Non è trascorso molto tempo da quando Dave Lizeswski è sopravvisuto allo scontro con una delle più spietate famiglie criminali di New York. Kick-Ass è un nome ormai popolare in rete, quasi ai livelli di un vero supereroe, di quelli che esistono solo nei fumetti. Mindy Macready, smessi i panni della letale Hit-Girl, si divide tra la sua nuova vita di bambina normale, con la fragile madre, il suo pacato patrigno poliziotto e sessioni di allenamento con Dave, più che mai intenzionato a diventare il più figo dei vigilanti metropolitani. Ma non c'è più la sola sagoma di Kick-Ass a pattugliare le strade. Una nuova schiatta di variopinti eroi improvvisati è entrata in azione. Emuli esaltati e dal passato ambiguo, impegnati in ordinari soccorsi ai cittadini come in veri e propri blitz ai danni di piccoli delinquenti. Le forze dell'ordine, in principio, sembrano tollerare questa bizzarria. Ma la vendetta di Red Mist, giovane erede di Genovese, il gangster eliminato da Hit-Girl e Kick-Ass, si è fatta attendere anche troppo, e una legione di altrettanto sgargianti sicari è pronta a scatenare una vera guerra di bande...
Il primo Kick-Ass di Mark Millar e John Romita Jr. si distingueva per l'estro grottesco, l'ironia pungente che impregnava anche le scene più brutali in modo quasi tarantiniano, e il senso di straniamento suscitato dall'infrangersi fragoroso dei sogni da supereroe contro lo scoglio di una realtà troppo cruda e spietata. L'archetipo nerd messo a confronto con il reale scontro fisico, il sangue, la morte, cui facevano da cornice farneticazioni fumettistiche di un'ingenuità disarmante, funzionava alla grande. Si trattava di un gioco malizioso su una delle fantasie adolescenziali più diffuse e superficiali. Insomma, il primo Kick-Ass era una satira spigliata e riuscita del genere supereroistico senza sconto alcuno. Un buon successo editoriale successivamente edulcorato dall'industria hollywoodiana e livellato, sullo schermo, a un cinefumetto più tradizionale e sostanzialmente innocuo. A suo modo, Kick-Ass, con il suo brio al vetriolo, era riuscito a conquistare lo status di nuova icona a fumetti, allontanando finalmente il britannico Mark Millar dalle derive più commerciali dove cinismo e violenza avevano il medesimo valore enfatico delle bollicine della Coca-Cola.
Questa attesa seconda stagione, purtroppo, non fa che confermare il principio secondo il quale un'opera riuscita farebbe meglio a restare intonsa, e si inchina (come prima, peggio di prima) a logiche di mercato che iniziano peraltro a risultare datate e stucchevoli. Se la prima serie, infatti, poteva contare su un buon ritmo, personaggi azzeccati e un riuscito crescendo narrativo, Kick-Ass 2 procede invece per accumulo, e soffre della sindrome da sequel che affligge la maggior parte dei blockbuster cinematografici di cui è prodotto un secondo capitolo. La ricetta consueta è un maggior numero di personaggi, più carne al fuoco, più mezzi, più azione (non importa se motivata o meno), e in questo caso più violenza, ma imboccando sentieri differenti dal primo episodio, metaforico e sardonico. Mark Millar ricade goffamente nel suo complesso da provocatore d'accatto.
Ispirato sin dai suoi esordi dai rudi codici stilistici sdoganati dall'irlandese Garth Ennis (Preacher, The Boys), aggiungendo di suo l'abbattimento dei riferimenti etici ed estremizzando l'estetica della crudeltà, Millar aveva già da tempo superato in kitsch il suo maestro (il quale, parallelamente, per ovvi meccanismi di osmosi commerciale, ha preso di recente ad assomigliare sempre più al suo discepolo) e si era ritagliato un cosmo personale concretizzato nel marchio Millarworld. Le spacconate anticatartiche di Wanted, le profanazioni iconiche di Ultimates, hanno tenuto banco per lungo tempo. Ed è quel Mark Millar che vediamo tornare a fare capolino tra le tavole di Kick-Ass 2. Un seguito dove l'ironia è quasi del tutto scomparsa, lasciando il posto a uno stolido sberleffo da bulletto di quartiere. Dove la violenza (che pure, nel primo ciclo, non mancava) subisce qui un'ulteriore iniezione di testosterone e gratuita infrazione di tabù, non lesinando sull'infanticidio e lo stupro di massa. Il problema è che Kick-Ass, sin dal suo assunto di partenza, vorrebbe rifarsi (più o meno consapevolmente) alla teoria sociologica secondo la quale la fiction è sempre più influenzata dalla realtà e la realtà finisce per essere sempre più influenzata dalla fiction. Il gioco dovrebbe essere (così era, almeno, nel primo episodio) quello di far crollare il castello di carte, e sbugiardare ogni pretesa di epicità. Ma stavolta il meccanismo va in tilt, e a farne le spese sono logica e divertimento. Disturba un po' l'iniziale, esagerata assenza delle forze di polizia davanti al dilagante fenomeno dei vigilanti in maschera, cui subentra un massiccio intervento (e una goffa citazione) solo in funzione della trama lineare, lasciando il quadro generale confuso e appena abbozzato. Una lunga sequenza di personaggi che vorrebbero apparire tosti, ma che altro non sono che fotocopie sbiadite del ben più spiazzante Big Daddy. Inoltre, rispetto al primo, originale Kick-Ass le dinamiche sono cambiate, e – come avvenuto per ragioni di target nella pellicola tratta dal fumetto – Kick-Ass 2 deraglia sui binari della prevedibilità, dell'equazione caduta-rivincita, e di un più canonico meccanismo supereroistico (sia pure in salsa millariana) che di satirico e realmente spiazzante ormai conserva ben poco, compreso l'apertissimo finale.
Il tutto si riduce, pertanto, a un accumulo di caratterizzazioni stereotipate, sanguinosi eccidi, in attesa del ritorno in scena del vero deus ex machina. Quella bimba dall'aspetto innocente che combatte come un ninja provetto e urla più oscenità di un sergente dei marines. Il che ci fa pensare che di Kick-Ass, il primo, quello più riuscito, siano rimasti solo i personaggi cardine, ma ormai privi di vere storie da raccontare, ormai simili a relitti alla deriva. Aumentata la cupezza e il bisogno di sconvolgere, stavolta il black humor fa cilecca, e la bibita ha un gusto dozzinale nonostante... tutte quelle... tutte... quelle bollicine. Anche i disegni di John Romita Jr. sembrano a tratti tirati via, con mestiere ma senza la consueta ispirazione. Altro sintomo, forse, della necessità più che altro alimentare che dà vita a questo secondo ciclo di Kick-Ass.
Il riscontro in fumetteria sembra premiare con gli acquisti quello che è a tutti gli effetti un sequel di un'opera di successo. Ma è lecito chiedersi quanto di Kick-Ass 2 resterà nell'immaginario collettivo una volta che il fumo (tanto) si sarà diradato e il sangue (a litri) asciugato. Un peccato, considerato tutto il divertimento che la prima, ispirata serie, con il suo linguaggio scanzonato e la capacità di picchiare duro senza prendersi troppo sul serio, era riuscita a regalare a un pubblico trasversale.
[Articolo di Filippo Messina]