Abattoir...
Mattatoio...
...luogo dove si macella
il bestiame destinato a riempire le pance dei contribuenti. Un posto
dove si fa... carnazza, se preferiamo. In senso metaforico,
possiamo usare il termine anche per riferirci al teatro di un
efferato fatto di sangue, un macello, insomma.
In un abattoir...
un mattatoio (il numero 5 per l'esattezza) si trovava anche lo
scrittore Kurt Vonnegut nel 1945, a Dresda in Germania, dove il
bombardamento delle forze alleate fece strage di civili e prigionieri
di guerra. Qualcuno, come Vonnegut, si salvò, guarda casa perché
stipato proprio in un mattatoio, adibito per l'occasione a campo di
concentramento.
Il mattatoio, dunque, può
essere anche un rifugio? Chissà!
E se il mattatoio è
francese? Se è un abattoir?
Per noi italioti, il
francesismo è un altro termine discretamente ambiguo.
Prestito linguistico, eufemismo per definire il turpiloquio... o
evocazione immaginifica di qualcosa di raffinato e godereccio. Vi
ricordate del “presidenzialismo alla francese”? Faceva
sembrare tutto più esotico, aristocratico, quasi aggraziato. Chissà
cosa ne pensa un vitello quando sta per ricevere il colpo mortale.
Abattoir!
Kilgore
Trout, l'immaginario autore evocato dalla penna di Vonnegut in
Mattatoio n. 5, vivacchiava col guadagno di bizzarri racconti
di fantascienza pubblicati occasionalmente su riviste pornografiche.
Racconti deliranti, surreali, grotteschi, a loro modo gelidamente
geniali.
L'Abattoir
palermitano, il mattatoio culturale che schizza sangue vivo sulle
cronache, sui sogni e sui peccati di un'Italia che non aspetta altro
che il colpo di grazia, macella idee per insaccare satira piccante.
Scanna ambizioni per servire in tavola sberleffi a un paese
sordocieco, mentre sul fuoco lascia pippiare a lungo un ragù
di proposte e di alternative.
Chiunque
può entrare in questo mattatoio e fare la propria carnazza.
Tagliare, tritare e abbanniare le proprie bistecche condite a
fantasia. Il mattatoio echeggia di voci, urla, fracasso e musica. Le
sue pareti grondano sangue e umori, le frattaglie fumanti raccontano
storie che non immagineremmo. Non così. Non con una visione così
sanguigna, veritiera.
E
anche questo è Abattoir.
Diari
di Border è un gancio da macellaio che vi bucherà il cuore. Vi
farà scoppiare i polmoni, vi trascinerà lontano dalla vostra strada
consueta, lasciando dietro di voi una lunga striscia rossa. Vi caverà
un occhio e vi imporrà di guardarvi intorno attraverso un velo
scarlatto, di osservare... il macello. Dovrete chiedervi se vi
sentite ancora a casa. Se le persone che incontrate per la strada,
che frequentate e forse amate sono ancora come voi, o se forse
indossano una maschera. Alieni conquistatori sotto mentite spoglie,
ultracorpi omologati, vampiri che hanno cambiato faccia. Dovrete
chiedervi se la maschera, invece, non la indossate voi, e se nel
vostro petto batte ancora qualcosa di vagamente umano. Charles
Bukowski diceva che se non si ha più un'anima, e se ne è
consapevoli, è segno che uno zinzino d'anima ancora lo si possiede.
Sconcertante paradosso. Ma quel gancio, se vi prende, non vi molla
più. Vi porta dritti al macello, per aprirvi in due, per permettere
al sangue di liberarsi, di scorrere, di cantare.
Le
orecchie vi si riempiranno di voci. Voci dal macello, voci del
sangue. Voci differenti per intonazione e colore. Vi parleranno di
vite quotidiane inceppate, di identità spezzate, e grideranno per
rabbia o per amore. Potrete sentirle ridere, fischiare, borbottare.
Voci dall'aldilà, voci da un passato che vuol restare presente. Il
macello è totale. Un crogiolo di ossa, cartilagini, interiora,
mollame. Gran bollito di emozioni e verità relative alla ricerca di
una risposta che possa almeno sembrare definitiva.
Abattoir
è questo. E questo è il suo Diari di Border. Un diario di
confine. Indeterminato, e proprio per questo non misurabile. Una
collezione di racconti (ma è corretto definirli così?) sorti da
atti creativi spontanei. Monologhi nati da naturali accoppiamenti con
il proprio io, e da selvagge copule con le mille ombre e le tante
luci della nostra terra, splendida e malata. Dialoghi rubati alla
vita, e infilzati sullo spiedo della critica e del sarcasmo.
Arrostiti sul fuoco della collera, e a volte incartati in un foglio
di untuosa compassione. Un parto di gruppo, cruento come solo quello
di un mattatoio potrebbe essere. Sanguinoso e dolce come l'atto di
mettere al mondo un figlio, che domani vagherà là fuori, per altri
macelli, non sempre benevoli come quello che lo ha concepito.
Questo
è il diario di un macello. Mattatoio di sogni e speranze. Apritelo a
vostro rischio, sul filo di una mannaia che squarcia il sipario e ci
urla che tutti quanti, dentro, siamo rossi, umidi e tutt'altro che
profumati.
Bon
appétit'.
[Autoproduzione]
Nessun commento:
Posta un commento