domenica 8 giugno 2014

Abattoir - Diari di Border


Abattoir...
Mattatoio...

...luogo dove si macella il bestiame destinato a riempire le pance dei contribuenti. Un posto dove si fa... carnazza, se preferiamo. In senso metaforico, possiamo usare il termine anche per riferirci al teatro di un efferato fatto di sangue, un macello, insomma.
In un abattoir... un mattatoio (il numero 5 per l'esattezza) si trovava anche lo scrittore Kurt Vonnegut nel 1945, a Dresda in Germania, dove il bombardamento delle forze alleate fece strage di civili e prigionieri di guerra. Qualcuno, come Vonnegut, si salvò, guarda casa perché stipato proprio in un mattatoio, adibito per l'occasione a campo di concentramento.

Il mattatoio, dunque, può essere anche un rifugio? Chissà!


E se il mattatoio è francese? Se è un abattoir?

Per noi italioti, il francesismo è un altro termine discretamente ambiguo. Prestito linguistico, eufemismo per definire il turpiloquio... o evocazione immaginifica di qualcosa di raffinato e godereccio. Vi ricordate del “presidenzialismo alla francese”? Faceva sembrare tutto più esotico, aristocratico, quasi aggraziato. Chissà cosa ne pensa un vitello quando sta per ricevere il colpo mortale. Abattoir!

Kilgore Trout, l'immaginario autore evocato dalla penna di Vonnegut in Mattatoio n. 5, vivacchiava col guadagno di bizzarri racconti di fantascienza pubblicati occasionalmente su riviste pornografiche. Racconti deliranti, surreali, grotteschi, a loro modo gelidamente geniali. 

L'Abattoir palermitano, il mattatoio culturale che schizza sangue vivo sulle cronache, sui sogni e sui peccati di un'Italia che non aspetta altro che il colpo di grazia, macella idee per insaccare satira piccante. Scanna ambizioni per servire in tavola sberleffi a un paese sordocieco, mentre sul fuoco lascia pippiare a lungo un ragù di proposte e di alternative.

Chiunque può entrare in questo mattatoio e fare la propria carnazza. Tagliare, tritare e abbanniare le proprie bistecche condite a fantasia. Il mattatoio echeggia di voci, urla, fracasso e musica. Le sue pareti grondano sangue e umori, le frattaglie fumanti raccontano storie che non immagineremmo. Non così. Non con una visione così sanguigna, veritiera.

E anche questo è Abattoir.

Diari di Border è un gancio da macellaio che vi bucherà il cuore. Vi farà scoppiare i polmoni, vi trascinerà lontano dalla vostra strada consueta, lasciando dietro di voi una lunga striscia rossa. Vi caverà un occhio e vi imporrà di guardarvi intorno attraverso un velo scarlatto, di osservare... il macello. Dovrete chiedervi se vi sentite ancora a casa. Se le persone che incontrate per la strada, che frequentate e forse amate sono ancora come voi, o se forse indossano una maschera. Alieni conquistatori sotto mentite spoglie, ultracorpi omologati, vampiri che hanno cambiato faccia. Dovrete chiedervi se la maschera, invece, non la indossate voi, e se nel vostro petto batte ancora qualcosa di vagamente umano. Charles Bukowski diceva che se non si ha più un'anima, e se ne è consapevoli, è segno che uno zinzino d'anima ancora lo si possiede. Sconcertante paradosso. Ma quel gancio, se vi prende, non vi molla più. Vi porta dritti al macello, per aprirvi in due, per permettere al sangue di liberarsi, di scorrere, di cantare.

Le orecchie vi si riempiranno di voci. Voci dal macello, voci del sangue. Voci differenti per intonazione e colore. Vi parleranno di vite quotidiane inceppate, di identità spezzate, e grideranno per rabbia o per amore. Potrete sentirle ridere, fischiare, borbottare. Voci dall'aldilà, voci da un passato che vuol restare presente. Il macello è totale. Un crogiolo di ossa, cartilagini, interiora, mollame. Gran bollito di emozioni e verità relative alla ricerca di una risposta che possa almeno sembrare definitiva.

Abattoir è questo. E questo è il suo Diari di Border. Un diario di confine. Indeterminato, e proprio per questo non misurabile. Una collezione di racconti (ma è corretto definirli così?) sorti da atti creativi spontanei. Monologhi nati da naturali accoppiamenti con il proprio io, e da selvagge copule con le mille ombre e le tante luci della nostra terra, splendida e malata. Dialoghi rubati alla vita, e infilzati sullo spiedo della critica e del sarcasmo. Arrostiti sul fuoco della collera, e a volte incartati in un foglio di untuosa compassione. Un parto di gruppo, cruento come solo quello di un mattatoio potrebbe essere. Sanguinoso e dolce come l'atto di mettere al mondo un figlio, che domani vagherà là fuori, per altri macelli, non sempre benevoli come quello che lo ha concepito.

Questo è il diario di un macello. Mattatoio di sogni e speranze. Apritelo a vostro rischio, sul filo di una mannaia che squarcia il sipario e ci urla che tutti quanti, dentro, siamo rossi, umidi e tutt'altro che profumati.

Bon appétit'.



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