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mercoledì 27 agosto 2014

L'Ice bucket challenge: variazioni sul tema


Il leit-motiv di questi giorni, in tutto il mondo - ve ne sarete accorti - è stato la doccia gelata a favore della ricerca sulla SLA, la terribile malattia degenerativa che costringe le sue vittime a un’immobilità da incubo e sulla quale ci sono ancora molti punti oscuri (non si sa come curarla, non se ne conoscono neppure ancora le cause).L’iniziativa, partita da Corey Griffin[1] che – paradossalmente – è morto annegato qualche giorno dopo averla fatta diventare “il tormentone di fine estate”, ha coinvolto un po’ tutti, grazie al suo “effetto domino” (simile ai messaggi a catena che fino a qualche anno fa circolavano sui cellulari) e grazie al nobile scopo per la quale è nata. Che tu sia un personaggio celebre o meno, se vieni nominato, fai la tua bella donazione e ti filmi mentre ti cali una secchiata d’acqua ghiacciata sulla testa.
Tante le variazioni sul tema, dal video del comico giordano Mohammed Darwaza per Gaza alla tavola di Zerocalcare.


Proprio una vignetta della tavola di Zero mi permette di amplificare la polemica che lui già introduce e che si trova, precisamente, nel terzo riquadro: il presidente del Consiglio si fa la doccia gelata anziché stanziare fondi. Potrebbe essere populista, come discorso, ma non lo è perché nasconde un paradosso sul quale non è corretto sorvolare.

Ieri sera sul tg di La7 anche Mentana ha fatto una variazione sul tema ice bucket challege, mandando in onda un video in cui si vedeva una bellissima scuola per bambini, pubblica, prossima all’apertura e di nuova costruzione. Si tratta di una scuola costruita a Cavezzo, in Emilia, dopo il terremoto di due anni fa, con i soldi dei cittadini che hanno preso parte all’iniziativa di raccolta fondi di La7 e del Corriere della Sera. Sono riusciti a raccogliere tre milioni di euro. 
Fin qui tutto bene, ma ecco la doccia fredda cui accennava il conduttore del tg: sui tre milioni il 10% se lo prende lo stato tramite le tasse.
Una tassa sulla generosità prevista con l’Iva: trecentomila euro. Mentre si prepara la riforma del non profit, nessuno pensa a rimuovere un balzello che pesa sulla beneficenza: oggi in Italia lo deve pagare l’azienda che decide di ristrutturare a sue spese un padiglione d’ospedale e l’associazione che regala un’ambulanza al pronto soccorso. Un’assurdità. Accade ai Rotary, ai Lyons, alle associazioni e alle fondazioni che decidono di farsi carico di opere o lavori destinati alla pubblica utilità. Si paga l’Iva per la biblioteca restaurata dopo l’alluvione di Aulla, per la Casa del volontariato di Milano, per realizzare il centro sportivo di Scampia gestito gratuitamente dai volontari. Si paga l’Iva su tutto, calamità (ovviamente) comprese.[2]

Ecco il paradosso. Dei cittadini decidono di donare dei soldi ad altri cittadini perché il welfare non funziona (ci sono paesi alluvionati e terremotati che non hanno avuto il benché minimo sostegno da parte del governo) o perché sperano di dare man forte alla ricostruzione, di aggiungere aiuto a un aiuto che lo stato si suppone stanzi in casi di emergenza: allo stato pare non bastino i soldi prelevati con le tasse, tassa persino le donazioni delle quali non ci sarebbe bisogno se facesse il proprio dovere.[3]

Sempre sull’onda del paradosso, sarebbe bello chiedere ai cittadini cosa vorrebbero tagliare dalla spesa pubblica: sanità? Fondi per le emergenze? Scuola? O stipendi e pensioni d’oro, per esempio?

Qualche giorno fa una mia piccola amica quattordicenne, dopo aver studiato la differenza tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa, mi ha chiesto: «che senso ha che noi votiamo chi deve votare per noi?». Le ho spiegato che la differenza fondamentale tra l’antica Atene e l’Italia consiste nelle dimensioni: è difficile chiedere il parere direttamente a sessanta milioni di cittadini. Siccome la sua espressione di perplessità non mutava e siccome a quattordici anni è giusto alimentare speranze e ottimismo, ho aggiunto: «esistono però i referendum e comunque la democrazia rappresentativa non è sempre stata così brutta, o almeno non ovunque…è che stai vivendo, tuo malgrado, in un’oclocrazia, ricordati questo termine, significa “il governo dei peggiori”. Ma non è detto che le cose non cambino, sta a noi».

Il welfare si nutre sempre più di iniziative civili e private, si regge sul volontariato e sulle donazioni. Noi credevamo in uno stato per lo stato, in quella che a scuola ci dicevano essere “economia mista”, né capitalistica né comunista. La direzione che uno dopo l’altro stanno prendendo i governi, Berlusconi – Monti – Renzi, è quella capitalistica.

L’ice bucket challenge è un’iniziativa partita degli Stati Uniti, un Paese in cui tutto è privatizzato, dalla sanità alla scuola, una bella iniziativa che funziona perché gioca con il narcisismo di politici e celebrità, catturati dalla rete “social”: se vuoi apparire e vuoi essere social, devi dare il tuo contributo alla ricerca.

Se si fosse chiesto agli stessi un semplice assegno, la richiesta sarebbe finita "cestinata" come da routine.




[1] Ma inventata da Pete Frates, ex giocatore di baseball che vive a Genova, ammalatosi di SLA.
[2] http://sociale.corriere.it/2014/08/26/una-doccia-gelata-liva-dovuta-sugli-aiuti/
[3] A tal proposito, cito un esempio paradossale: nel 2010 il sindaco di Palermo, Cammarata, insieme alla sua giunta, decise di usare i fondi per le emergenze per finanziare il 386° festino della santa patrona della città.