"Where the Dead Go to Die" (Dove i morti vanno a morire) è un film d'animazione del 2012 diretto da Jimmy Screamerclauz. Un film del quale dopo la visione è impossibile non discutere. Ma del quale è nello stesso tempo difficilissimo parlare, partendo dal fatto che di sicuro non è un prodotto consigliabile. Beh, non a tutti, di sicuro. E non perché gli manchino spunti di interesse. Proviamo a partire dalla scelta di animare la pellicola con una computer grafica obsoleta, da filmato in stile vecchia consolle anni 90. E' uno dei primi elementi affrontati dalle rare recensioni che si trovano in italiano, e quasi tutti tendono a presentare questo aspetto come un possibile deterrente dalla visione.
Un... possibile deterrente. Uno solo. Il primo. Di tanti.
In realtà, l'animazione grezza (ammesso che si possa definire tale. Vintage forse, ma usata in modo talmente psichedelico da ammaliare) è ciò che rende "possibile" il film, e che contribuisce a renderlo uno dei prodotti più estremi e malati in cui ci si possa imbattere. Sì, perché benché si stia parlando di un film d'animazione, qui siamo dalle parti di "A serbian film" per gli orrori, il disagio e le provocazioni deliranti che somministra.
Un... possibile deterrente. Uno solo. Il primo. Di tanti.
In realtà, l'animazione grezza (ammesso che si possa definire tale. Vintage forse, ma usata in modo talmente psichedelico da ammaliare) è ciò che rende "possibile" il film, e che contribuisce a renderlo uno dei prodotti più estremi e malati in cui ci si possa imbattere. Sì, perché benché si stia parlando di un film d'animazione, qui siamo dalle parti di "A serbian film" per gli orrori, il disagio e le provocazioni deliranti che somministra.
Ha ragione chi dice che questa pellicola è un cocktail di Timothy Leary, Clive Barker e Miguel Angel Martin, più tanta altra cultura lisergica ed estrema. Il film è praticamente a episodi, per quanto questi si incastrino ognuno negli altri come scatole cinesi. Un cupo quartiere. Tre famiglie disagiate. Tre bambini (o quattro?). Un cane diabolico di nome Labby, doppiato dallo stesso regista, che si definisce un messaggero di Dio e che induce i protagonisti a compiere nefandezze oltre ogni immaginazione.
Aldilà della grafica volontariamente desueta, ibridata con giochi fotografici allucinatori e un doppiaggio distorto che rende tutto ancora più inquietante, ci troviamo a sprofondare in un pozzo (rappresentato fisicamente nel film come un portale tra dimensioni) di follia, depravazione, violenza, pedofilia, necrofilia, e devastanti modifiche del corpo che pagano un meritato tributo all'ero guro giapponese. Potentissima l'immagine ricorrente del crocifisso con la testa ardente (la potenziale bontà umana la cui capacità di ragionare va però in fumo), come gli uomini ombra, traghettatori tra i mondi, la Morte che non dice il suo nome e lo stesso cane infernale. L'ultimo episodio, il più denso e narrativamente compiuto, è forse quello più atroce. Ciò che emerge chiaramente da "Where the Dead Go to Die" è la negazione nichilista della famiglia, vista come istituzione ipocrita, cieca e sorda alle reali esigenze dei minori. Ma anche l'assenza di un'alternativa valida, e ogni goffo tentativo di fare del bene trasformato puntualmente in un nuovo, grottesco orrore. Non è certo casuale se il film di Screamerclauz (che chiaramente usa uno pseudonimo) sia così poco noto e solo di recente siano stati prodotti dei sottotitoli in italiano per facilitarne la visione (i dialoghi sono lunghi, quasi sempre con un riverbero ultraterreno e difficili da reggere senza provare vertigini). Un film, pertanto, che non si può consigliare. Eccetto magari ai cultori dell'estremo, del cinema indipendente più sperimentale e cattivo, e di quell'animazione non scontata che diventa veicolo per rappresentare un'anima nera che il cinema live action, per quanto sfrontato, non osa toccare così da vicino. Un vero incubo, che resta dentro e induce a riflettere sui tanti simboli malsani che ci hanno trafitto il cervello durante la visione.
Aldilà della grafica volontariamente desueta, ibridata con giochi fotografici allucinatori e un doppiaggio distorto che rende tutto ancora più inquietante, ci troviamo a sprofondare in un pozzo (rappresentato fisicamente nel film come un portale tra dimensioni) di follia, depravazione, violenza, pedofilia, necrofilia, e devastanti modifiche del corpo che pagano un meritato tributo all'ero guro giapponese. Potentissima l'immagine ricorrente del crocifisso con la testa ardente (la potenziale bontà umana la cui capacità di ragionare va però in fumo), come gli uomini ombra, traghettatori tra i mondi, la Morte che non dice il suo nome e lo stesso cane infernale. L'ultimo episodio, il più denso e narrativamente compiuto, è forse quello più atroce. Ciò che emerge chiaramente da "Where the Dead Go to Die" è la negazione nichilista della famiglia, vista come istituzione ipocrita, cieca e sorda alle reali esigenze dei minori. Ma anche l'assenza di un'alternativa valida, e ogni goffo tentativo di fare del bene trasformato puntualmente in un nuovo, grottesco orrore. Non è certo casuale se il film di Screamerclauz (che chiaramente usa uno pseudonimo) sia così poco noto e solo di recente siano stati prodotti dei sottotitoli in italiano per facilitarne la visione (i dialoghi sono lunghi, quasi sempre con un riverbero ultraterreno e difficili da reggere senza provare vertigini). Un film, pertanto, che non si può consigliare. Eccetto magari ai cultori dell'estremo, del cinema indipendente più sperimentale e cattivo, e di quell'animazione non scontata che diventa veicolo per rappresentare un'anima nera che il cinema live action, per quanto sfrontato, non osa toccare così da vicino. Un vero incubo, che resta dentro e induce a riflettere sui tanti simboli malsani che ci hanno trafitto il cervello durante la visione.
Consiglio, invece, la recensione sul canale di Shivaproduzioni: https://youtu.be/zlUV4_DhBDY
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