Palermo, 9 Luglio 2014. Mission...
Impossible? Forse, ma anche quest'anno il rituale di Cittacotte,
la botteguccia di mastro Vincenzo Vizzari, sul Cassaro di Palermo è
stato rispettato. Una nuova vetrina inaugura in anticipo la festa
patronale ormai alle porte. Ogni anno una versione diversa,
trasgressiva, allegorica e urbana di Santa Rosalia, protrettrice
della città e simbolo più volte rivisitato. Soprattutto negli
ultimi anni, periodo in cui mastro Vizzari ha davvero rotto ogni
indugio nel reinterpretare la figura della santuzza in chiave
metaforica, adottando spesso uno stile postmoderno, tra il mitologico
e le trasfigurazioni care ai surrealisti.
Ore 21: sulle note del Dies irae
dal Requiem di Giuseppe Verdi si alza il sipario. Stavolta ci
troviamo di fronte a una Rosalia sofferente, le cui forme sono
collassate rendendola una figura schiacciata, morfologicamente
ambigua, ibrida tra i segni distintivi della santuzza e la trinacria
che da sempre identifica la Sicilia. Una trinacria impegnata nello
sforzo del titano Atlante, a reggere una Palermo a sua volta crollata
sul proprio asse, fatta pezzi e frullata in una frastagliata colonna
di bellezze e di orrori. Le sagome riconoscibili di una città antica
e nobile, l'imperante spazzatura e il delirio di automobili e
segnaletica ormai disposta senza più alcun senso pratico. Un
groviglio di sogni e incubi, meraviglia ripiegata su se stessa da cui
numerose mani si protendono all'esterno come quelle di prigionieri
che implorano la libertà, intrappolati in una torre di Babele dove
antico e moderno si intrecciano sotto un cielo furente, simbolo di
sdegno per l'indifferenza umana. Rosalia resiste come il leggendario Cola Pesce, una forza disperata che si oppone al gorgo che trascina giù la sua città, nell'abisso del degrado e dell'annichilimento.
Rosalia, stavolta più che in passato,
è una maschera tragica, che recupera suggestioni da teatro greco. Il
suo volto incoronato di fiori è distorto da un grido muto che
rammenta l'Urlo di Munch, ma l'espressione dolente sottolinea
anche lo sforzo e la volontà irriducibile di una città che si
rifiuta di arrendersi e crollare definitivamente.
L'opera di Vizzari matura di anno in
anno, introducendo elementi sempre nuovi e sorprendenti che
Mission,
questo il titolo della vetrina per il Festino 2014, è parola di
ispirazione cinematografica e rimanda a temi religiosi, ma il
concetto espresso dall'opera in questione è più vicino a una
tradizione pagana e panica, dove il tutto (la città con il suo
patrimonio e chi vi abita) va salvata... dalla città stessa,
rappresentata da Rosalia. Una missione (impossibile?) che
rappresenta una chiamata alle armi della cittadinanza, per il
recupero di spazi e valori collettivi, là dove la fuga (le mani
protese all'esterno) può essere un'alternativa allettante per molti.
trasformano la tradizione in laboratorio sperimentale.
trasformano la tradizione in laboratorio sperimentale.
L'arte di Vincenzo Vizzari continua a
essere un appuntamento cittadino sempre partecipato e affascinante, e
per questo andrebbe in qualche modo istituzionalizzato e portato
all'attenzione dei media. Un peccato che la sua esistenza sia
lasciata palpitare ancora in modo sotterraneo. Ma questo fa parte dei
tanti nodi intrecciati nell'enorme fardello, fatto di contraddizioni,
pene e gioie, sorretto con tanta fatica da Santa Rosalia. Ed è la
missione dei palermitani tutti. Scoprire (o riscoprire) quanto di
prezioso possediamo e non sappiamo (o abbiamo dimenticato) di avere.
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