lunedì 23 marzo 2020
El Hoyo (Il Buco)
Il film "El Hoyo" presentato da Netflix, rappresenta uno di quei casi in cui gli odiati servizi di streaming possono rendere possibile la visione di opere interessanti, che magari non avremmo visto e che potrebbero giacere nel dimenticatoio per molto tempo. Al di là di queste riflessioni, "El Hoyo" (intitolato "The Platform" per il mercato internazionale, e in Italia "Il Buco", con lungimiranza incommentabile), sta facendo discutere molta gente. Tanti ne sono entusiasti. Altri sconcertati. Qualcuno ritiene di riconoscere influenze di opere già viste. Altri ancora ne lodano gli intenti metaforici, accettando gli aspetti più esoterici di una trama che lavora in sottrazione. Opera prima del regista spagnolo Galder Gaztelu-Urrutia, "El Hoyo" (perché non tradurlo "La Fossa", cazzo?!) è una vera sorpresa, che magari non brillerà in modo particolare per originalità, ma che se recupera semi del passato lo fa con criterio, stile, e ottime intenzioni in larga parte ben realizzate. Non è semplice parlarne. In primo luogo perché è uno di quei racconti di cui è meglio scoprire il meccanismo poco per volta. In seconda istanza, perché presenta un curioso e riuscito mix di generi pur non essendo (a sorpresa) un vero film di genere. Potremmo parlare di fantascienza distopica, di horror (sotto parecchi aspetti), di thriller, e di apologo politico. Ma anche mistico, filosofico. "El Hoyo" è anche un ottimo esercizio di stile in cui un pugno di attori, tutti molto bravi, riescono a creare un microcosmo angosciante da uno scenario ridotto e da un'idea semplicissima nella sua crudeltà. Chi conosce e apprezza il teatro dell'assurdo di Samuel Beckett potrebbe avere qualche dejavu da incubo. La costrizione, il senso di vuoto morale, la mostruosità di personaggi che hanno perso quasi del tutto la loro umanità. Finita la visione del film, è lecito interrogarsi in quale misura il messaggio (neanche tanto) nascosto verta sulla rappresentazione allegorica di un ordinamento sociale in classi dove l'incapacità di collaborare destina tutti all'abisso o sulla ricerca di una ragione per andare avanti nonostante tutto, nutrendo la speranza nel domani per i posteri se non per se stessi. Ma un'opera veramente riuscita formula domande e incita alla riflessione più che elargire risposte. E "El Hoyo" questo lo fa. Lo fa dannatamente bene, mettendo in scena un dramma dove conta molto il dialogo, la parola e le atmosfere. Davvero un bell'esordio per un regista che incoraggiato su questa strada potrebbe offrire meraviglie in futuro.
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Adorato dall'inizio alla fine, è uno di quei pochi film che, pur avendolo visto mesi fa, mi si è insinuato nel cervello per non andarsene più.
RispondiEliminaMerito della trama, "obvio", ma anche dei due interpreti principali, maledetto vecchiaccio in primis!