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mercoledì 19 ottobre 2016

Vucciria: si muore solo DUE volte?


Diario del Capitano, data bestiale 19 Ottobre 2016.

Palermo, Vucciria. L'ennesimo caso (l'ennesimo, ormai il conto è perso) di aggressione. Un gruppetto di giovani sono stati aggrediti senza motivi precisi, pare per via di un banale scambio di sguardi. Il classico «Che minchia guardi?!» spesso oggetto di caricatura. Una di quelle azioni che nell'ambito della cultura paramafiosa (nel senso di bassa lega) e in una comunità di cervelli annebbiati, possono innescare una esplosione di violenza anche devastante. Stavolta la disavventura è toccata a quattro ragazzi, trovatisi - dopo una serata normale - a passare nottetempo attraverso lo storico quartiere di Palermo che da anni ospita una delle espressioni di quella che abbiamo imparato a chiamare, in modo improprio, Movida. Pestaggio. Fuga. Controlli al Pronto Soccorso. Traumi e contusioni. Conseguenze legali. Non pervenute. In una città che ormai non si aspetta più niente.

Le reazioni sui social sono accese, ma se ne rilevano soprattutto due, di stampo un po' diverso, ma in qualche modo convergente. Entrambe superficiali. Qualcuno sente il bisogno di sottolineare che gli aggressori (in questo episodio come in altri precedenti) "non sono abitanti del quartiere".

Be', non lo erano neppure la maggior parte degli avventori della "prima edizione" della cosiddetta Movida. Infatti, ad affollarla erano per lo più studenti, e giovani provenienti da varie zone della città. Una situazione assolutamente discutibile, in quanto fastidiosa (e non poco) per i residenti. Ma che si limitava, appunto, a una questione di disturbo. Irritante, ma non realmente pericoloso per l'incolumità, se non per chi passava la notte a sfracellarsi il fegato.


Qualcun'altro, con disinvoltura, liquida la questione scrivendo che "i palermitani hanno il sindaco che vogliono". E' vero. La gente vota. Ma è vero anche che il degrado della Vucciria parte da molto lontano. Attraversando il mandato di sindaci diversi, come individui e schieramento politico. La critica ci sta tutta. Nel caso specifico, però, personalizzarla significa banalizzare troppo il problema. Giacché il quadro generale ci ha insegnato, negli anni, che l'identità del sindaco in carica non ha spostato certe questioni cittadine di una sola virgola.

Torna, inesorabile, il tema: legale o non legale. Quando intervenire. Quando no. Quando preme all'istituzione. Quando non importa troppo. Quando è relativamente semplice schierarsi. Quando la cosa richiede un impegno che forse non si ha la determinazione di affrontare. Tutte cose da ricordare. Sia al momento del voto che durante il resto della vita. Perché le campagne elettorali finiscono. Ma si deve pur continuare a vivere. E a confrontarsi con la propria città.

In alcuni casi, più politici, sentiamo subito gridare le istituzioni all'illegalità e al "doverne rispondere". In altri, c'è solo inerzia, disinteresse, assenza. Stiamo assistendo al secondo, in ordine storico, suicidio della Vucciria. Non importa se i soggetti protagonisti provengono anche da altri rioni popolari. E' stato l'emergere (il LASCIARE emergere) del business illegale a trasformare il quartiere in una terra di nessuno, e a renderlo estremamente "friendly" per una determinata tipologia sociale. Così come scippi, violenza e commercio truffaldino, hanno a suo tempo portato il mercato storico a morire. E in tutto questo, le diverse amministrazioni si sono avvicendate nel corso di parecchi anni. Non serve cercare un capro espiatorio contingente (sarebbe troppo facile, senza con questo voler prendere le difese di chicchessia). E' la politica cittadina che non funziona da tempo immemorabile. E purtroppo echeggia sempre l'adagio del "forte con i deboli e debole con i forti".

Altroquando


lunedì 18 gennaio 2016

...si volta pagina


Diario del Capitano, data bestiale 18 Gennaio 2016...

«E che colpa ho io se ci sono i topi. L'inquilino, in caso, si prende un gatto!»

«Non aveva l'acqua calda? Ma neppure io!»
Quale padrone di casa risponde così a un inquilino uscente, pretendendo altri soldi per un locale cadente? Per una vera topaia, pagata puntualmente con una cifra decisamente esagerata?
Semplice. Un personaggio dei "Miserabili" di Victor Hugo. Sì, esistono davvero.
Ho finalmente lasciato la catapecchia in Vucciria, e ho compassione per chi prenderà il mio posto. Andare a vivere lì è stato un grosso passo falso. La casa è CADENTE. Infestata dai topi e corrosa dalle infiltrazioni d'acqua. Nei primi anni, un muro è crollato distruggendo nostre proprietà. Poi si è aperto il pavimento del bagno sotto i nostri piedi. Poi il soffitto in un'altra stanza. Dovevamo, praticamente, fuggire da una camera all'altra spostando roba di continuo. E voleva ancora soldi, nonostante me ne stessi andando a metà del mese. La mesata morta lasciata da Salvatore (con tanto di racconto colorito sulle modalità) quindi era una bugia, e Salvatore un bugiardo. Non era vero che quando siamo arrivati in quella casa la corrente era allacciata abusivamente perché gli inquilini precedenti pagavano la bolletta... che riceveva la padrona.
«Io non ti facevo pagare l'acqua...»
A parte che qualche volta me l'ha fatta pagare sì. Ci mancava pure questo, con l'affitto astronomico che chiedeva per quel catoio cadente. 

Poi c'era il terrorismo: «Si chiuda bene... gli infissi sono lenti... qui sono entrati i ladri tante volte.»
Ma allora falli riparare questi benedetti infissi che si aprono da soli con un colpo di vento. I Thénardier esistono. E io voglio dimenticarli. Adesso, ovviamente, parlerà male di me, e il gioco delle ipocrisie e dei sorrisi tra chi ama leccarsi il culo al vicenda (ma senza passione, solo per interesse o narcisismo) continuerà il suo corso con giocatori che vorranno stare al suo livello. Sulla base dell'esperienza, consiglio vivamente di non affittare case in Vucciria a Palermo (a meno che non siate proprio disperati). E mai senza contratto. L'unico problema non è la Movida. La Movida selvaggia è espressione della gente che la abita e sfrutta tutto quello che può senza alcuna decenza. Alla larga.
E adesso la vita continua.



sabato 15 novembre 2014

Buongiorno, Palermo



«Amore... sei pronta a divertirti come una pazza?»
E' la frase che da pochi minuti ho sentito mormorare da una mamma alla propria bambina nel passeggino. Non so dove la stesse portando, ma in quel momento, nella mia mente, m'è sembrato di sentire pronunciare quella frase da un maniaco di qualche filmaccio "rape and revenge" che sta per violentare la sua vittima. Segno di una giornata non iniziata proprio nel migliore dei modi. Appena metto piede fuori del portone per andare a fare la spesa mi imbatto nella (ormai consueta) pozza di vomito. Souvenir della movida in Vucciria della notte appena trascorsa. Si riconosce persino la cena. Aveva mangiato funghi, qualcuno di quelli più piccoli è ancora tutto intero. La scavalco come posso e vado al discount. Al ritorno, l'inferno è peggiorato. In piedi davanti alla pozza di vomito adesso c'è la padrona di casa, intenzionata a dar prova di teatro popolare, mi chiede di soffermarmi per solidarietà. Iniziano urla assordanti. «Chiamo la polizia! Non ne posso più! Ormai pazza sono!» E li chiama, e i poliziotti vengono. Le grida si alzano e si entra nella scena madre della quale, ormai a mio discapito, sono interprete di supporto. «Attento! Non metta i piedi sul vomito... me la prendo anche con lei, oggi. Perché sono fuori di meeeee!» Intanto si avvicinano altri abitanti del vicolo inizia l'abituale commedia con le forze dell'ordine. Non è nostra competenza, dovete fare esposto al comune... in questo momento il disturbo alla quiete pubblica, con queste urla, lo state facendo voi. Dopo un quarto d'ora di discussione, guardo l'orologio e saluto dicendo che devo andare via per causa di forza maggiore. La signora mi manda affanculo, strillando che tanto sa che non ne frega niente a nessuno. Colgo una smorfia che significa "è solo per fare teatro... per farmi sentire... non te la prendere". Eppure vado via chiedendomi perché il vaffanculo sia toccato giusto a me e non al signore che è andato via prima. Mi sento un muro un po' vascio.
Insomma, buongiorno Palermo.

lunedì 28 ottobre 2013

Il giorno dopo, nella riserva indiana...





«Mancu t'affrunti, vastasu?! Davanti a mia, davanti a na fimmina?!»


Il teatrino si ripete uguale ogni mattina seguente. In genere nelle prime ore della domenica, giusto perché i residenti, non dovendo andare al lavoro, hanno più tempo per sfogarsi e imprecare. Il copione è lo stesso per più giorni la settimana. Si va in replica ininterrottamente ormai da anni, come in Inghilterra la piece di Agatha Christie "Trappola per topi", eternamente in cartellone. Qui siamo a Palermo, quartiere Vucciria. Il mattino dopo le nottate festaiole che animano i vicoli per più sere la settimana. Le battute sono più o meno sempre quelle, di poco modificate nel canovaccio ormai canonizzato. La commedia dell'arte funzionava così, e da queste parti la farsa non segue dinamiche troppo diverse. Le maschere le conosciamo. Ci sono tutte. Il fiero padre di famiglia che lamenta l'infame spettacolo offerto ai figli ancora piccoli. L'attempata matriarca su tutte le furie. La giovane madre sfranta dalle poche ore di sonno. Inizia la performance. Le proteste, le cronache di scaramucce notturne consumate in quegli spazi scenici che stanno tra i balconi che danno sulla strada e i mattoni sfossati, umidi e puzzolenti di quel vicolo che ha la forma di una mezzaluna. Dove gli echi di strilli, tinniti, motori e vetri rotti si inseguono e ti inseguono, penetrando fin dentro le abitazioni cui donano un'atmosfera da magione infestata. E' inutile rintanarsi dietro le quinte. Sei parte dello spettacolo anche tu.


«Puru davanti a una fimmina, pezzo di vastasu!»
La signora del piano di sopra racconta l'ennesima piazzata notturna con un giovanotto troppo ubriaco per curarsi di stare pisciando contro un portone, giusto sotto lo sguardo della proprietaria affacciata. E' una delle pene accessorie di questa moderna movida cittadina. La fogna a cielo aperto. Là dove la musica assorda, le voci cianciano e la birra scorre senza sosta, tra quelle stradine buie irte di abitazioni private, ci si deve pur sfogare. E allora giù la cerniera e via. Un fiume in piena, di piscio, di noncuranza, di fiera impunità. La macchina umana, del resto, ha le sue debolezze. Aanche il sesso è indispensabile, specie in determinati momenti di euforia. Farlo sulle auto posteggiate non è poi così scomodo. Dopotutto è festa. Dopotutto è notte. Dopotutto è giusto così.
Il quartiere è uno dei pochi spazi liberati di Palermo. Così lo hanno definito. Così hanno scritto.


Mi chiedo liberato da chi? Da cosa? L'idea che mi ronza in mente è un parallelismo sinistro con i padri pellegrini d'America e i loro successori. Penso ai residenti del quartiere, chiusi nei loro appartamenti con mura sottili, assediati come pellerossa costretti nelle loro riserve, mentre l'uomo bianco stupra le vallate, decima i bisonti, saccheggia i campi, fa sostanzialmente come se fosse a casa sua senza limiti di sorta.
Perché? Probabilmente perché ha liberato quella terra. E gli spetta un premio. Che cosa vorresti dire ai coloni che ti portano libertà e progresso?
Cosa può contare il tuo riposo notturno contro la valenza liberatoria di una gioventù che non vede altro che se stessa? La notte come momento di svago e rivalsa. Questa culla di attività illegali, barchetta in un mare tempestoso cui s'aggrappano i disperati di un quartiere la cui malafama sembra tenere lontane la legge come il pentacolo in un sabba dovrebbe contenere i movimenti del demone impedendogli di superare gli argini. Così la logica del profitto e della prevaricazione alza un muro divisorio al di sopra del quale i residenti in ostaggio potranno contemplare la propria progressiva disfatta, a beneficio di un invasore che non arriva da oltre mare, come temono gli ignoranti, ma da una provincia intellettuale vicinissima eppure terribilmente aliena.

Questo meccanismo liberatorio che benedice acidamente (con un cerchio di strafottente piscio birroso) l'ambiguo concetto di legalità e di cultura della stessa. Là dove esercizi in regola subiscono controlli rigorosi, a volte ai limiti della sopportazione economica in questi tempi di crisi, mentre la vita nell'ombra dei vicoli - se si eccettuano rare, comode sortire dell'autorità) può a suo modo prosperare. Son cose diverse. Non si possono applicare le norme là dove i conflitti sociali si inasprirebbero, dice qualcuno del quartiere che dovrebbe avere un ruolo nell'amministrazione comunale. Del resto chi avremmo a gestirli?
Un messaggio pessimo che risuona nel cervello mentre l'ennesimo ragazzo o ragazza litiga al cellulare con il partner camminando avanti e indietro sotto la tua finestra (quel tratto di vicolo sembra essere il foyer della discoteca senza confini). S'insultano, si rinfacciano di tutto, in una grottesca caricatura de La voce umana di Jean Cocteau. Puttana! Stronzo! Scopi con tutti perché non ti senti bella e cerchi conferme... Sei un capolavoro! Un capolavoro di merda! Ti narrano vita, morte e miracoli della loro relazione... ma per qualche motivo, nessuno dei due interompe mai la telefonata. Nonostante i vaffanculo siano ormai arrivati a due cifre. E' un siparietto dello spettacolo che va in scena notte dopo notte. Senza freni, senza filtri. Senza regole. In casa tua.


E' una zona liberata della città, lo volete capire? E' una conquista! E' una cosa bella!
Nel chiuso della nostra riserva indiana, sentiamo i canti dei soldati blu ubriachi. Hanno vinto loro. Le nostre terre ora ospitano le loro fattorie, dove nuove generazioni di impavidi coloni cresceranno per portare avanti il grande sogno democratico. La storia, a volte, ha dei piccoli ricorsi. Basta guardare i dettagli. Sono lì.
Per questo non riesco a dimenticarmelo, quando l'ennesimo politico palermitano in campagna elettorale, per parlare di cultura della legalità, sceglie come teatro della propria epifania proprio il cuore dell'affollatissimo, festoso tratto che costeggia la riserva.
Io, vecchio indiano, nel chiuso del mio ormai ristretto territorio, rifletto sulla possibile redenzione di un popolo assediato. E fatico a vedere oltre quel filo spinato che mi urla che ormai sono una minoranza, e sul quale è stata crocifissa la parola libertà.

[La foto è di Sade