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martedì 7 febbraio 2012

Gli Altri Eroi: Misterix


Vi ricordate Miguel El Merendero? L’Omino coi Baffi della Moka Bialetti, quello stampato sulle vecchie caffettiere?
No, non sono questi gli eroi di cui ci occupiamo in questa puntata della rubrica Gli Altri Eroi, ma del loro creatore: Paul (Paolo) Campani, artista e animatore molto prolifico che regalò al mitico Carosello (per chi non era nato o è molto distratto, ricordiamo che fu un popolarissimo contenitore pubblicitario andato in onda tra gli anni cinquanta e settanta) una valanga di personaggi caratteristici. Tra le sue collaborazioni più celebri, ci fu quella al lungometraggio animato italiano La Rosa di Bagdad, del quale curò le scenografie, eppure – almeno nel nostro paese – il nome di Campani resta associato soprattutto ai fasti di Carosello, e alla nostalgia che suscita nei cinquantenni di oggi. Ma non è di Toto e Tata, e neppure di Angelino che vogliamo raccontarvi la storia, bensì di Misterix, noto anche come l'Uomo Atomico. Un supereroe nostrano, pioniere di un genere fumettistico che in Italia, nella prima metà del secolo scorso, non conosceva ancora l’egemonia dei colossi Marvel e DC.

Paul Campani e il disegnatore Max Massimino Garnier, suo collaboratore in moltissime occasioni, crearono Misterix nel lontano 1946. Personaggio a metà strada tra la fantascienza e lo spionaggio, che avrebbe avuto diverse incarnazioni editoriali giungendo fino ai primi anni settanta prima di scomparire del tutto dalle edicole. Misterix era già pubblicato in Argentina, e lì proseguì a lungo la sua avventura editoriale, con l’apporto ai testi di Alberto Ongaro.

 

Perché ricordare Misterix? Perché sicuramente fu uno dei primi supereroi, propriamente detti, di matrice italiana. Quel nome, che a noi bambini creava un po’ di confusione... Mister X o Mistèrix? Riscoprirlo oggi accredita la seconda ipotesi, ma è probabile che il gioco di parole fosse voluto dall’autore. Misterix era un personaggio i cui poteri (invulnerabilità e una forza erculea) erano dovuti a una tuta metallica di sua invenzione. Una sorta di scafandro rosso (inizialmente blu) che lasciava scoperto il viso (nessuna identità segreta, quindi) e fungeva da esoscheletro, rendendolo inarrestabile come un carro armato. Suo principale nemico, il gangster Takos.

E’ interessante notare i punti in comune tra Misterix e un eroe dalla popolarità oggi planetaria come il marvelliano Iron Man. Entrambi devono il loro potere a una sorta di armatura, ed entrambi possono essere considerati come il risultato della fusione tra uomo e macchina. Fonte della forza di Misterix era il dispositivo atomico inserito nella fibbia della sua cintura. Posto infausto dove nascondere il proprio tallone di Achille. Infatti, particolare costante e grottesco delle sue avventure, consisteva nel fatto che il dispositivo, sorgente del potere, finisse regolarmente fracassato, lasciandolo senza forze, inerme e costretto a cavarsi d’impiccio senza alcun aiuto tecnologico. Memorabile (almeno per il sottoscritto, bambino davanti alle pagine degli albi in questione) la sequenza in cui il crudele Takos, già alla mercé del suo avversario superforte, cadeva all’indietro colpendo con un calcio la cintura dell’eroe, spaccando il congegno e mandando in palla l’armatura. L’eroe ci restava ovviamente malissimo, con gli occhi bassi e “pensava” sempre qualcosa come “Sono fregato!”. E gli si poteva ben credere.
Un’ingenuità narrativa che si ripeteva praticamente in ogni episodio, quasi si volesse rammentare ai giovani lettori che i supereroi nella realtà non esistono. O che se anche esistessero, non potrebbero sfuggire al senso del ridicolo e alla propria umanità. Oggi praticamente dimenticato nel paese che gli ha dato i natali, Misterix è stato ed è un personaggio seminale, che racchiude in sé molti degli elementi che nei decenni a venire si sarebbero evoluti, generando una una pletora di supereroi più complessi, violenti, e... con superproblemi.




giovedì 12 gennaio 2012

Gli Altri Eroi: The Spider

In Italia sono in pochi a ricordarsene, ma lo Spider-Man targato Marvel non fu il primo Uomo Ragno del quale i cinquantenni di oggi leggevano le avventure. C’è stato qualcuno, prima di Peter Parker. Qualcuno di meno giovane e insicuro. Per noi si chiamava già Spiderman (ma senza il trattino) molto prima che la Panini Comics (in seguito alla popolarità della trilogia cinematografica di Sam Raimi) decidesse di sopprimere la traduzione italiana della testata Marvel, presentata per decenni nel nostro paese con un confidenziale L’Uomo Ragno, che ancora sono in molti a rimpiangere. Lo Spiderman in bianco e nero, dal nome anglofono e dalle orecchie a punta, vestiva di nero già molto prima dell’incontro di Peter Parker con il simbionte alieno, e la sua personalità non era esente da zone d’ombra.

Stiamo parlando di un personaggio britannico, chiamato in realtà The Spider (e non fu l’unico, nella produzione pulp degli anni sessanta a fregiarsi di questo nome di battaglia), pubblicato brevemente in Italia da un editore ormai dimenticato (Bianconi), in un formato tascabile poco più grande di quello in cui già appariva il ben più noto Diabolik. I natali di The Spider (ricordiamo, in Italia Spiderman) si devono agli autori Ted Cowan e Reg Bunn, cui presto si sarebbe aggregato come sceneggiatore Jerry Siegel (sfortunato creatore di Superman insieme a Joe Shuster). The Spider fu uno dei numerosi supereroi inglesi usciti dalla fucina della IPC Magazines, pubblicati in patria su riviste antologiche come Lion, Eagle e Vulcan, tra i quali si annoverano altre icone del fantastico britannico come Kelly’sEye (in italiano L’Occhio di Zoltec, che finì in appendice alla rivista di gatto Silvestro) e L’Artiglio di Acciaio, pubblicato per qualche tempo anche da noi nel medesimo formato a libretto riservato al collega aracnide. Se l’Occhio e l’Artiglio sono stati di recente protagonisti di una rentrée italiana grazie alla Planeta DeAgostini, del primo Uomo Ragno conosciuto dai più maturi, nel nostro paese, non si è più avuta traccia.

Il vecchio Spiderman (continueremo a chiamarlo così per motivi nostalgici) nasceva come villain, una sorta di criminale inafferrabile, dotato di risorse tecnologiche sorprendenti e capacità imprevedibili. La maggior parte delle schede in rete dedicate al personaggio lo definiscono un uomo normale molto bene attrezzato. Ma dimenticano la sua capacità di scalare le pareti lisce (in effetti, però, glielo si vedeva fare di rado) e quella di contrarsi per insinuarsi attraverso passaggi impossibili ai comuni esseri umani. Spiderman volava grazie a degli ingombranti (ma spettacolari) jet posizionati sulla schiena, e sparava la sua temibile ragnatela con un’avveniristica pistola. A fiancheggiarlo c’erano due strampalati figuri, lo scienziato Pelham e lo scassinatore Roy. Dopo un inizio come criminale, lo Spiderman dalle orecchie a punta decideva di passare dalla parte della legge, trasformandosi in tutto e per tutto in un supereroe. Memorabile il suo scontro con il Re degli Scacchi, un folle individuo alla testa di un vero esercito di automi con le sembianze dei pezzi della scacchiera (in italiano, l’episodio si intitolava Scacco Matto, e mostrava il protagonista, pistola lanciaragnatela in pugno, emergere da una botola aperta proprio in mezzo a una gigantesca scacchiera).


Le avventure, essendo un prodotto degli anni sessanta, erano ingenue, ma volendo neppure tanto. La suspance non mancava, i personaggi erano ben caratterizzati, e l’Uomo Ragno britannico, con le sue orecchie aguzze e il cipiglio tutt’altro che benevolo, aveva carisma da vendere.
Poi... più niente. Il vuoto, il silenzio. Fino all’avvento dei supereroi Marvel e all’alba (italiana) di quello che oggi è considerato l’unico e vero Spider-Man (ma quelli della nostra generazione continueranno a chiamarlo L’Uomo Ragno, alla faccia di ogni legge commerciale).

In patria, The Spider è stato invece al centro di qualche revival. Nel 1992, un Mark Millar agli esordi firmò Vicious Games, storia scritta per uno speciale della rivista fantastica 2000AD, dove presentava una versione del personaggio un po’ particolare, facendolo tornare malvagio e attribuendogli abitudini alimentari antropofaghe (una cosa che non piacque proprio ai fans). Successivamente il personaggio apparve anche sulle pagine di Jack Staff (altro supereroe britannico) a opera di Paul Grist, che fornì finalmente al ragno un nome civile: Alfred Chinard (semplicemente perché i diritti del nome Spider erano ancora proprietà della IPC). In seguito, è toccato a Leah Moore (figlia di Alan) recuperare il ragno inglese nella celebrativa miniserie Wildstorm intitolata Albion (attualmente inedita in Italia), dove numerosi personaggi IPC fanno la loro nostalgica apparizione. Segno che gli inglesi sono affezionati ai loro supereroi, tanto differenti dagli standard cui la cifra americana, plasmata dai colossi Marvel e DC, ci ha abituato.

Con l’uscita di scena delle edizioni Planeta nel nostro paese (salvo inattese sorprese), temiamo che i titoli IPC torneranno nel dimenticatoio per i lettori italiani. Eppure, nelle memorie dei meno giovani, The Spider (Spiderman) rimane uno dei più amati, capace di bucare la pagina molto prima che Andrea Corno e Luciano Secchi iniziassero a spacciare Marvel nelle nostre edicole.
Non ci resta che confidare in una tardiva edizione italiana di Albion e in una nuova attenzione per queste glorie passate, cui possiamo riservare un posto d’onore tra i pionieri del genere supereroistico.


lunedì 11 ottobre 2010

Kelly's Eye vol. 1



Un viaggio in Sud America per riscuotere un'eredità si trasforma in un'angosciante avventura per Tim Kelly, giovane inglese dall'innato senso di giustizia. Fuggendo dai propri persecutori attraverso la giungla, Tim s'imbatte nel tempio di Zoltec, una divinità sconosciuta e trova qualcosa di straordinario che cambierà la sua vita per sempre...


Anche i supereroi inglesi hanno avuto una propria età dell'oro. Più tardiva, forse, rispetto ai loro cugini americani, e basata su caratteristiche e immaginari differenti. Eppure è esistita, è stata prolifica e ha prodotto personaggi di notevole interesse pur non riuscendo a germinare nell’immaginario collettivo (e commerciale) quanto i propri corrispettivi statunitensi. Non parliamo degli eroi in tuta venuti dalla Bretagna presenti nelle scuderie Marvel e DC. Questi eroi inglesi erano stravaganti e avventurosi in un modo tutto loro. Lo stesso aggettivo “super” accanto ai loro nomi potrebbe far storcere il naso a qualche purista. Un po' come accostare due archetipi che condividono linee di massima, ma hanno marcate distanze culturali. Pensate di confrontare due serial fantastici come Heroes e Doctor Who. Il signore del tempo più famoso della televisione anglosassone possiede molti attributi che lo farebbero definire un supereroe a buon diritto. Eppure il marchio di fabbrica, il format popolare sdoganato presso il vasto pubblico, sembra ormai avere assorbito pregi e difetti della confezione a stelle e strisce, tutti ben riconoscibili, invece, nel telefim ideato da Tim Kring.
Gli eroi inglesi, per quanto super e dotati di carisma, sembrano abitare una regione indistinta della fantasia, quasi fossero dei lontani parenti, un po' eccentrici, con i quali ci si sente di rado.

Una grossa fetta dell'olimpo supereroistico britannico la si deve alla IPC, colosso editoriale che tra gli anni 50 e 60 aveva assorbito diverse riviste avventurose quali Eagle, Lion e Tiger, fino ad arrivare alla più longeva: Valiant. Su quelle pagine si fecero conoscere personaggi come il celebre Dan Dare, ma anche The Spider (pubblicato in Italia, in tempi non sospetti, con il titolo Spider-Man), il robot Archie, l'Artiglio d’Acciaio e sopratutto la serie Kelly's Eye (L'Occhio di Kelly). In seguito, la IPC e tutti i suoi personaggi passarono sotto il controllo della Warner, e oggi la Planeta DeAgostini inizia a riproporre alcuni di questi titoli, nel nostro paese sconosciuti o dimenticati da tempo. Ad inaugurare questa rimpatriata con il fumetto avventuroso-fantastico britannico è proprio la serie Kelly's Eye, di cui è appena uscito il primo volume.

Indistruttibile come Superman, ma più vicino come concetto agli eroi della tradizione fiabesca che, come Aladino, traggono vantaggio dal possesso di un oggetto magico, Tim Kelly torna finalmente in Italia dopo un'assenza durata parecchi decenni. I più maturi potranno ricordare di aver letto alcune avventure dell'invulnerabile Tim in un contesto piuttosto bizzarro, come appendice ai fumetti di gatto Silvestro (sempre Warner) pubblicato dalle edizioni Cenisio nei primissimi anni 70. Il titolo italiano era L'Occhio di Zoltec (più musicale e pertinente, per l'orecchio italico, rispetto al genitivo sassone dell'originale Kelly's Eye). Un connubio sicuramente strano, dove alle consuete scaramucce tra gattaccio e canarino seguivano avventure (in parte colorate nell’edizione italiana) dai toni molto dark, sconfinanti spesso in atmosfere da racconto horror. Tim Kelly (generalità che il titolo italiano ignorava, dando risalto alla divinità cui l'occhio magico era stato sottratto) era il classico eroe senza macchia, schierato dalla parte della giustizia semplicemente perché l'Occhio di Zoltec gli offriva la possibilità di fare un passo in più. Aver rischiato la vita e aver acquistato il potere dell'invulnerabilità, induce l’eroico Tim a consacrarsi alla protezione del prossimo. Il medesimo concetto del “potere e responsabilità” (qui seminale e senza troppi perché) che sarebbe stato canonizzato (con un trauma personale più profondo) dall'Uomo Ragno della Marvel.




Tim Kelly affrontava scienziati pazzi che ingigantivano lucertole e aracnidi con l'intento di sottomettere il mondo, congreghe di vampiri spaventosi (durante un viaggio in Italia, pensa tu) e spietati criminali ordinari. Il talismano appeso al suo collo gli permetteva di sopravvivere a cadute vertiginose, stanze allagate con l'acido solforico, esplosioni e persino raggi della morte di origine soprannaturale. All'inizio degli anni 70, nel nostro paese, i fasti de L'Eternauta erano ancora lontani, e chi leggeva L'Occhio di Zoltec (in appendice, ricordiamo, a Silvestro) non aveva modo di riconoscere la mano del veterano Francisco Solano Lopez. Firma che rende Kelly's Eye un prodotto da recuperare per chiunque ama questo artista e apprezza la sua grande duttilità. Ai testi trovavamo invece Tom Tully, che conferiva alle avventure di Tim un ritmo essenziale e scarno, fortemente debitore ai fumetti avventurosi degli anni 30, solitamente organizzati in una o due sole tavole per episodio, dove venivano concentrati un gran numero di colpi di scena e un cliffhanger finale adeguato a introdurre la puntata successiva. Col progredire della serie, dialoghi e storie maturarono, virando nello stesso tempo verso un tono sempre più cupo. La grande contraddizione che rendeva Tim Kelly un supereroe molto sui generis, era la sua capacità di perdere o farsi rubare l'amuleto dell'invulnerabilità a ogni piè sospinto. Spesso in momenti cruciali della storia, costringendolo ad architettare soluzioni alternative e a cavarsela grazie al suo ingegno. Tim era dunque un eroe anche privo della gemma che lo rendeva indistruttibile. Certo, poteva affrontare di tutto, essere travolto da un carro armato e uscirne vivo. Ma giunti al climax dell'avventura, il lettore poteva dimenticare (per poco) gli elementi supereroistici per godere di una maggiore identificazione con il protagonista, umano e vulnerabile come lui. Un tormentone quasi beffardo, eppure perfettamente logico in un racconto avventuroso basato sul potere di un oggetto magico. I ladri dell’Occhio non potevano conservarne il possesso a lungo, perché era l’irriducibile eroismo di Tim Kelly ad attirare il talismano nuovamente verso di lui.


Kelly's Eye è un fumetto che pur non appartenendo a un passato lontanissimo (gli anni 60) potremmo considerare d'epoca, viste le notevoli trasformazioni del mezzo negli ultimi decenni e le peculiarità anglosassoni che caratterizzano il ritmo avventuroso della serie. Difficilmente incontrerà i favori dei lettori più giovani, abituati a ben altra musica. Resta comunque un importante contributo al mito del eroe “super” nei fumetti, pur con tutte le varianti e differenze dallo stampo ormai codificato, e ha tutte le carte in regola per piacere a chi ama recuperare certi classici dal sapore vintage.




Questa recensione è stata pubblicata anche su Fantasymagazine.


[Articolo di Filippo Messina]