Ossessione. Infestazione. Possessione.
Visto “Hereditary” di Ari Aster. Film horror che divide il pubblico. Chi lo esalta, chi lo boccia senza appello. E tutto sommato un motivo c'è.
Visto “Hereditary” di Ari Aster. Film horror che divide il pubblico. Chi lo esalta, chi lo boccia senza appello. E tutto sommato un motivo c'è.
“Hereditary” è un'opera ambiziosa,
volta a essere un horror d'autore. Ari Aster, regista giovanissimo al
suo esordio, dimostra di non essere un velleitario qualunque, e di
possedere delle felici intuizioni visive. Il problema è la
confezione generale, la cesura quasi netta che sembra dividere il
film in due blocchi narrativi collegati ma sotto certi aspetti non
omogenei. Cosa che porta alla nascita di una creatura attraente, ma
claudicante. Gioca la sua parte anche un'eccessiva caduta di stile
nel finale, in cui la volontà di concludere in fretta sembra
mostrare il conto a una regia interessante che giunta a quel
traguardo ha però esaurito le cartucce, e si adagia in un manierismo
che dopo tanta atmosfera risulta tanto più fastidioso. Parecchio
fastidioso. Lacuna ancora più grave quanto tutta la prima parte del
film è stata affascinante, sprecando in sostanza un buon potenziale
e presentando in definitiva un'opera non del tutto compiuta.
Questo non rende “Hereditary” un
film da buttare. Ricordiamoci, soprattutto, che ci troviamo di fronte
a un'opera prima. E ad averne. Il giudizio si colloca in una
posizione intermedia, una materia potenzialmente buona, una regia
suggestiva e soprattutto un ottimo comparto attoriale guidato da una
Toni Collette al suo meglio. Se non fosse per quello scotto pagato a
una conclusione che se scritta con maggiore cura, se fosse stata più
suggerita e meno declamata, magari avrebbe reso di più e conservato
la solidità della prima ora. Diciamolo. “Hereditary”, come molti
altri film di genere, echeggia spunti già visti, e in questo non c'è
niente di insolito né di male. Nella fattispecie, a me ha ricordato
“Darkness”, film spagnolo di Jaume Balaguerò del 2002, che
presenta più di un dettaglio in comune con la narrazione di base del
film di Aster. Dal mio punto di vista, il confronto tra questi due
horror è curioso. Infatti, se in “Darkness” la rivelazione
dell'intrigo soprannaturale e delle sue dinamiche aveva una sua
efficacia drammatica, mostrata più che spiegata, “Hereditary”
pecca proprio in questo, ma risulta (sempre a mio parere) più
riuscito del film di Balaguerò dal punto di vista del ritmo e del
crescendo preparatorio, laddove “Darkness” girava a vuoto senza
seminare le suggestioni malate che invece nel film di Aster
abbondano.
“Hereditary” si affida molto ai
dialoghi, anche quelli che sono apparentemente relegati a rumore di
fondo, per suggerire significati e dare un senso a quanto vedremo
accadere sullo schermo. I vari riferimenti mitologici, uno scambio di
battute tra madre e figlia, il ricordo di tragedie passate. Il
racconto di spavento fa leva sulla memoria e sull'attenzione per il
dettaglio dello spettatore. Se si guarda a questi elementi con occhio
distratto, il film perderà un'altra ampia porzione della sua ragion
d'essere. Come dicevo all'inizio, è un'opera ambiziosa che fallisce
sul lungo tragitto, ma che è apprezzabile per le buone intenzioni e
non lascia del tutto indifferenti. Al contrario, fornisce sequenze e
situazioni che generano autentico raccapriccio (in senso emotivo, non
come shock visivo, in ogni caso molto ridotto). I rapporti di causa e
di effetto, le scelte dei personaggi (che quasi sempre finiscono col
produrre un risultato opposto a quello che si proponevano di
ottenere) esprimono un sottotesto fatalista e claustrofobico (reso
benissimo dalla sovrapposizione con l'arte artigianale cui si dedica
la protagonista, che realizza miniature in scala dei momenti cardine
nella vita della propria famiglia) trovano la loro ragion d'essere in
una verità angosciante espressa chiaramente sin dalle prime battute
del film. Per questo “Hereditary”, nonostante l'intrusione non
sempre ben gestita del tema demoniaco, potrebbe essere interpretato
come la metafora di una malattia ereditaria. Ineluttabile,
immeritata, e contro il cui decorso è vano ribellarsi. Un dna malato
il cui destino è già stato scritto.
La regia di Aster sceglie un ritmo
lento ma scandito, e alcune scelte visive sono realmente inquietanti.
Compresa la scelta del volto particolare di Milly Shapiro
(cinicamente mi ha fatto ripensare all'uso fatto da Wes Craven
dell'attore Michael Berryman in “Le colline hanno gli occhi”),
vera e propria maschera del film in un ruolo che non si dimentica.
Poi arriva la parte finale. La corsa
(eccessiva) alle rivelazioni, e la scelta di espedienti fin troppo
dozzinali per svelare un background che per tutta la prima parte è
stato latitante. I riferimenti a “Rosemary's Baby” sono evidenti,
ma se il film di Roman Polansky sin dal principio era generoso di
indizi che lentamente formavano un mosaico d'angoscia, “Hereditary”
si affida a poche sequenze che veramente non reggono per immaturità
e faciloneria il confronto con le intuizioni drammatiche del primo
tempo. Si legge in rete che in alcune sale il pubblico risponde
ridendo a determinate scene. Ci può anche stare, ma lascia il tempo
che trova. Al di là della fretta di determinate soluzioni, e quindi
alla loro goffaggine, sono abituato a sentire la gente ridere in sala
di tutto senza distinzione. Quando è giustificato e anche quando non
lo è. Ricordo di aver sentito la platea ridere davanti al cadavere
congelato di Leonardo Di Caprio nel finale di “Titanic”, pertanto
non do alcun peso a questo fenomeno di massa.
In definitiva, “Hereditary” è un
film che gli appassionati di horror dovrebbero vedere con molta
attenzione. Giusto per coglierne gli spunti migliori separandoli da
quelli palesemente malriusciti, valutando lo stile di alcune
variazioni su un tema già affrontato in passato. Non mi sento di
condannare l'intero film nel suo complesso, la valutazione si colloca
nel mezzo. Come un lavoro che dimostra un potenziale che però dovrà
forse esprimersi e confermarsi in produzioni future.
Del resto, l'eredità cinematografica
di Ari Aster non era agevole. Bacchettate sulle mani per la chiusura
del film, e rimandato a Settembre per portare a compimento tutto
quello che di buono ha lasciato intravedere.
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