Ogni viaggio giunge a termine. Anche il lungo girovagare nell'Outback mentale di Julie, Maxx e Sara, ormai affidati alle arti di un Mr Gone misterioso quanto consapevole del suo ruolo catartico. Le metafore si fanno scoperte e graffianti, il delirio arriva scoppiettando al suo apice, e la fine del tragitto coinciderà con l'inizio di un nuovo cammino per ciascuno dei personaggi coinvolti...
Si conclude anche in Italia, dopo un'attesa durata ben tre anni, la saga onirica firmata da Sam Kieth (Sandman, Wolverine e Hulk: La storia di Po), in stato di grazia sulle tavole indimenticabili di questo quinto, ultimo volume. The Maxx, titolo che aveva esordito in America sotto l'ancora giovane etichetta Image (in seguito Wildstorm) era sbarcato nel nostro paese nel 2005 grazie alla Magic Press, che oggi – tenacemente, sia pure con grande ritardo – propone il deflagrante finale.
Definire The Maxx di Sam Kieth non è mai stato semplice, e la sua conclusione non fa che confermare l'atipicità di un fumetto (e di un autore) dalla personalità inusuale e sfuggente. E' stato scritto che Maxx è un supereroe, ma anche un senza tetto di nome Dave che vive dentro uno scatolone, sorta di angelo custode della bella e problematica assistente sociale chiamata Julie, e occasionalmente di Sara, ragazzina nevrotica dal passato oscuro. La verità, su cui spesso si sorvola, è che The Maxx non è davvero un fumetto di supereroi. Potremmo, piuttosto, definirlo un fumetto antisupereroistico, molto più di tante blasonate opere revisioniste o fenomeni commerciali trend, che cercano di reinventare gli eroi in costume in modo moderno e violento.
Non si tratta di spoiler, giacché l'opera è di per sé criptica e aperta alle interpretazioni, quanto piuttosto di una possibile chiave di lettura, se diciamo che The Maxx punta il dito contro il mito del supereroe in quanto simbolo dell'infanzia, della sua ingenuità e della visione manichea dell'esistenza propria di quel periodo. La scatola di cartone in cui Dave-Maxx vive è la metafora più estrema: il grembo materno da cui potrebbe scaturire di tutto, anche una forza inarrestabile, ma dove è sopratutto possibile raccogliersi ed estraniarsi dai mali del mondo. Julie, Sara e la stessa nemesi Mr Gone, mostrano personalità tormentate e una grande fatica a fare i conti con le proprie responsabilità. L'Outback, parola nella realtà riferita alle zone desertiche interne al continente australiano, è un piano mentale privo di confini (come il reale Outback), e pertanto riferito al mondo interiore dei vari protagonisti, cangiante e imprevedibile se relazionato con lo spazio soggettivo degli altri. In questo paesaggio irto di riferimenti psicanalitici, l'eroico Maxx è la sintesi della paura di crescere e di tutti i feticci dell'infanzia, vista come una rassicurante coperta che rischia però alla lunga di soffocare il suo ospite. Una beata immaturità, pronta a squarciarci quando il mondo reale, inevitabilmente arriverà a presentarci il conto.
La trama intessuta da Sam Kieth è fitta, e spesso è arduo guardarle attraverso, un po' come succede ai bambini quando spiano le cose dei grandi senza comprenderle del tutto. La stessa tuta di Maxx, la sua silhouette, non è di immediata comprensione, ma richiede la lettura dell'intera saga per svelare i suoi molti rimandi allegorici. In modo simile, lo stregone Mr Gone, villain sfuggente e dai piani farraginosi, è un personaggio da mettere insieme una tessera alla volta per poter decifrare il suo reale obbiettivo. Per un bimbo, crescere può essere un trauma, ma nello stesso tempo difficilmente rinuncerà al suo sentirsi grande. Il mondo dell'infanzia, con i suoi sogni, i suoi eroi possenti e senza macchia, le sue bellezze incontaminate e i suoi scenari incantevoli e spaventosi è, secondo Sam Kieth, come una dolce trappola, capace di farci odiare e temere chi sta tentando in modo pertinace di liberarci.
La metafora alla base di The Maxx è vicina a una lettura postmoderna della storia di Peter Pan, dove l'Outback (anzi, gli Outback) sono speculari all'Isola che Non C'è. Non un idilliaco paradiso, ma un Eden avventuroso per i più giovani, dove la separazione tra i concetti di bene e male è netta, e la complessità della vita matura è bandita. Nel quinto e ultimo volume di The Maxx la parabola finalmente esplode, e siamo letteralmente sopraffatti da un caleidoscopio di apparizioni e racconti surreali fino al parossismo, fino all'abbandono della stessa ricerca di risposte e allo sprofondamento nel nostro Outback interiore. Là, dove in ognuno è esistito un Maxx, un paladino dei deboli, un benefattore volante o un letale pipistrello capaci di regalarci, in modo effimero, il miraggio di una semplicistica giustizia.
Raramente, in passato, Sam Kieth era stato così potente ed espressivo. Il suo stile inconfondibile e surreale, grottesco e plastico, raggiunge nel finale di The Maxx un climax emozionale che toglie il fiato e rende la storia di Dave, Julie e Sara un capolavoro compiuto. Dopo questo volume, forse, Maxx e il suo Outback non torneranno più, ma a noi lettori non sarà più possibile guardare agli eroi in costume con gli stessi occhi di un tempo.
Questa recensione è stata pubblicata anche su Fantasymagazine.
[Articolo di Filippo Messina]