Quello della final girl, la
ragazza finale, è ormai un topos che contende la ribalta alla figura
del mostro o del serial killer, suo avversario per definizione, come
protagonista. E' un'icona, motivo di venerazione da
parte dei fans della cultura horror che dibattono quale tra le
protagoniste di tanti titoli cinematografici definiti slasher possa
essere celebrata come la final girl perfetta.
Slasher è quel sottogenere di racconto del terrore che ha per tema un massacro eseguito in un luogo isolato da un assassino inesorabile, solitamente mascherato e munito di un'arma da taglio. Uno degli elementi di norma imprescindibili è il confronto finale tra il maniaco omicida e una figura femminile che gli resiste, gli sfugge e a volte riesce da sola a eliminarlo. Unica superstite della strage, simbolo di un istinto di sopravvivenza irriducibile quanto la furia sanguinaria dell'assassino. L'ultima ragazza, personaggio rigorosamente di sesso femminile tranne rarissime eccezioni, è in genere caratterizzata da qualche riga di dialogo che la fa spiccare in mezzo alla carne da macello dei comprimari per un minimo senso di responsabilità. Diciamo che di solito è la figura più umana in mezzo a una ciurma di manichini odiosi che non vediamo l'ora di vedere abbattere a colpi di ascia, machete o motosega. Si dice che la ragazza finale debba anche essere illibata, perché si sa, le regole del cinema horror condannano a morte chi è sessualmente attivo. Una delle ragioni per cui Venerdì 13, uscito nel 1980 sull'onda di Halloween (1978), fu accusato da qualche critico di essere un film dai pericolosi contenuti moralisti e sessuofobici.
La studiosa di cinema Carol J. Clover, nel suo saggio del 1992 intitolato Men, Women and Chainsaws [Uomini, Donne e Motoseghe] utilizzò il termine final girl per la prima volta, affermando che nella lunga serie dei film horror prodotti negli anni settanta, da molti considerati un prodotto per pettinare le fantasie violente del pubblico maschile, lo spettatore non era in verità indotto a identificarsi con la figura dell'assassino, quanto con la giovane donna sopravvissuta, personaggio resistente e destinato alla riscossa.
Final Girls è anche il titolo del romanzo dello scrittore americano Riley Sager, uno dei nomi di penna di Todd Ritter, già autore di una serie di thriller pubblicati con le sue vere generalità, e di un altro (Things Half in the Shadow, del 2014) sotto lo pseudonimo di Alan Finn. Non sarà un caso se Final Girls è il primo libro (pubblicato in America nel 2017) che Ritter ha firmato usando un nome riconducibile sia a un uomo che a una donna, e che da allora sembri avere adottato in via definitiva lo pseudonimo di Sager per le sue ulteriori produzioni letterarie.
Final Girls (da noi pubblicato con il titolo Final Girls – Le sopravvissute) non va confuso con il quasi omonimo The Final Girl Support Group di Grady Hendrix, romanzo ancora inedito in Italia che parte da premesse simili, e con il film del 2015 Final Girls, commedia horror metacinematografica diretta da Todd Strauss-Schulson con Taissa Farmiga e Malin Akerman. Tutti titoli che dimostrano ampiamente che quello della final girl è diventato un vero mito contemporaneo.
Il romanzo di Riley Sager è un thriller-mystery che prende dichiaratamente spunto dall'immaginario cinematografico per costruire un racconto di suspense con venature poliziesche imprevedibili. Potrebbe essere considerato un ideale sequel apocrifo di tanti slasher ormai ritenuti classici e un'analisi di uno dei suoi feticci più popolari: le ragazze finali del titolo. Sopravvissute, ma anche ferite dalla loro terribile esperienza, oggetto di curiosità morbosa da parte dei media e assediate dall'angoscia che l'incubo che si sono lasciate alle spalle possa a un tratto ricominciare. Cosa che al cinema, peraltro, succede puntualmente.
Lisa, Samantha e Quincy sono tre ragazze sopravvissute a eventi traumatici simili. Tre stragi avvenute in diverse parti degli Stati Uniti con modalità che ricordano in modo impressionante quelle di celebri titoli cinematografici. Tutte e tre sono state battezzate dalla stampa final girls, ma le loro reazioni a quanto hanno vissuto sono state differenti. Lisa, unica superstite alla mattanza in un convitto di studentesse, ha scritto un libro sulla sua esperienza, ha una vita social molto attiva e appare frequentemente nei talk show. Samantha, sopravvissuta alla strage perpetrata nell'alberghetto in cui lavorava, si è invece chiusa a riccio, finendo col fare perdere del tutto le sue tracce. Quincy si è salvata a stento dal massacro dei suoi amici, radunati per celebrare il compleanno di una di loro in uno chalet in mezzo ai boschi, e ora cura un blog di cucina, convive con un giovane avvocato e ha sviluppato una dipendenza dagli ansiolitici.
Final Girls è un gioco letterario che intriga soprattutto gli appassionati di cinema horror e in particolar modo di slasher. Sottogenere fortemente codificato che, alla fine degli anni novanta, il regista Wes Craven con la serie di Scream ha saputo decostruire e nello stesso rilanciare nel nuovo secolo. Sin dalle prime pagine del romanzo di Sager è chiaro per il lettore che qualcosa non quadra e che quello che sembra presentarsi quasi come un sequel lo porterà inevitabilmente anche a visitare il passato. Nello specifico, quello di Quincy Carpenter (sì, come John Carpenter, regista di Halloween) che ha perso la memoria e ricorda solo alcuni sprazzi della terribile notte trascorsa nei boschi intorno a Pine Cottage, quando tutti i suoi amici sono stati massacrati.
Ogni storia retrospettiva che ha generato una final girl è un dichiarato omaggio alla filmografia di genere. La strage cui è sopravvissuta Lisa, quella nel convitto femminile, echeggia il classico Black Christmas (1974) di Bob Clark, ritenuto uno dei titoli fondatori dello slasher. Il massacro dell'hotel che vede come protagonista Samantha è un ibrido di più cliché, ed evoca nella figura dell'uomo mascherato sotto un sacco di iuta la prima apparizione di Jason Voorhees, il killer di Friday the 13th, nel secondo episodio della saga. Così come l'esperienza di Quincy, circondata da amici adolescenti dediti all'alcol, alla marijuana e al sesso facile sullo sfondo di un campeggio tra i boschi allude all'iconico Crystal Lake in cui a un tratto si presenta qualcuno armato di coltellaccio.Stavolta, però, la scena è tutta dedicata alle sopravvissute. Donne che hanno già attraversato l'inferno e ne portano ancora addosso le cicatrici fisiche e psicologiche. La figura della final girl, pertanto, guadagna ulteriore spazio e tempo per essere approfondita. Non è più la ragazza terrorizzata, sporca di sangue, urlante e in fuga o disperatamente risoluta a sopravvivere vista sullo schermo. Non solo almeno. E'... sono soggetti che soffrono un disturbo post traumatico e si affannano per sopravvivere a un quotidiano in cui la prospettiva di un'esistenza normale è solo un'illusione, spazzata via da ricordi angoscianti e dall'inesauribile curiosità morbosa di chi le circonda. Un bersaglio, forse un premio da conquistare. Qualcosa di oggettivato che lotta disperatamente per affrancarsi, diventare soggetto e riprendere il controllo della propria vita, in antitesi con il simbolo fallico del pugnale e le tante insidie di un mondo superficiale, rapace, non meno violento dell'assassino che le bracca.
In definitiva, consigliabile a chi ama il thriller e certo cinema horror. In attesa che l'editoria italiana ci proponga in traduzione anche The Final Girl Support Group, tra l'altro già opzionato per una serie TV, gli appassionati di slasher troveranno pane per i loro denti nel romanzo di Sager. Una lettura facile, rapida, che magari inciampa, ma sa tirarsi su e arrivare (sanguinante) a tagliare il traguardo. Proprio come una final girl da manuale.
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