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lunedì 27 febbraio 2012

The Maxx Vol. 5


Ogni viaggio giunge a termine. Anche il lungo girovagare nell'Outback mentale di Julie, Maxx e Sara, ormai affidati alle arti di un Mr Gone misterioso quanto consapevole del suo ruolo catartico. Le metafore si fanno scoperte e graffianti, il delirio arriva scoppiettando al suo apice, e la fine del tragitto coinciderà con l'inizio di un nuovo cammino per ciascuno dei personaggi coinvolti...

Si conclude anche in Italia, dopo un'attesa durata ben tre anni, la saga onirica firmata da Sam Kieth (Sandman, Wolverine e Hulk: La storia di Po), in stato di grazia sulle tavole indimenticabili di questo quinto, ultimo volume. The Maxx, titolo che aveva esordito in America sotto l'ancora giovane etichetta Image (in seguito Wildstorm) era sbarcato nel nostro paese nel 2005 grazie alla Magic Press, che oggi – tenacemente, sia pure con grande ritardo –  propone il deflagrante finale.

Definire The Maxx di Sam Kieth non è mai stato semplice, e la sua conclusione non fa che confermare l'atipicità di un fumetto (e di un autore) dalla personalità inusuale e sfuggente. E' stato scritto che Maxx è un supereroe, ma anche un senza tetto di nome Dave che vive dentro uno scatolone, sorta di angelo custode della bella e problematica assistente sociale chiamata Julie, e occasionalmente di Sara, ragazzina nevrotica dal passato oscuro. La verità, su cui spesso si sorvola, è che The Maxx non è davvero un fumetto di supereroi. Potremmo, piuttosto, definirlo un fumetto antisupereroistico, molto più di tante blasonate opere revisioniste o fenomeni commerciali trend, che cercano di reinventare gli eroi in costume in modo moderno e  violento.


Non si tratta di spoiler, giacché l'opera è di per sé criptica e aperta alle interpretazioni, quanto piuttosto di una possibile chiave di lettura, se diciamo che The Maxx punta il dito contro il mito del supereroe in quanto simbolo dell'infanzia, della sua ingenuità e della visione manichea dell'esistenza propria di quel periodo. La scatola di cartone in cui Dave-Maxx vive è la metafora più estrema: il grembo materno da cui potrebbe scaturire di tutto, anche una forza inarrestabile, ma dove è sopratutto possibile raccogliersi ed estraniarsi dai mali del mondo. Julie, Sara e la stessa nemesi Mr Gone, mostrano personalità tormentate e una grande fatica a fare i conti con le proprie responsabilità. L'Outback, parola nella realtà riferita alle zone desertiche interne al continente australiano, è un piano mentale privo di confini (come il reale Outback), e pertanto riferito al mondo interiore dei vari protagonisti, cangiante e imprevedibile se relazionato con lo spazio soggettivo degli altri. In questo paesaggio irto di riferimenti psicanalitici, l'eroico Maxx è la sintesi della paura di crescere e di tutti i feticci dell'infanzia, vista come una rassicurante coperta che rischia però alla lunga di soffocare il suo ospite. Una beata immaturità, pronta a squarciarci quando il mondo reale, inevitabilmente arriverà a presentarci il conto.

La trama intessuta da Sam Kieth è fitta, e spesso è arduo guardarle attraverso, un po' come succede ai bambini quando spiano le cose dei grandi senza comprenderle del tutto. La stessa tuta di Maxx, la sua silhouette, non è di immediata comprensione, ma richiede la lettura dell'intera saga per svelare i suoi molti rimandi allegorici. In modo simile, lo stregone Mr Gone, villain sfuggente e dai piani farraginosi, è un personaggio da mettere insieme una tessera alla volta per poter decifrare il suo reale obbiettivo. Per un bimbo, crescere può essere un trauma, ma nello stesso tempo difficilmente rinuncerà al suo sentirsi grande. Il mondo dell'infanzia, con i suoi sogni, i suoi eroi possenti e senza macchia, le sue bellezze incontaminate e i suoi scenari incantevoli e spaventosi è,  secondo Sam Kieth, come una dolce trappola, capace di farci odiare e temere chi sta tentando in modo pertinace di liberarci.

La metafora alla base di The Maxx è vicina a una lettura postmoderna della storia di Peter Pan, dove l'Outback (anzi, gli Outback) sono speculari all'Isola che Non C'è. Non un idilliaco paradiso, ma un Eden avventuroso per i più giovani, dove la separazione tra i concetti di bene e male è netta, e la complessità della vita matura è bandita. Nel quinto e ultimo volume di The Maxx la parabola finalmente esplode, e siamo letteralmente sopraffatti da un caleidoscopio di apparizioni e racconti surreali fino al parossismo, fino all'abbandono della stessa ricerca di risposte e allo sprofondamento nel nostro Outback interiore. Là, dove in ognuno è esistito un Maxx, un paladino dei deboli, un benefattore volante o un letale pipistrello capaci di regalarci, in modo effimero, il miraggio di una semplicistica giustizia.
Raramente, in passato, Sam Kieth era stato così potente ed espressivo. Il suo stile inconfondibile e surreale, grottesco e plastico, raggiunge nel finale di The Maxx un climax emozionale che toglie il fiato e rende la storia di Dave, Julie e Sara un capolavoro compiuto. Dopo questo volume, forse, Maxx e il suo Outback non torneranno più, ma a noi lettori non sarà più possibile guardare agli eroi in costume con gli stessi occhi di un tempo.


Questa recensione è stata pubblicata anche su Fantasymagazine.


[Articolo di Filippo Messina]

lunedì 22 novembre 2010

Planetary: Archeologia Spaziotemporale


Per l’organizzazione Planetary e i Quattro si avvicina la resa dei conti. All’umanità sono state negate conoscenze meravigliose che avrebbero potuto rendere il mondo un posto migliore. Molti superumani considerati di ostacolo sono stati metodicamente eliminati, e il pianeta langue sotto il tacco di una tirannia invisibile che limita lo sviluppo della scienza e la diffusione delle verità più scomode. Ma Elijah Snow ha recuperato finalmente i suoi ricordi perduti, e sa che per sconfiggere i quattro predoni sarà necessario cambiare le regole. Dovrà diventare imprevedibile, e superare in crudeltà i suoi nemici, in modo da chiudere la partita una volta per tutte...

Dopo una lunga pausa, durata qualche anno, si conclude anche in Italia Planetary, celebrata serie creata da Warren Ellis per l’etichetta Wildstorm che si giova delle illustrazioni raffinate e psichedeliche di un John Cassaday al meglio della sua arte. Quattro volumi (tutti editi dalla Magic Press) e una raccolta di speciali. Circa un decennio per completare un’epopea labirintica e ambiziosa. Il rondò finale orchestrato da Ellis non delude. Riesce, anzi, a recuperare tutti i fili narrativi lasciati in sospeso e a intrecciarli in un ultimo arazzo risolutore. Planetary è una serie a fumetti difficile da classificare. In essa, infatti, troviamo svariati elementi narrativi che spaziano dalla fantascienza al noir e alla cultura pop, tenuti insieme da un denso tessuto connettivo metafumettistico e metacinematografico. Planetary ha per protagonisti degli individui con superpoteri, ma si tratta di supereroi dalle caratteristiche abbastanza inconsuete. Non sono vigilanti, né agenti militari, ma archeologi. Il loro compito è raccogliere, classificare e proteggere le meraviglie nascoste nel corso della storia umana, tesaurizzandole e condividendole con la comunità scientifica. Le avventure di Elijah, Jakita e Drummer esplorano molti moderni miti della cultura popolare, fornendo intriganti rivisitazioni e angolazioni narrative insospettabili. Questo spunto di partenza serve a Warren Ellis per sbizzarrirsi in una serie di affascinanti riletture che fanno sfilare sotto gli occhi dello spettatore una schiera di personaggi e situazioni apparentemente sconosciuti, ma in realtà ben radicati nell’immaginario collettivo non soltanto statunitense. In Planetary è possibile, dunque, ascoltare la vera storia di qualcuno che avrebbe potuto chiamarsi Doc Savage, come l’eroe pulp degli anni trenta. Fare la conoscenza di figure speculari a icone come Tarzan, Sherlock Holmes e Lone Ranger. Scoprire avvincenti controfigure di John Constantine, il mago fumatore della Vertigo, dei supereroi della JLA, e di creature mostruose come Hulk e Godzilla.

Planetary può essere considerata come una saga sui retroscena delle storie più note. Un amaro, disincantato “dietro le quinte”, che omaggia affettuosamente numerosi archetipi della cultura popolare, riverniciandoli secondo un’ottica dark, spesso decisamente satirica. Ma uno degli aspetti più affascinanti di Planetary consiste proprio nei villains della saga. I Quattro. Un piccolo gruppo di moderni pirati senza scrupoli che, guidati da un ambizioso e brillante scienziato, acquista straordinari poteri durante un viaggio sperimentale in un’altra dimensione. Le loro imprese hanno fruttato loro una conoscenza senza pari cui corrispondono ricchezza e potere. Una sapienza insospettabile, in grado di cambiare la faccia della terra. Un privilegio che i Quattro custodiscono gelosamente, falciando senza pietà chiunque gli attraversi la strada. E i loro poteri, che sembrano ispirati dai quattro elementi: fuoco, aria, terra e acqua, sono sinonimo di terrore tra i pochi che sanno della loro esistenza e ancora vivono. Questa versione malvagia dei Fantastici Quattro, la famiglia di eroi più amata di casa Marvel, è il vero perno e il cuore della saga metafumettistica firmata da Warren Ellis. Pur comparendo di rado, tramando nell’ombra, i Quattro permeano con la loro presenza l’intera trama e costituiscono forse la visione più pessimista sul mito del superuomo nell’età contemporanea.


Il tema principale di Planetary è la possibilità di conoscere l’elemento meraviglioso presente nel nostro mondo per poterne far parte e crescere collettivamente. I Quattro possono essere considerati una metafora del capitalismo, visti come un’oligarchia che nega la conoscenza alle masse, tenute proditoriamente nell’ignoranza e sfruttate come bestiame. Ogni scoperta potenzialmente sovversiva viene distrutta o accuratamente occultata. Stessa sorte tocca agli esseri con poteri che potrebbero rivelarsi ossi troppo duri, o portatori di culture aliene troppo progressiste su un pianeta la cui sorte è nelle mani di soli quattro individui. I protagonisti di Planetary, misteriosi all’inizio, sempre più umani strada facendo, sono stati tutti toccati dalla spietata mano dei Quattro. Adesso, però, il gelido Elijah Snow ha deciso di reagire. La sua vendetta sarà terribile, e susciterà nuovi, pesanti quesiti etici.

Prodotto sotto l’etichetta Wildstorm, Planetary ha il pregio di appartenere allo stesso universo di Authority e Gen¹³ (in certi casi espressamente citati) ma di riuscire a conservare un’identità indipendente, che ne allarga i confini di lettura. I disegni di John Cassaday sono espressione ideale delle trame surreali create da Ellis, e con queste si amalgamano in modo pressoché perfetto, regalando al lettore un’esperienza totalizzante e onirica. Planetary è un fumetto sui supereroi, più che un fumetto di supereroi. In grado di guardare oltre il genere, e a volte anche oltre il semplice intrattenimento, forgiando una saga con più livelli di lettura che si eleva al di sopra della media attuale. Una lettura sulle letture, sui sogni e sulle possibilità derivanti dalla conoscenza. Un inno alla fantasia e alla capacità dell’immaginazione come strumento volto alla conquista della vera libertà.


Questa recensione è stata pubblicata anche su Fantasymagazine.


[Articolo di Filippo Messina]