Una parola per definire “Shazam”,
il cinecomic di David F. Sandberg uscito oggi nelle sale italiane,
potrebbe essere “imprevisto”. Ma anche “divergente”. Non
“differente”, ma “divergente”. Cioè qualcosa che prende una
strada diversa rispetto a una direzione comune. E' anche un film che
probabilmente dividerà il pubblico. Anzi, in parte ha già
cominciato a farlo, separando chi ha avuto l'occasione di vederlo in
anteprima tra entusiasti e delusi che lo hanno etichettato come un
prodotto nato vecchio, riconducibile a un modello ritenuto superato,
stantio. Almeno per quanto riguarda il cinema fantastico e nella
fattispecie i cinecomics supereroistici. Qualcuno (ho già
dimenticato chi) lo ha classificato come un film dove si respira
l'aria del cinema degli anni 90, concludendo che i soli spettatori
che potranno apprezzarlo saranno forse i nostalgici di quel periodo.
E' vero? Beh, forse sì. E' vero.
E' un male?
No. Non necessariamente.
Cerchiamo di capirci. “Shazam” è
un film prevedibile in ogni suo atto. E' un film che attinge a una
tradizione avventurosa e fantasiosa che deve molto al marchio Disney
(attualmente impegnato altrove, con un'etichetta concorrente). E sì,
possibilmente rispolvera anche criteri e guizzi di un modo di fare
cinema dei primi anni 90, per linguaggio ed estetica. Un film tratto
da un fumetto di supereroi come si facevano una volta. Senza pensare
a tessere tele in cui dovrebbero convergere altri progetti filmici,
ma mirando unicamente a portare a casa un prodotto decente, che duri
lo spazio di una serata, senza aspirare a essere ricordato per più
di qualche ora.
Sì, diciamolo pure. Quello di Sandberg
è un filmetto senza pretese.
Perché, allora, “Shazam” mi ha
divertito come un bambino? La sua prevedibilità, per una volta, non
mi ha annoiato, ma mi ha fatto conservare fino alla fine del film una
sensazione piacevolissima, facendomi uscire dal cinema contento come
non mi era successo con il recente “Captain Marvel” e ancora meno
con l'acclamato “Aquaman”. Come mai?
In modo paradossale, la risposta
potrebbe nascondersi proprio nel tema centrale del film. Vale a dire
in quel bambino nascosto nel corpo di un adulto con superpoteri che
non sa nascondere (né vuole farlo) la sua identità infantile. Forse
tutto sta in quel concetto cardine, perché poche cose nella vita
sono più puerili (e ridicole) di un bambino che gonfia il petto e fa
smorfie per sembrare adulto. Mentre di un bambino vero si può magari
apprezzare la simpatia, la spontaneità, la vivacità.
La chiave anni 90, che potremmo anche
chiamare “disneyana”, fonde l'avventura fantastica con la
commedia, e realizza un compito diligente in cui il cinefumetto parla
finalmente la vera lingua delle tavole disegnate senza pretendere di
mimetizzarsi per sembrare altro. E sia chiaro che il linguaggio del
fumetto non è necessariamente sciocco o ingenuo. Nel caso di
“Shazam”, parliamo di fantasia, di contenuti fiabeschi, di
supereroi. Un terreno minato dove tentare di essere adulti a ogni
costo può portare a derive perniciose. Per una volta, un cinecomic
rinuncia ad aderire a quello che è un trend non dichiarato, ma ormai
pesantemente codificato dal cinema degli ultimi anni. Quello di voler
sembrare un prodotto che parla a tutti, a tutte le età, e facendolo
realizza un pasticcio ibrido in cerca di un target indefinibile.
“Shazam”, invece, se ne frega allegramente, e la butta in burla,
ma conservando il tono dell'avventura di formazione. Per questo ogni
twist, per quanto prevedibile, è accolto con affetto e la linea
ironica che a tratti prevale su quella più seriosa (nel film non
mancano momenti moderatamente horror) centra il bersagli. Ci fa
sentire come se avessimo infine vinto a una gara un pupazzo che ci
stava particolarmente a cuore e che finalmente possiamo abbracciare.
Bentornati, anni 90. Bentornata, ingenuità felice. E bentornata
confezione cinematografica diligente ma senza pretese.
La presenza dell'attore Zachary Levi è
sicuramente uno dei punti vincenti del film, rodatissimo attore di
commedia in grado di far trasparire il bambino dentro il titano per
tutta la durata dello spettacolo. Favorito, nell'edizione italiana,
dalla simpatica performance di Maurizio Merluzzo, qui perfettamente
in parte. Non serve parlare della rivincita di un prodotto targato
DC-Warner contro l'avanzata del Marvel Cinematic Universe. O almeno
non dovrebbe importare. Chi non conosce il personaggio si troverà
davanti a un film fantastico (per ragazzi? Ma sì, non è mica una
parolaccia!) leggero e gradevole. Un film che ovviamente presenta dei
cliché, e uno schematismo sentimentale che a qualcuno potrebbe
risultare telefonato. Ma dopotutto, è davvero una cosa così
negativa? Viviamo in un periodo storico in cui la semplificazione
eccessiva di problemi complessi sembra pagare. Allora perché non
affidarsi anche a valori positivi altrettanto schematici? Se il
messaggio è quello della famiglia che si sceglie, e della
solidarietà che rende forti, ben venga. Ne abbiamo bisogno come del
pane fresco. E perché no, se l'odio semplificato vince nella
comunicazione, forse può farlo anche uno schema semplice che parla
al cuore. Per una volta gli appassionati dei fumetti ritroveranno una
notevole fedeltà alle fonti, soprattutto alla riscrittura delle
origini del personaggio firmata in anni recenti da Geoff Johns e Gary
Frank (e se venite a trovarmi alla Biblioteca Salvatore RizzutoAdelfio, potrette leggerlo gratuitamente). Una sola vera, grossa ma
indolore, variante. E stavolta ad applaudire in sala sono i
bambini. E hanno ragione a farlo. Quasi dispiace non avere il
coraggio di farlo con loro. Persino i titoli di coda risultano
accattivanti e degni di essere visti fino alla fine. Una scena
middle-credits che introduce un altro grande avversario che a quel
punto nessuno si aspetta, e un'ultima scena post credits che
ironizza sulla battuta finale di un altro cinecomic che attualmente
va per la maggiore.
Tutto questo non sarà perfetto. Anzi,
non lo è di certo. Ma funziona. Personalmente accolgo con piacere un
film che non fa nulla per piacere a tutti. Cerca solo di essere
quello che è. Tanto non piacerà a tutti lo stesso. E lo sa. Ne è
magari fiero. Il cinecomic è servito. Anzi, il cinecomic è tornato.
Tornato quello di una volta, e già mi sembra di sentire la trita
cantilena di chi mi dice che dovrei mettermi al passo con i tempi. Ma
non importa, l'ultima persona che mi ha detto qualcosa del genere
aveva più di trent'anni, e non ha ancora imparato che giovani si
diventa con fatica. Prima si è soltanto degli arroganti pischelli. E
che la giovinezza che merita di essere conservata, anzi conquistata
con l'esperienza, è uno stato d'animo, non un linguaggio o un trend
cui omologarsi. Ci vogliono forza e tempo per guadagnare quella
leggerezza.
Per questo, oggi, sono contento di aver
visto “Shazam”.
P. S. Il solito post scriptum. Con
tutto il rispetto e la solidarietà che ho per chi invita a
frequentare le sale cinematografiche “perché è meglio”... io vi
voglio bene, ma non capisco come facciate a sopportarlo. Io se pago
il biglietto desidero vedere il film, non l'illuminatissima casella
Gmail del giovanotto seduto davanti che la consulta per tutto il
tempo. Lo spettacolo del suo osso sacro peloso quando si alzava o
sedeva era già più interessante.
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