Palermo. Fermata bus via Roma, altezza
Vucciria. Ecco arrivare la linea 103.
E' una storia vecchia. Quella delle
vetture che arrivano alla fermata a pochi secondi l'una dall'altra.
Questo fa scattare il dilemma del prigioniero... pardon, del
passeggero. La domanda è: l'autista del secondo bus è osservante,
sciatto o semplicemente stronzo?
Mi spiego. Le moderne vetture sono
spesso discretamente lunghe. Se due di queste si mettono in fila, le
porte della seconda resteranno abbastanza fuori dall'area della
fermata, e quindi distanti per il viaggiatore in attesa. I casi
possibili sono due.
Caso 1: l'autista aspetta che la
vettura precedente riprenda la sua corsa, fa qualche metro
allineandosi con la fermata. Infine, apre le bussole.
Caso 2: apre le bussole là dove si
trova. Quindi a parecchi metri dai poveri coglioni che attendevano il
bus regolarmente ad altezza fermata. Soluzione: devi fendere una
folla di gente (ma solo a me dà fastidio sbattere addosso a degli
estranei? I palermitani sono tutti così estroversi?), se hai un
acciacco o sei anziano farti venire il fiatone e raggiungere la
vettura prima che richiuda le porte e riparta lasciandoti con un
palmo di naso e una bestemmia che frigge in gola.
Da manuale, senza distinzione di linea.
Ma qui parliamo della 103 e c'è sempre la sorpresa.
Tagliando corto... il bus avanza un po', ma la bussola di davanti (per capirci, quella in teoria destinata agli abbonati) resta chiusa. La cosa mi scoccia un po'... ma non è niente di terribile. Non c'è folla. La vettura è come sempre semivuota, salgo dalla prima bussola che trovo aperta (anche i più ligi, se stanchi, a un certo punto cedono al lato oscuro e salgono o scendono da dove capita) e mi seggo proprio nei pressi della porta rimasta chiusa, alle spalle dell'autista, mentre rifletto che forse la bussola è semplicemente guasta. Non sarebbe neppure la prima volta che succede.
Tagliando corto... il bus avanza un po', ma la bussola di davanti (per capirci, quella in teoria destinata agli abbonati) resta chiusa. La cosa mi scoccia un po'... ma non è niente di terribile. Non c'è folla. La vettura è come sempre semivuota, salgo dalla prima bussola che trovo aperta (anche i più ligi, se stanchi, a un certo punto cedono al lato oscuro e salgono o scendono da dove capita) e mi seggo proprio nei pressi della porta rimasta chiusa, alle spalle dell'autista, mentre rifletto che forse la bussola è semplicemente guasta. Non sarebbe neppure la prima volta che succede.
Vedo, nel frattempo, la donna alla
guida della vettura. Un'autista che ho già visto nei giorni passati.
A Palermo non ci sono ancora moltissime donne a condurre i mezzi
pubblici, e la cosa si fa notare. Quello che noto di più, però, è
la presenza del sidekick. Ma sì, della spalla. Insomma... ne ha una
pure la signora. I colleghi maschi (gli auriga della 103) hanno
sempre una piccola folla di amici che chiacchiera senza sosta né
ritegno, neppure l'abitacolo dell'autista fosse una ricevitoria di
scommesse. Ho perso il conto di quante volte li ho menzionati in
questo diario di un viaggiatore urbano per caso... Beh, la signora
alla guida detiene un corrispettivo femminile dell'articolo in esame,
un'amica. Una donna tra i trenta e i quaranta, seduta di lato al
cruscotto, proprio dentro l'abitacolo dove di norma si chiude il
conducente. Questo, in effetti, è una cosa che vedo per la prima
volta... ma tant'è. Sono così abituato a sentire sproloqui da
stadio, tempeste di razzismo e urla da trogloditi che una signora
comodamente seduta di fianco all'autista mi lascia del tutto
indifferente.
Non ci sto a pensare più di tanto e
cerco di “godermi il viaggio”.
Passano pochi minuti. Giusto un paio di
fermate (durante le quali la bussola davanti non si apre neppure una
volta). Poi... inizia la festa.
«Tu non apri porta davanti! Tu così
lavori? Tu dove credi essere? Tuo salotto? Perché non apri porta
davanti?»
La voce, con pesante accento straniero arriva dal fondo della vettura (che cavolo gli frega della bussola davanti, quindi?). Scelgo di non voltarmi, ma ho già capito che il teatrino ha appena alzato il sipario. Dovrei organizzarmi meglio e portare del popcorn.
La voce, con pesante accento straniero arriva dal fondo della vettura (che cavolo gli frega della bussola davanti, quindi?). Scelgo di non voltarmi, ma ho già capito che il teatrino ha appena alzato il sipario. Dovrei organizzarmi meglio e portare del popcorn.
«La bussola è guasta,» risponde la signora alla guida del bus. «Non è colpa mia. Non si apre.»
La voce alle mie spalle continua a sbraitare, ignorando quanto gli è stato appena detto.
«Tu credi essere in tuo salotto?! Tu
lavora male! Tu NON APRI PORTA!»
«Le ho detto che la bussola è guasta. Vede?»
Fa l'atto di spingere il pulsante che dovrebbe aprire le porte davanti.
«E'... GUASTA. Non dipende da me.»
Niente da fare. L'invettiva non si ferma.
«Le ho detto che la bussola è guasta. Vede?»
Fa l'atto di spingere il pulsante che dovrebbe aprire le porte davanti.
«E'... GUASTA. Non dipende da me.»
Niente da fare. L'invettiva non si ferma.
E il bus non riparte.
«Tu lavora male... tu non sai
guidare... tu non apri porta!»
«Deve scendere o no? Io devo ripartire. Siamo fermi già da un minuto.»
«Deve scendere o no? Io devo ripartire. Siamo fermi già da un minuto.»
L'autista comincia a perdere la
pazienza mentre la nenia «Tu non lavori bene... tu non apri...»
continua in loop. Io resisto e non mi volto. Ma la scena mi è
descritta dalla stessa autista che a un certo punto contrattacca.
«E poi... dovrebbe scendere dal
centro, non dalla bussola in fondo!»
«Tu lavora male... tu non in tuo salotto!»
«Il biglietto lo HA FATTO?»
«Tu lavora male... tu non in tuo salotto!»
«Il biglietto lo HA FATTO?»
La signora sta inziando a bollire.
Nonostante tutto continua a dare educatamente del lei
all'interlocutore.
«Tu parli con tua amica... tu non
lavori... VA' A LAVARE PIATTI CHE E' MEGLIO!»
«Senti... VAFFANCULO!»
A rispondere in modo colorito è stata
la sidekick, la passeggera... l'amica insomma. La donna seduta
accanto all'autista ha perso i freni inibitori. Ha detto la sua.
Nell'unico modo a quel punto possibile. Del resto, secondo
l'intelocutore... era meglio se lavavano i
piatti.
Il tizio comunque scende. Dal
finestrino vedo un uomo di mezza età, dalla pelle chiara, con
berretto di lana e sciarpa che gli seminasconde la faccia. Non riesco
a capire a quale etnia appartenga. Non che abbia importanza. Anche
dalla strada continua a lanciare improperi all'autista. Finalmente...
dopo alcuni minuti persi inutilmente e un vaffanculo, la vettura
riparte.
L'intervallo dura molto poco. Lo
spettacolo riprende quasi subito.
Un signore anziano, circa ottant'anni, cappotto scuro, cappello di feltro, ombrello... anche lui un passeggero abituale della linea, si avvicina alla postazione del conducente. Apostrofa l'autista in modo grave.
«Ma lei è così che lavora? Pensa davvero di essere nel salotto di casa sua?»
«Qual è il suo problema, scusi? Ha rilevato qualche disservizio?»
«L'altra signora non dovrebbe sedere qui. Non dovrebbe neppure esserci. E' una vergogna! E' contro ogni regola.»
Ok... qui avrebbe pure ragione...
«Ci sono stati incidenti, signore? Ha
bisogno di qualcosa? Deve scendere alla prossima fermata?»
«No. Non devo scendere. Sono venuto a reclamare. Lei si comporta davvero come se fosse nel suo salotto. E lei...» ora si rivolge alla sidekick, «... dovrebbe subito togliersi da lì.»
In effetti... se le circostanze e i modi non fossero così allucinanti...
«No. Non devo scendere. Sono venuto a reclamare. Lei si comporta davvero come se fosse nel suo salotto. E lei...» ora si rivolge alla sidekick, «... dovrebbe subito togliersi da lì.»
In effetti... se le circostanze e i modi non fossero così allucinanti...
«Io resto dove mi pare! Chiaro?»
Minchia! I palermitani sono
palermitani. Uomini o donne... il marchio di fabbrica si vede.
«Lei lavora veramente male! E poi ha
insultato quel signore extracomunitario... che la criticava
GIUSTAMENTE!»
«Guardi, la bussola davanti è guasta.
Lei ha sentito solo una parte del discorso.»
«Ho sentito quanto bastava. E lei... lei... che si è permessa di urlargli quella parolaccia... una cosa inascoltabile... IN BOCCA A UNA DONNA!»
«Ho sentito quanto bastava. E lei... lei... che si è permessa di urlargli quella parolaccia... una cosa inascoltabile... IN BOCCA A UNA DONNA!»
Forse soddisfatto della chiusa
teatrale, il signore anziano torna a sedersi. La sidekick, per
evitare altri commenti, decide di alzarsi ed esce dal recinto. Dalle
mie spalle sento arrivare un'altra voce, maschile. Non capisco tutta
la frase, solo la parola “fimmini”. L'autista è esasperata. La sento mormorare all'amica che una volta giunta al capolinea, chiederà di terminare il turno in quanto la vettura è guasta (sempre la bussola).
Ormai siamo quasi al capolinea quando
si verifica un altro classico della linea 103.
La voce, stavolta è femminile.
«Autista! La fermata! L'ho richiesta!
Non fa la fermata?!»
Ecco... La sindrome della 103. Alla
fine la signora si è omologata. Se tutti i colleghi maschi,
conversando di calcio, di immigrazione, di quando c'era lui e di
femmine che oggi pretendono di comandare, saltano le fermate
prenotate... perché dovremmo aspettarci che una donna sia più
attenta mentre conversa con un'amica? Forse perché è solo una,
mentre di solito gli uomini si portano dietro un intera osteria
schiamazzante? Perché lo hai fatto? Perché hai dovuto scivolare
proprio adesso su una buccia di banana che potevi così facilmente
aggirare? Perché dargli RAGIONE, CAZZO?!
Scendo dal bus con una sensazione di
smarrimento e pieno di domande. Mai avevo visto tanto sdegno, tanto
accanimento contro un autista uomo e la sua personale corte di
compari. Raramente vedo palermitani ed extracomunitari solidarizzare
in modo così passionale. Quale magia è scaturita stavolta dalla
meravigliosa linea 103? Quale elemento chimico (di norma assente) ha
fatto sì che si manifestasse tanto rispetto per le regole, tanto
sdegno perché venivano infrante, e un'inedita solidarietà tra un
anziano cittadino e uno straniero, categoria spesso ignorata se non
disprezzata?
Il sessimo?
Una generica solidarietà tra maschi?
Già, al volante oggi c'era una donna.
E certe parole... “in bocca a una donna” non suonano bene,
soprattutto se ti ci manda quando le dici che il suo posto è ai
fornelli.
Doveva fare i piatti. E doveva tacere.
Magari stava... stavano...
sbagliando.
Ma anche la chimica sbaglia.
E il degrado tracima.
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