In principio era “Il presagio”. Un
bambino diabolico con un destino da compiere, e una serie di fatali
incidenti che eliminavano quanti si mettevano sulla sua strada.
Oggi il male non è generato dal
diavolo. Cade dal cielo, dalle stelle, sempre con le sembianze
innocenti di un bambino. Non esita a sporcarsi le mani personalmente,
e sovverte del tutto le aspettative messianiche che finora gli erano
state attribuite. Non arriva per proteggere la terra, ma per
conquistarla. Forse distruggerla.
Era nell'ordine naturale delle cose.
Con lo sdoganamento definito dei supereroi sul grande schermo, che la
loro versione al negativo volesse dire la sua, era soltanto questione
di tempo. Ed ecco infatti arrivare “Brightburn”, film di David
Yarovesky, prodotto da James Gunn e scritto dal fratello Brian in
collaborazione con il cugine Mark (cose di famiglia, insomma). La
rilettura al nero del mito di Superman non è una novità. Non lo è
sicuramente nei fumetti, dove dimensioni alternative, storie
immaginarie e variazioni sul tema hanno proliferato nel corso dei
decenni. Su tutte, ricordiamo la serie “Irredimibile” (il titolo
è tutto un programma) di Mark Waid, dove facciamo la conoscenza di
un possibile Superman (qui chiamato il Plutoniano) che dopo essere
stato per anni un eroe protettore della terra, perde la testa a causa
dello stress e di una lunga catena di traumi, trasformandosi in un
mostro onnipotente che dà inizio a una devastazione senza fine. E un
Superman cattivo... ripetiamolo: Superman, l'Uomo d'Acciaio, più
veloce di un proiettile, invulnerabile, fortissimo, che ti rintraccia
ovunque solo sentendo il tuo battito cardiaco ed è in grado di
ridurre tutto in cenere con uno sguardo... è un vero incubo. Dalla
fantascienza avventurosa, quindi, si sconfina nell'horror, e l'eroe
con superpoteri diventa il peggiore dei mostri possibili.
Se nel fumetto di Mark Waid tutto era
già successo e una larga parte del racconto consisteva nello
scoprire le ragioni della progressiva follia del protagonista, in
“Brightburn” il discorso è più schematico. Il punto di partenza
è quello canonico. Una coppia nel Kansas (ma qui la cittadina si
chiama Brightburn invece che Smallville) fatica ad avere figli,
finché una notte non cade dal cielo una navicella con dentro un
bambino alieno.
Alieno. Una parola che nel caso di
“Brightburn” andrebbe sottolineata più volte. Brandon Breyer
(con l'allitterazione nel nome come Clark Kent) non ha bisogno di
particolari traumi per sbroccare. I suoi genitori sono affettuosi, il
contesto benevolo, e sporadici episodi di bullismo a scuola sono
qualcosa di troppo blando per giustificare il suo veloce passaggio al
lato oscuro. Una lezione di biologia all'inizio del film fornisce
subito la chiave di lettura. Brandon è figlio di una stirpe che
agisce come il cuculo, che mette il proprio uovo nel nido altrui
affinché sia covato. E l'uccello intruso una volta rotto il guscio
dimostra la sua vera natura di predatore.
Come già in passato (compresa la serie
TV “Smallville”), un ruolo importante è svolto dalla navicella
che ha portato il piccolo alieno sul nostro pianeta. Esiste un
richiamo culturale che induce Brandon ad abbracciare il suo retaggio
e a considerare, una volta raggiunta la pubertà, i terrestri come
esseri fragili e prescindibili, che possono essere schiacciati come
insetti non appena diventano inutili o appena molesti. L'assenza di
empatia della natura di Brandon è il motore di tutto. Nel nuovo
millennio, gli alieni non sono più buoni. Non sono E.T. E non sono
nemmeno Superman. La scena post credito parla chiaro. Il superuomo
qui è visto come l'avvento di una nuova generazione che
probabilmente spazzerà via quanto rimasto del vecchio mondo, della
sua storia e delle sue pretese di civiltà. In funzione di cosa non è
dato sapere, ma l'orizzonte non è roseo e annuncia solo
devastazione.
Il film di Yarovesky
(irresponsabilmente intitolato dalla distribuzione italiana:
“L'angelo del male”, come l'edizione nostrana di “La Bête
humaine” di Jean Renoir del 1938 e come l'horror “The Prophecy
II”, segno di grande originalità e rispetto per la storia del
cinema) scorre bene e riesce a essere discretamente inquietante.
Grazie anche al volto (di per sé già alieno) del giovanissimo
attore Jackson A. Dunn. Il film ha qualche pecca sul piano logico e della
costruzione di alcuni personaggi. La scoperta dei poteri di Brandon è
forse troppo veloce, e risulta inverosimile che certi danni compiuti
dal piccolo alieno non attirino l'attenzione dei genitori adottivi
molto prima. La conduzione in stile slasher, però, funziona, e si
giova di alcune sequenze gore realmente disturbanti. Il travestimento
ideato da Brandon per le sue scorribande malefiche diventerà
sicuramente un'icona. E chissà che non ci aspetti un sequel o un
nuovo universo narrativo. Tutto dedicato, stavolta, a esplorare una
versione distorta, negativa e malvagia di quelli che chiamiamo
supereroi.
Adesso, però, sarebbe auspicabile una
serie televisiva basata su “Irredimibile”. I tempi sono maturi e
così il mezzo televisivo. Riscoprire un Superman che diventa
lentamente malvagio in un'esplosione di follia e crudeltà, sarebbe
una ghiotta occasione per un prodotto audiovisivo in linea con un
mondo sempre più disincantato, in cui ormai si guarda con sospetto e
paura anche chi un tempo immaginavamo come eroe.
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