali. Non saprei come. La logica di quella ignobile istituzione avrebbe dovuto collocare anche lui in quegli spazi, ma la misericordia del caso gli risparmiò questa pena accessoria. Sì, perché Rodolfo era affetto dalla sindrome di Tourette, un disturbo raro del sistema nervoso che rende la persona vittima di mille tic incontrollabili, movimenti inconsulti e strani, ti costringe a urlare senza filtri quello che ti passa per la testa e a ripetere (ecolalia) ad alta voce frasi e parole che ti è appena capitato di ascoltare.

Ovviamente, Rodolfo era tristemente noto a scuola. Se non altro, i suoi compagni di classe, che lo conoscevano meglio, lo trattavano in modo protettivo. Capitavano, però, certe circostanze. L'assenza di un insegnate malato, un vuoto che la scuola sotto organico non poteva sopperire impiegando un supplente. La prassi, allora, era quella di smistare gli alunni del maestro assente presso altre classi, anche di grado inferiore, in modo che trascorressero la giornata parcheggiati altrove.

Fu così che conobbi Rodolfo e la sua malattia, durante una di queste trasferte. Per via dell'assenza del loro maestro, questi ragazzi più grandi finirono a sedere nei nostri banchi. L'assenza del docente si protrasse per qualche giorno e avemmo così modo di conoscerci un po'. Le caratteristiche di Rodolfo suscitavano sconcerto, una punta di paura e tanta curiosità. Ai nostri occhi infantili il ragazzo sembrava posseduto da uno spirito maligno che si baloccava con il suo corpo come fosse una marionetta. Succedeva di sentirlo improvvisamente urlare versi incomprensibili o battere le mani e torcersi nel banco, fare eco alle parole del maestro nel bel mezzo della lezione. Rodolfo era un ragazzo intelligente, di sicuro più preparato di me. Ricordo che fu da lui che sentii per la prima volta l'espressione “radice quadrata”. Nella mia classe non le avremmo mai studiate e tuttora la matematica per me, presunto normodotato, ha parecchie zone d'ombra.

Non so cosa sia stato di Rodolfo, ma non fatico a credere che abbia portato avanti gli studi con profitto a dispetto del caos apparente suggerito dal suo disturbo. Il peggio era vederlo entrare nella nostra aula scortato dal bidello, rosso in viso, umiliato e quasi in lacrime, perché un insegnante non lo aveva voluto accogliere nella propria classe. Quel ragazzo problematico che sembrava indemoniato, urlava, si agitava e gli faceva il verso, non lo voleva proprio tra i piedi. Assolutamente no. Via, se ne vada al diavolo e lo subisca qualcun'altro! Il porco non aveva fatto nulla per nascondere la sua avversione, e le conseguenze emotive su Rodolfo erano state devastanti. Un gesto di un'insensibilità atroce, che in una scuola dovrebbe essere bandito, ma che all'epoca era la squallidissima norma.

Non andava molto meglio con il nostro maestro, quello che l'aveva accolto con apparente disponibilità. Vecchio stronzo ignorante, fascista e assenteista, che all'ennesimo grido irrefrenabile di Rodolfo commentò mestamente così, a voce alta, quasi fosse una nobile dichiarazione d'intenti:

«Dio oggi mi ha dato questa croce. Pazienza! L'altro maestro lo sopporta tutto l'anno. Io solo per un giorno. Che ci vogliamo fare? Ognuno ha la sua pena.»

Quell'uomo era una merda e un pessimo insegnante. Lo dico con il cuore in mano.

Ricordiamocelo ogni volta che siamo tentati di dire che stavamo meglio prima, quando potevamo fottercene della sensibilità altrui, dei diritti altrui, delle diversità e delle condizioni sociali che non ci riguardano direttamente. Quando potevamo sfogarci o addirittura divertirci senza doverci preoccupare di offendere nessuno e suscitare aspre critiche a causa di questo nuovo obbligo al rispetto, a detta di alcuni ipocrita e temporaneo... come una stupida moda.

Quest'inclusione, questa inutile attenzione al linguaggio, a parole che feriscono e a volte uccidono anche.

Ricordiamocelo, per favore.

sabato 5 agosto 2023

Addio a Giuseppe Montanari


Ci ha lasciati Giuseppe Montanari, disegnatore che in coppia con il collega Ernesto Grassani, ha firmato un gran numero di episodi di Dylan Dog tra la serie regolare e vari speciali.
Il suo era un tratto classico ma estremamente riconoscibile che insieme a tanti altri elementi ha contribuito a plasmare il mito dell'indagatore dell'incubo come oggi lo conosciamo.
Tra le storie più celebri ricordiamo Le notti della luna piena, Killer, La zona del crepuscolo, Ossessione, Scritto con il sangue, I segreti di Ramblyn.
Un pezzo di storia del fumetto che conserveremo gelosamente nella nostra memoria.

Grazie di tutto.






mercoledì 2 agosto 2023

Gruppo Sostegno Ragazze Sopravvissute [di Grady Hendrix]

 


Grady Hendrix è una delle firme della narrativa horror statunitense più quotate della scena contemporanea. Lo stile in bilico tra umorismo nero e perturbante gli ha permesso di emergere in mezzo a una folla di penne più standardizzate, e i suoi romanzi, come Horrostör e L'esorcismo della mia migliore amica, hanno scalato le vette delle classifiche di vendita acclamati da critica e lettori. Peccato che in Italia sia tradotto con il contagocce.

The Final Girl Support Group, pubblicato in America nel 2021, grosso successo editoriale e opzionato per una serie televisiva prodotta dal canale HBO Max, arriva da noi con un certo ritardo, pubblicato da Mondadori con il titolo Gruppo Sostegno Ragazze Sopravvissute. Beh, meglio tardi che mai. Anche perché la stessa versione originale del libro di Hendrix aveva avuto una genesi travagliata che si presta a riflessioni interessanti. Infatti, Hendrix aveva iniziato a lavorare alla bozza del suo romanzo già nel 2014, ma aveva scelto di prendersi una pausa quando il collega Riley Sager, prolifico autore di thriller, aveva annunciato di stare scrivendo un libro che si sarebbe intitolato Final Girls basato sull'archetipo della ragazza che per ultima si confronta con l'assassino dei film slasher e in genere è l'unica a sopravvivere. Il romanzo di Sager sarebbe andato in stampa nel 2017, e non ci avrebbe messo neppure tanto ad essere tradotto dalle nostre parti, pubblicato da Giunti con il titolo Final Girls – Le sopravvissute. Successivamente, Hendrix avrebbe affermato che l'intervallo creativo, necessario per non saturare il mercato e la percezione dei lettori con due opere basate sul medesimo argomento, aveva giovato alla sua opera, dandogli il tempo di maturare nuove idee e riscrivere tutta la seconda parte con risultati a suo giudizio superiori alla prima stesura.

Beh, da appassionato di horror e di slasher, non appena il libro è uscito da noi l'ho divorato. Giusto qualche mese dopo aver terminato la lettura del romanzo di Sager, curiosissimo di confrontare due diversi approcci a un tema così iconico. 



Prima impressione? La prosa di Riley Sager è più incravattata. Canonica, diciamo. Senz'altro piacevole, ma fortemente ancorata a certi stilemi del racconto poliziesco. Grady Hendrix è invece un giullare dell'horror, consumatore bulimico di tutte le sue sfaccettature in ambito letterario, cinematografico e fumettistico. Qualcuno che se ne fotte dell'originalità (ormai dovremmo saperlo, è un concetto sopravvalutato) e sguazza nel divertimento più sfrenato senza rinunciare a interpretazioni semiotiche (mamma mia, che parolone!) che offrono al lettore bizzarri spunti di riflessione sui temi e le figure che lo appassionano di più.

Non si può negare che i due romanzi abbiano tra loro numerosi punti di contatto. Entrambi si basano su un mito dell'immaginario horror: la final girl, la ragazza finale, figura femminile che al termine di un sanguinoso viaggio nell'orrore si dimostra più forte, astuta e resiliente di altri, reagendo e ribaltando il suo ruolo di vittima tenendo testa a un mostro in apparenza inarrestabile, a volte riuscendo persino a eliminarlo. Icona di una femminilità emancipata in cui l'oggetto della violenza evolve e diventa soggetto, prende il controllo della sua vita e strappa lo scettro, spesso identificato con armi bianche dalla dichiarata simbologia fallica, all'assassino di turno.


Non è tutto qui. I romanzi di Sager e Hendrix condividono anche le linee generali del plot. Il setting di entrambe le opere è l'esistenza delle sopravvissute nel mondo reale, la loro resistenza in un contesto mediatico che le assedia rendendo ancora più ardua l'elaborazione dei loro traumi, e il ritorno dal passato di un'ombra minacciosa che sembra voler fare piazza pulita delle sopravvissute rimaste per portare a termine la catena omicida rimasta incompleta anni prima.

Due romanzi sotto un certo punto di vista gemelli, ma anche profondamente diversi per stile e intenti. In comune, le opere di Sager e Hendrix hanno anche la componente metatestuale, inevitabile all'interno di narrazioni che sono fortemente debitrici a un immaginario di origine cinematografica. In tutti e due i libri è possibile riconoscere parentele con titoli che hanno fatto la storia del genere horror sul grande schermo. Ma se l'approccio di Sager alla tradizione filmica è sussurrato e agisce sottotraccia, nel romanzo di Grady Hendrix ogni riferimento assume un carattere più esplicito e giocoso. Un lavoro che potremmo definire “decostruzionista” di una serie sterminata di archetipi, in grado di plasmare una mitologia indipendente, fruibile anche da chi non ha particolare dimestichezza con le regole del genere slasher.

The Final Girl Support Group parte dal presupposto che le vicende narrate nella maggior parte dei più celebri film horror siano realmente accadute. Il cinema vi ha attinto e messo in moto una macchina commerciale voyeuristica non sempre agevole per chi quei fatti li ha vissuti, è sopravvissuta a stento e ora conduce una vita da riluttante celebrità. Una differenza importante dal romanzo di Reily Segar è che le protagoniste del libro di Hendrix sono praticamente le stesse delle storie viste in sala. Magari le loro peripezie differiscono in qualche dettaglio (il cinema, si sa, ci mette del suo), qualche generalità non è quella che ricordiamo (alcune hanno il nome dell'attrice che le ha interpretate), ma le final girls che si riuniscono una volta al mese in un gruppo di reciproco sostegno sotto la supervisione di una psicologa, sono quelle vere, le eroine dei principali classici del genere.


Dani è sopravvissuta due volte alle aggressioni del fratello evaso da una struttura psichiatrica e tornato a cercarla durante la notte di Halloween. Adrienne si è salvata a stento dalla furia omicida di un folle che ha massacrato il personale di un campeggio estivo vedendo in loro i responsabili della morte del figlio. Marilyn è sfuggita a un clan di macellai cannibali che imperversava nella provincia rurale americana. Julia ha dovuto vedersela con un serial killer mascherato da fantasma risoluto a trasformare in realtà i principali topoi dei film horror. Heater, la più incasinata, è l'unica superstite alle gesta di un assassino paranormale che ha il potere di materializzarsi nei sogni delle vittime, e Lynette è scampata all'eccidio della sua famiglia, massacrata il giorno di Natale da un folle vestito da Santa Claus.

Nella cronologia del romanzo, gli eventi dei più famosi slasher (Halloween, Venerdì 13, Non aprite quella porta, Scream, Nightmare on Elm Street, Silent Night, Deadly Night) si sono svolti nelle date di uscita dei singoli film. Le ragazze sopravvissute sono andate avanti, spesso sopravvivendo a dei veri e propri “sequel” delle loro tragedie personali. Sì, perché come nella finzione cinematografica, anche nella realtà gli assassini psicopatici tendono a tornare, o qualcuno si mette in testa di emularli e la superstite è un ghiotto bersaglio che non potrà mai smettere di guardarsi le spalle. Intanto il tempo è trascorso e le final girls di una volta non sono più delle ragazzine. Le loro vite, marchiate dagli orrori vissuti, sono andate avanti. Non sempre nel migliore dei modi. Adrienne è riuscita a sfruttare al meglio i proventi delle fiction ispirate alla sua esperienza e ha fondato utili attività di sostegno per persone traumatizzate. Heather, la sopravvissuta al killer dei sogni, è diventata una cinica tossica, che si nega il sonno e ha sviluppato un rapporto molto conflittuale con il mondo della veglia. Marilyn, scampata a stento a un gigante armato di motosega, si è sposata con un uomo facoltoso e vive organizzando eventi mondani. Anche Dani si è sposata e conduce una vita ritirata in un ranch accudendo la sua compagna, oggi malata terminale. Julia, il principale bersaglio dell'assassino chiamato Fantasma, ha riportato lesioni alla colonna vertebrale lottando con l'ennesima incarnazione della sua nemesi, ha scritto dei libri e si è vista sottrarre il patrimonio da un ex marito inaffidabile.

E poi... c'è Lynette, la cui storia è diversa da quella di tutte le altre.

L'incubo ricomincia quando Adrienne è brutalmente uccisa nel suo appartamento, dopo aver trovato nel frigorifero la testa mummificata del pazzo omicida da lei stessa decapitato per autodifesa anni prima. E' l'inizio di un intrigo vorticoso, in cui si susseguono eventi macabri e la rete si stringe intorno alle non più giovanissime sopravvissute in un morboso gioco del gatto con il topo.



A differenza con quanto succedeva nel romanzo di Sager, in The Final Girl Support Group l'intreccio mistery, sebbene importante, diventa quasi un pretesto per una fantasia nerd a briglia sciolta. A Grady Hendrix preme in primo luogo esplorare l'icona della final girl in tutte le sue possibili declinazioni. La narrazione corale permette di rivivere (o di scoprire per la prima volta) esperienze cinematografiche che hanno lasciato una forte impronta nell'immaginario collettivo, ma nello stesso tempo di studiare la filigrana culturale del tempo che le ha generate e l'origine dei più disparati cliché. L'aspetto “decostruzionista” è un ulteriore tassello del grande gioco di Grady Hendrix, in cui l'autore smonta e reinventa elementi noti in modo da renderli quanto mai veri e vitali. 



Non è un caso che il punto di vista principale del romanzo sia affidato a Lynette, la final girl “apocrifa”, che non ha ucciso il killer ma si è limitata a sopravvivere alla mattanza venendo salvata da altri. Ispirata a un personaggio di “Silent Night, Deadly Night” [Natale di sangue], film di Charlie E. Sellier Jr in cui la figura della ragazza finale è assente, Lynette riporta in vita una delle vittime più memorabili della pellicola del 1984. In questo caso, la ragazza è finale solo in quanto unica superstite. Ferita gravemente (impalata sulle corna di una testa di cervo esposta come trofeo) si è finta morta fino all'arrivo dei soccorsi, assistendo impotente all'uccisione dei suoi familiari. Lynette non è quindi l'esempio più classico di resistenza attiva. Più che un'eroina, una vittima che fatica ad affrancarsi da questo ruolo, come a volte le viene rinfacciato dalle altre protagoniste. Un personaggio che a tratti può risultare respingente tanto è nevrotica ed elusiva.


Lynette vive nel terrore che la storia si ripeta (e ne ha ben donde, visto che ha subito l'aggressione del Babbo Natale assassino già due volte). Conduce una quotidianità scandita da rituali ossessivi, tutti volti a garantirle una possibilità di fuga se non di vera sicurezza. Rifugge i contatti umani e si riduce a parlare con una pianta di peperoncino che diventa la sua principale confidente. E' chiaro che alla lunga tutti i suoi meccanismi di difesa si riveleranno inutili. Eppure toccherà proprio a lei, la più devastata, in apparenza la più fragile, dover diventare l'ago della bilancia per la battaglia finale. Lo scontro in cui le final girls, divenute donne molto diverse tra loro, a volte in aperto contrasto le une con le altre, dovranno sopravvivere un'ultima volta. Quella definitiva.


In America, The Final Girl Support Group ha avuto un'edizione in formato audiolibro di successo, affidata alla voce di Adrienne King, la final girl del primo, storico Friday the 13th del 1980. Notevole è la vicenda personale dell'attrice. Ritiratasi dopo i primi due capitoli della saga per dedicarsi alla danza, era diventata vittima di uno stalker che la perseguitò a lungo, seguendola anche quando provò a cambiare stato. Un lungo incubo a occhi aperti, fortunatamente risoltosi poi con l'arresto del persecutore, che avrebbe pesato non poco nella scelta di Adrienne di tenersi lontana dalle scene. Oggi Adrienne King è identificata come una delle prime final girls apparse sullo schermo quando il ruolo non era ancora codificato, ed è rilevante che la lettura della versione audio del romanzo di Grady Hendrix sia stata assegnata a un personaggio così iconico. In quanto attrice, in quanto donna e in quanto sopravvissuta a un pericolo reale, che ha dovuto ricorrere a una lunga terapia per superare il trauma di una persecuzione durata circa due anni.

Un ennesimo parallelismo tra finzione e realtà, tra figure del mondo e vite vissute, all'interno di un gioco metanarrativo in cui i simboli rivelano paure e sogni del nostro quotidiano.


C'è un altra citazione cinematografica nel romanzo di Hendrix, più sfumata delle altre, meno gridata, ma non per questo meno incisiva. Quella al film di Drew Goddard The Cabin in the Wood del 2011, altro gioiello metafilmico, in cui ogni pedina del racconto acquistava un ruolo ermetico all'interno di un macabro rituale fatalista. Grady Hendrix con la sua prosa densa di humor grottesco e nello stesso tempo cattivissima, ci rammenta che le storie vivono nei simboli e spesso contano per il significato che siamo in grado di dare loro anche soggettivamente.

Paradossalmente, al di là del genere, al di là del ruolo e delle circostanze, forse tutti possiamo riconoscerci nelle final girls.

E in qualche caso è magari auspicabile.




mercoledì 26 luglio 2023

Bruciare...



La Sicilia brucia, Palermo è assediata dalle fiamme. Le temperature stanno superando i 40 gradi. Non è un bello spettacolo. Non è un bel momento da attraversare.
Oggi avevo paura ad aprire le finestre di casa. Fino a ieri entrava puzza di bruciato e polvere di cenere. Un fenomeno impressionante che, per quanto si abiti in città, distante dai boschi, comunica con una certa chiarezza che nessuno è al sicuro.

Tanti, tanti anni fa (insomma, si era ragazzini), ebbi una conversazione (inutile come tante, con un mio coetaneo). L'argomento era se fosse più semplice difendersi dal freddo in inverno o dal caldo in estate (ho già detto che erano discorsi inutili). Io, da sempre temperamento invernale, affermavo che, se non sei un senzatetto, l'inverno è gestibile con coperte, maglioni e stufa. Il caldo, per me, era più insidioso e difficile da arginare.
L'altro, appassionato difensore dell'estate, rispondeva che se faceva caldo bastava stendersi all'ombra di una siepe e concludeva sentenziando (era romano): «Nun morirai mai de cardo!»
Insomma, di freddo si poteva morire. Di caldo... non si considerava nemmeno l'ipotesi, a meno di non immaginare la situazione estrema di uno scenario desertico e di una traversata sotto il sole cocente in cui fare la fine di Manon Lescaut.
In questi giorni ripenso a quell'inutile conversazione e in particolare a quest'ultima frase. Certo, eravamo nei primi anni 80, il mio amico non poteva sapere del riscaldamento globale e di cosa ci aspettava.
Non so che fine abbia fatto, ma ho il forte sospetto che nel frattempo abbia cambiato idea.
Ora sentiamo dire che quest'estate non è niente in confronto a quelle che verranno. Come se questa affermazione non significasse, tra le righe, che abbiamo i giorni contati.
Dietro gli incendi c'è sempre la mano dell'uomo, OK, e da ex ausiliario forestale questo lo so bene. Ma sono le condizioni generali che nutrono il fuoco, che lo rendono una creatura ostile quasi senziente, difficile da combattere come un kaiju che vuole solo avanzare e distruggere.

Esiste un'intera branca della fantascienza chiamata "Climate Fiction" basata sull'ipotesi dei cambiamenti climatici. Un tempo presentava scenari apocalittici spesso basati sulla glaciazione. Pensiamo a "Il mondo sottosopra" di Jules Verne. Al film di Robert Altman "Quintet". A "The Day After Tomorrow" e a "Le Transperceneige (Snowpiercer)" fumetto e film. In "Il mondo sommerso" J. G. Ballard ipotizzava già nel 1962 il discioglimento dei ghiacci polari a causa del riscaldamento globale. Octavia Butler con "La parabola del seminatore" parla dell'esaurimento delle risorse in un pianeta sempre più riarso.

Insomma, sono incubi che tendono a diventare realtà.
Non ho una conclusione saggia o propositiva per questo pensiero che sto condividendo. E' soltanto ansia. E la seria preoccupazione che, alla fine della fiera, moriremo... de cardo.

martedì 11 luglio 2023

Cittacotte 2023: Potevononesserci


 
Palermo, 10 luglio 2023

Pochi giorni al Festino di Palermo 2023. Anzi, poche ore, prima che il centro storico si affolli come di consueto per celebrare la sua ricorrenza patronale. Il miracolo di Rosalia Sinibaldi, vergine eremita morta in solitudine su Monte Pellegrino, le cui ossa condotte nel 1625 per le strade del capoluogo siciliano scacciarono la peste che affliggeva la città.

Le tradizioni contano. E nelle tradizioni ne germogliano altre, non meno importanti in quanto espressione dei tempi che cambiano e degli individui che osservano il fluire degli eventi secondo la loro peculiare sensibilità. Sono molti anni che Cittacotte, la bottega di Vincenzo Vizzari sita sul Cassaro a pochi passi da piazza Marina, dice la sua sull'importante ricorrenza palermitana. Sulla figura istituzionale di Santa Rosalia e contestualmente sull'attualità dal punto di vista di chi la città la vive senza filtri. La Santuzza del mastro della terracotta, rinnovata ogni anno, è diventata nel tempo un termometro artistico di ansie sociali. Voce muta, ma eloquente, di realtà scomode che nel gridare «Viva Palermo e Santa Rosalia!» fanno echeggiare nel cuore della festa pulsioni non omologate.


Potevononesserci, il titolo dell'installazione di questo 2023 proposta da Vincenzo Vizzari nella vetrina della sua bottega, suona ambiguo, quasi provocatorio. In modo coerente, del resto, con le tante anime della sua Santuzza, multiforme e complicata come la città di cui è simbolo.

Dopo Memento Mori, ultima composizione in ordine di tempo, e allegoria di una sofferta risurrezione dalle proprie ceneri, Potevononesserci parla ai corpi per elevare le anime e condurle a una dimensione trasgressiva, mai così anticonformista. Rosalia, stavolta, sorge da una distesa di ex voto, testimonianze materiali di grazie ricevute dai fedeli, ma anche ricordi di una tribolazione da lasciarsi alle spalle, paesaggio notturno su cui la Santuzza torna a splendere come un nuovo sole.

Stavolta, grazie all'arte di Vincenzo Vizzari, Rosalia si ammanta di più codici. Un palinsesto culturale che si innalza dalle esperienze passate per annunciare il possibile futuro. Rosalia è vista come una sorta di gorgone, Medusa dalle chiome di serpente, cui in questo caso si sostituiscono gli edifici storici di Palermo, ma in una versione sinuosa - serpeggiante, appunto – probabile espressione dei pensieri della Santa. Lo sguardo di Rosalia è incantato. Più che mutare in pietra chi incrocia il suo sguardo come la Medusa, sembra pietrificata a sua volta. E il suo viso esprime stupore, ma anche una silenziosa sfida, mentre le labbra appena schiuse accennano quello che potrebbe evolvere in un sorriso trionfale. Una mitologia rovesciata, specchiata, che contempla se stessa e si reinventa, proprio come Palermo, città contraddittoria, che alterna pulsioni autolesioniste a irrefrenabili esplosioni creative.

Potevononesserci, senza spazi tra le parole, quasi un'unica formula magica, si presta a più letture. “Avrei potuto non essere qui” alludendo alle traversie della bottega dell'artista artigiano, sempre più isolata in un quartiere storico ormai caratterizzato in prevalenza dalle attività di ristorazione. Ma anche “Sono ancora qui, nonostante tutto”. Una città, degli abitanti, sopravvissuti per un altro anno al generale degrado, ai fallimenti della politica, a un mondo che brucia sempre più velocemente. E infine: “Non potevo mancare”. Affermazione di fedeltà alla città di Palermo da parte della Santa che altro non è che un simbolo di ottimismo e resistenza alle avversità.


La Palermo viva, serpeggiante, che cresce dalla testa di Rosalia, invita alla ragione, a meditare sulla storia per non ripeterne gli errori, e possibilmente al cambiamento. Da sinistra a destra, gli edifici mutano colore, dai toni lividi a quelli più accesi fino a raggiungere lo splendore dell'oro. Il movimento suggerito dalle sagome richiama i quattro elementi. Terra, aria, acqua e fuoco, in una progressione che esalta il ciclo della vita e i colori dell'arcobaleno. Quel rainbow che è simbolo del sereno dopo la tempesta, ma anche del movimento LGBTQ+, e che si riflette sul viso androgino di Rosalia come il proposito di prevalere sull'arretratezza culturale. Gli ex voto dal colore triste fanno da collana alla Santuzza, vestigia di un passato fatto di privazioni e diritti negati. Eppure, Palermo stessa non è più corona. E' parte di lei, e fiammeggia colorata per lambire vette più alte. La fiamma del filosofo Eraclito, il divenire universale, in questo caso ispirato dall'ordine che scaturisce direttamente dalla saggezza di Rosalia. Una mente nobile, cresciuta dall'humus di più culture intrecciate, che aspira a essere pluralista e accogliente.

Un augurio e una promessa di resistenza, che non ci lascia, e ci cammina accanto, perché non può fare a meno di esserci. E' noi, è Palermo, e la sua irriducibile fantasia.

«Viva Palermo e Santa Rosalia!»


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lunedì 22 maggio 2023

Final Girls - Le sopravvissute [di Riley Sager]

 


Quello della final girl, la ragazza finale, è ormai un topos che contende la ribalta alla figura del mostro o del serial killer, suo avversario per definizione, come protagonista. 
E' un'icona, motivo di venerazione da parte dei fans della cultura horror che dibattono quale tra le protagoniste di tanti titoli cinematografici definiti slasher possa essere celebrata come la final girl perfetta.

Slasher è quel sottogenere di racconto del terrore che ha per tema un massacro eseguito in un luogo isolato da un assassino inesorabile, solitamente mascherato e munito di un'arma da taglio. Uno degli elementi di norma imprescindibili è il confronto finale tra il maniaco omicida e una figura femminile che gli resiste, gli sfugge e a volte riesce da sola a eliminarlo. Unica superstite della strage, simbolo di un istinto di sopravvivenza irriducibile quanto la furia sanguinaria dell'assassino. L'ultima ragazza, personaggio rigorosamente di sesso femminile tranne rarissime eccezioni, è in genere caratterizzata da qualche riga di dialogo che la fa spiccare in mezzo alla carne da macello dei comprimari per un minimo senso di responsabilità. Diciamo che di solito è la figura più umana in mezzo a una ciurma di manichini odiosi che non vediamo l'ora di vedere abbattere a colpi di ascia, machete o motosega. Si dice che la ragazza finale debba anche essere illibata, perché si sa, le regole del cinema horror condannano a morte chi è sessualmente attivo. Una delle ragioni per cui Venerdì 13, uscito nel 1980 sull'onda di Halloween (1978), fu accusato da qualche critico di essere un film dai pericolosi contenuti moralisti e sessuofobici.


La studiosa di cinema Carol J. Clover, nel suo saggio del 1992 intitolato Men, Women and Chainsaws [Uomini, Donne e Motoseghe] utilizzò il termine final girl per la prima volta, affermando che nella lunga serie dei film horror prodotti negli anni settanta, da molti considerati un prodotto per pettinare le fantasie violente del pubblico maschile, lo spettatore non era in verità indotto a identificarsi con la figura dell'assassino, quanto con la giovane donna sopravvissuta, personaggio resistente e destinato alla riscossa.


Final Girls è anche il titolo del romanzo dello scrittore americano Riley Sager, uno dei nomi di penna di Todd Ritter, già autore di una serie di thriller pubblicati con le sue vere generalità, e di un altro (Things Half in the Shadow, del 2014) sotto lo pseudonimo di Alan Finn. Non sarà un caso se Final Girls è il primo libro (pubblicato in America nel 2017) che Ritter ha firmato usando un nome riconducibile sia a un uomo che a una donna, e che da allora sembri avere adottato in via definitiva lo pseudonimo di Sager per le sue ulteriori produzioni letterarie.

Final Girls (da noi pubblicato con il titolo Final Girls – Le sopravvissute) non va confuso con il quasi omonimo The Final Girl Support Group di Grady Hendrix, romanzo ancora inedito in Italia che parte da premesse simili, e con il film del 2015 Final Girls, commedia horror metacinematografica diretta da Todd Strauss-Schulson con Taissa Farmiga e Malin Akerman. Tutti titoli che dimostrano ampiamente che quello della final girl è diventato un vero mito contemporaneo.


Il romanzo di Riley Sager è un thriller-mystery che prende dichiaratamente spunto dall'immaginario cinematografico per costruire un racconto di suspense con venature poliziesche imprevedibili. Potrebbe essere considerato un ideale sequel apocrifo di tanti slasher ormai ritenuti classici e un'analisi di uno dei suoi feticci più popolari: le ragazze finali del titolo. Sopravvissute, ma anche ferite dalla loro terribile esperienza, oggetto di curiosità morbosa da parte dei media e assediate dall'angoscia che l'incubo che si sono lasciate alle spalle possa a un tratto ricominciare. Cosa che al cinema, peraltro, succede puntualmente.


Lisa, Samantha e Quincy sono tre ragazze sopravvissute a eventi traumatici simili. Tre stragi avvenute in diverse parti degli Stati Uniti con modalità che ricordano in modo impressionante quelle di celebri titoli cinematografici. Tutte e tre sono state battezzate dalla stampa final girls, ma le loro reazioni a quanto hanno vissuto sono state differenti. Lisa, unica superstite alla mattanza in un convitto di studentesse, ha scritto un libro sulla sua esperienza, ha una vita social molto attiva e appare frequentemente nei talk show. Samantha, sopravvissuta alla strage perpetrata nell'alberghetto in cui lavorava, si è invece chiusa a riccio, finendo col fare perdere del tutto le sue tracce. Quincy si è salvata a stento dal massacro dei suoi amici, radunati per celebrare il compleanno di una di loro in uno chalet in mezzo ai boschi, e ora cura un blog di cucina, convive con un giovane avvocato e ha sviluppato una dipendenza dagli ansiolitici. 


A dieci anni dai fatti di sangue che le hanno poste sotto i riflettori, la pressione mediatica sulle tre giovani donne non ha accennato a diminuire, ma la vera svolta consiste nell'improvviso suicidio di Lisa, in apparenza la più forte tra loro, trovata morta nella vasca da bagno del suo appartamento con i polsi tagliati. Quincy, sconvolta dalla morte di Lisa con cui aveva avuto sporadici contatti telefonici, riceve a un tratto la visita di Samantha, la terza sopravvissuta scomparsa anni prima per sottrarsi alle attenzioni della stampa. Nell'aria c'è qualcosa di strano. Lisa si è davvero suicidata? O qualcuno ha intenzione di terminare il lavoro lasciato incompiuto?


Final Girls è un gioco letterario che intriga soprattutto gli appassionati di cinema horror e in particolar modo di slasher. Sottogenere fortemente codificato che, alla fine degli anni novanta, il regista Wes Craven con la serie di Scream ha saputo decostruire e nello stesso rilanciare nel nuovo secolo. Sin dalle prime pagine del romanzo di Sager è chiaro per il lettore che qualcosa non quadra e che quello che sembra presentarsi quasi come un sequel lo porterà inevitabilmente anche a visitare il passato. Nello specifico, quello di Quincy Carpenter (sì, come John Carpenter, regista di Halloween) che ha perso la memoria e ricorda solo alcuni sprazzi della terribile notte trascorsa nei boschi intorno a Pine Cottage, quando tutti i suoi amici sono stati massacrati.

Ogni storia retrospettiva che ha generato una final girl è un dichiarato omaggio alla filmografia di genere. La strage cui è sopravvissuta Lisa, quella nel convitto femminile, echeggia il classico Black Christmas (1974) di Bob Clark, ritenuto uno dei titoli fondatori dello slasher. Il massacro dell'hotel che vede come protagonista Samantha è un ibrido di più cliché, ed evoca nella figura dell'uomo mascherato sotto un sacco di iuta la prima apparizione di Jason Voorhees, il killer di Friday the 13th, nel secondo episodio della saga. Così come l'esperienza di Quincy, circondata da amici adolescenti dediti all'alcol, alla marijuana e al sesso facile sullo sfondo di un campeggio tra i boschi allude all'iconico Crystal Lake in cui a un tratto si presenta qualcuno armato di coltellaccio.

Stavolta, però, la scena è tutta dedicata alle sopravvissute. Donne che hanno già attraversato l'inferno e ne portano ancora addosso le cicatrici fisiche e psicologiche. La figura della final girl, pertanto, guadagna ulteriore spazio e tempo per essere approfondita. Non è più la ragazza terrorizzata, sporca di sangue, urlante e in fuga o disperatamente risoluta a sopravvivere vista sullo schermo. Non solo almeno. E'... sono soggetti che soffrono un disturbo post traumatico e si affannano per sopravvivere a un quotidiano in cui la prospettiva di un'esistenza normale è solo un'illusione, spazzata via da ricordi angoscianti e dall'inesauribile curiosità morbosa di chi le circonda. Un bersaglio, forse un premio da conquistare. Qualcosa di oggettivato che lotta disperatamente per affrancarsi, diventare soggetto e riprendere il controllo della propria vita, in antitesi con il simbolo fallico del pugnale e le tante insidie di un mondo superficiale, rapace, non meno violento dell'assassino che le bracca.


Final Girls
di Riley Sager è un romanzo tutt'altro che perfetto. Divertente per gli appassionati, intrigante per chi cerca un mystery in cui perdersi, soffre però di qualche lungaggine che a metà libro provoca una battuta d'arresto e fa temere il definitivo spiaggiamento della trama. Un intoppo evitabile, comunque riscattato da una successiva ripresa, quando il romanzo ingrana la marcia, il velo sul passato inizia a lacerarsi, e le rivelazioni incalzano.

In definitiva, consigliabile a chi ama il thriller e certo cinema horror. In attesa che l'editoria italiana ci proponga in traduzione anche The Final Girl Support Group, tra l'altro già opzionato per una serie TV, gli appassionati di slasher troveranno pane per i loro denti nel romanzo di Sager. Una lettura facile, rapida, che magari inciampa, ma sa tirarsi su e arrivare (sanguinante) a tagliare il traguardo. Proprio come una final girl da manuale.



sabato 29 aprile 2023

Ecco... Azazelo. Un podcast sulle storie


E' passato un po' di tempo da quando ho pubblicato un podcast. Intendo un classico podcast audio, di quelli che si scaricano e si ascoltano mentre fai altro.

Mi mancava parlare a ruota libera dei miei interessi. Di fumetti, di libri, di cinema, di immaginario. Così ho pensato di tornare a mettermi in gioco.

Il mio podcast precedente si intitolava Gli Amori di Altroquando, ed è stata una bella avventura. Realizzarlo, però, era un po' laborioso, giacché interagivo con la voce di un amico immaginario, il diavoletto Azazelo, e creare un audio dialogato tutto da solo alla lunga mi aveva sfiancato.

Oggi vi propongo AZAZELO. Sì, il mio amico immaginario torna, ma in una forma diversa. Come folletto che parla al posto mio, interpreta voci dal passato e contribuisce ironicamente alla narrazione. Azazelo conquista il titolo, insomma, e diventa un podcast dedicato alle storie. Tutti i tipi di storia. Fumetti, narrativa, cinema, storie personali. Tutto.

Partiamo con un episodio zero per rompere il ghiaccio e definire il format. Mi farebbe piacere ricevere i vostri commenti, sapere se vi diverte e cosa secondo voi può essere migliorato.

AZAZELO avrà anche la sua playlist sul canale Youtube, ma potete trovarlo principalmente sulla piattaforme dedicata Podcaster Spotify (ex Anchor) e sulla maggior parte dei podcast player

Grazie per l'attenzione e che le storie (e Azazelo) siano con voi.