Il
leit-motiv di questi giorni, in tutto il mondo - ve ne sarete accorti - è stato
la doccia gelata a favore della ricerca sulla SLA, la terribile malattia
degenerativa che costringe le sue vittime a un’immobilità da incubo e sulla
quale ci sono ancora molti punti oscuri (non si sa come curarla, non se ne
conoscono neppure ancora le cause).L’iniziativa,
partita da Corey Griffin[1] che – paradossalmente – è morto annegato qualche giorno
dopo averla fatta diventare “il tormentone di fine estate”, ha coinvolto un po’
tutti, grazie al suo “effetto domino” (simile ai messaggi a catena che fino a
qualche anno fa circolavano sui cellulari) e grazie al nobile scopo per la
quale è nata. Che tu sia un personaggio celebre o meno, se vieni nominato, fai
la tua bella donazione e ti filmi mentre ti cali una secchiata d’acqua
ghiacciata sulla testa.
Tante
le variazioni sul tema, dal video del comico giordano Mohammed Darwaza per Gaza
alla tavola di Zerocalcare.
Proprio una vignetta della tavola di Zero mi permette di amplificare la polemica che lui già introduce e che si trova, precisamente, nel terzo riquadro: il presidente del Consiglio si fa la doccia gelata anziché stanziare fondi. Potrebbe essere populista, come discorso, ma non lo è perché nasconde un paradosso sul quale non è corretto sorvolare.
Ieri
sera sul tg di La7 anche Mentana ha fatto una variazione sul tema ice bucket
challege, mandando in onda un video in cui si vedeva una bellissima scuola per
bambini, pubblica, prossima all’apertura e di nuova costruzione. Si tratta di
una scuola costruita a Cavezzo, in Emilia, dopo il terremoto di due anni fa,
con i soldi dei cittadini che hanno preso parte all’iniziativa di raccolta
fondi di La7 e del Corriere della Sera. Sono riusciti a raccogliere tre milioni
di euro.
Fin qui tutto bene, ma ecco la doccia fredda cui accennava il
conduttore del tg: sui tre milioni il 10% se lo prende lo stato tramite le
tasse.
Una tassa sulla generosità prevista con l’Iva: trecentomila euro. Mentre si prepara la riforma del non profit, nessuno pensa a rimuovere un balzello che pesa sulla beneficenza: oggi in Italia lo deve pagare l’azienda che decide di ristrutturare a sue spese un padiglione d’ospedale e l’associazione che regala un’ambulanza al pronto soccorso. Un’assurdità. Accade ai Rotary, ai Lyons, alle associazioni e alle fondazioni che decidono di farsi carico di opere o lavori destinati alla pubblica utilità. Si paga l’Iva per la biblioteca restaurata dopo l’alluvione di Aulla, per la Casa del volontariato di Milano, per realizzare il centro sportivo di Scampia gestito gratuitamente dai volontari. Si paga l’Iva su tutto, calamità (ovviamente) comprese.[2]
Ecco
il paradosso. Dei cittadini decidono di donare dei soldi ad altri cittadini
perché il welfare non funziona (ci sono paesi alluvionati e terremotati che non
hanno avuto il benché minimo sostegno da parte del governo) o perché sperano di
dare man forte alla ricostruzione, di aggiungere aiuto a un aiuto che lo stato
si suppone stanzi in casi di emergenza: allo stato pare non bastino i soldi
prelevati con le tasse, tassa persino le donazioni delle quali non ci sarebbe
bisogno se facesse il proprio dovere.[3]
Sempre
sull’onda del paradosso, sarebbe bello chiedere ai cittadini cosa vorrebbero
tagliare dalla spesa pubblica: sanità? Fondi per le emergenze? Scuola? O
stipendi e pensioni d’oro, per esempio?
Qualche
giorno fa una mia piccola amica quattordicenne, dopo aver studiato la
differenza tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa, mi ha chiesto:
«che senso ha che noi votiamo chi deve votare per noi?». Le ho spiegato che la
differenza fondamentale tra l’antica Atene e l’Italia consiste nelle
dimensioni: è difficile chiedere il parere direttamente a sessanta milioni di
cittadini. Siccome la sua espressione di perplessità non mutava e siccome a
quattordici anni è giusto alimentare speranze e ottimismo, ho aggiunto:
«esistono però i referendum e comunque la democrazia rappresentativa non è
sempre stata così brutta, o almeno non ovunque…è che stai vivendo, tuo
malgrado, in un’oclocrazia, ricordati questo termine, significa “il governo dei
peggiori”. Ma non è detto che le cose non cambino, sta a noi».
Il
welfare si nutre sempre più di iniziative civili e private, si regge sul
volontariato e sulle donazioni. Noi credevamo in uno stato per lo stato, in
quella che a scuola ci dicevano essere “economia mista”, né capitalistica né
comunista. La direzione che uno dopo l’altro stanno prendendo i governi,
Berlusconi – Monti – Renzi, è quella capitalistica.
L’ice
bucket challenge è un’iniziativa partita degli Stati Uniti, un Paese in cui
tutto è privatizzato, dalla sanità alla scuola, una bella iniziativa che
funziona perché gioca con il narcisismo di politici e celebrità, catturati
dalla rete “social”: se vuoi apparire e vuoi essere social, devi dare il tuo
contributo alla ricerca.
Se
si fosse chiesto agli stessi un semplice assegno, la richiesta sarebbe finita "cestinata" come da routine.
[1] Ma
inventata da Pete Frates, ex giocatore di baseball che vive a Genova,
ammalatosi di SLA.
[2] http://sociale.corriere.it/2014/08/26/una-doccia-gelata-liva-dovuta-sugli-aiuti/
[3] A tal
proposito, cito un esempio paradossale: nel 2010 il sindaco di Palermo,
Cammarata, insieme alla sua giunta, decise di usare i fondi per le emergenze
per finanziare il 386° festino della santa patrona della città.