In queste sere di fine Estate, mentre
il caldo, mio grande nemico, continua a posticipare la sua ritirata,
sono tornato a dedicarmi a una delle mie passioni più inveterate: la
visione di film horror, possibilmente scelti tra titoli poco noti e
potenzialmente portatori di sorprese.
Eccomi dunque affrontare la visione di
“Lake Mungo”, film australiano del 2008, inedito in
Italia, ma del quale avevo sentito parlare solo bene. Il film è un
mockumentary, cioè un falso documentario. Non un found footage, non
un Pov. Siamo lontani dal concetto dei filmati amatoriali ritrovati
per caso che narrano un'esperienza in prima persona secondo il
modello di “The Blair Witch Project”. Qui siamo in
presenza di un finto documentario fatto e finito. Composto da
interviste, filmati di repertorio, vecchie foto, testimonianze, e –
inevitabilmente, sì – anche qualche video amatoriale dalle
immagini traballanti. La cornice potrebbe essere quella di un
programma ascrivibile al giornalismo-spettacolo, ma senza la presenza
di un anchor-man in video. “Lake Mungo” non esce mai dagli
argini formali che si è imposto, e il suo ritmo è dilatato,
costruendo il racconto di una testimonianza alla volta, una scoperta
alla volta. La storia è innescata dalla morte improvvisa di
un'adolescente, Alice Palmer, che annega in un lago durante una gita
con la famiglia. Già, di cognome fa Palmer. E il suo nome non può
che far pensare a una citazione d'autore, e infatti è così. Tutto
parte come un dramma familiare canonico, ma mentre genitori e
fratello minore, affrontano il difficile cammino del lutto, in casa
si comincia ad avvertire qualcosa di strano. Una presenza. Iniziano
gli incubi. Gli improvvisi avvistamenti. E a un certo punto qualcosa
si manifesta in foto e filmati...
Credo che “Lake Mungo” sia
la più bella e terribile ghost story degli ultimi vent'anni. Un film
che parte da un presupposto che più classico non si può per virare
improvvisamente (con inattese sterzate da mal di mare) in territori
che non ci si aspetta. In apparenza un piccolo film, tra l'altro
abbastanza statico per lo stile documentaristico che adotta. Una
narrazione fatta di parole, senza sangue né salti sulla sedia.
Eppure, a visione completata, quando tutti i pezzi del puzzle sono
andati al loro posto, ci si accorge di essere rimasti profondamente
turbati. “Lake Mungo” è davvero una strana
creatura cinematografica. E' un dramma ed è un horror (ma anche un
thriller psicologico) che alterna la marcia tra questi due generi
mutando registro più volte. E' un film sul lutto, e sulle
consolazioni che il paranormale in qualche caso potrebbe offrire. Ma
è anche un formidabile esercizio di regia, che ammirato nella sua
completezza si dimostra perturbante come poche altre pellicole. Una
storia sul rapporto tra vivi e morti che nel finale (fortemente
metaforico) comunica, insieme a una profonda inquietudine, una
sensazione di tristezza devastante. Gli ultimi secondi di film, con
le loro rivelazioni, inducono a riguardare alcune scene alla luce di
una nuova consapevolezza. E notare quello che a una prima occhiata
non si era visto, distratti da una regia maliziosa, fa davvero gelare
il sangue. Se non fosse che a quel punto, a film finito, non si sa
più se avere paura o piangere.
Il concetto di fantasma, inteso come
archetipo del terrore, è da ricondurre sostanzialmente alla domanda
“cosa c'è dopo la morte?”. La paura di incontrare qualcuno di
trapassato, anche se un proprio caro, è quella di trovarsi in
presenza di un gancio con l'aldilà. Qualcuno che in teoria potrebbe
portarci con lui oltre quella soglia sconosciuta. La paura dei
fantasmi è in realtà paura della morte stessa. E in “Lake
Mungo” questo concetto viene ulteriormente affermato, con un
twist agghiacciante e nello stesso tempo disperato che lascia lo
spettatore con ulteriori domande sulla tragica morte di Alice.
E' anche un dramma sulla comunicazione
tra familiari. Meglio, sulla difficoltà (o impossibilità) di
comunicare e sulle sue nefaste conseguenze. Un dramma sulla
solitudine dei vivi quanto dei morti, tra i quali potrebbe, in un
certo senso, non esserci troppa differenza.
“Lake Mungo” è un film
bellissimo e strano. Sicuramente poco commerciale e di fruizione non
facile per un pubblico generalista. Il fan horror di ultima
generazione potrebbe non riuscire ad arrivare a metà pellicola,
liquidandola come noiosa e priva di mordente. Sarebbe un gravissimo
errore. Perché pochi film, sia pure solo dopo che i titoli di coda
sono terminati, lasciano una tale sensazione di smarrimento. Se
parliamo di orrore, orrore del quotidiano, orrore del vivere (e del
morire), “Lake Mungo” è di sicuro un piccolo capolavoro.
Visto da poco.
RispondiEliminaNon mi ha fatto paura , non è un horror è fatto bene almeno fino al punto in cui diventa prevedibile.
Un mix di tante tecniche di ripresa con un risultato un po’ controverso.
Concordo con te che alla fine ti lascia un senso di tristezza e malinconia.
Ciao e complimenti per il Blog
Massimiliano
Grazie.
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