Martyrs, horror del francese Pascal Laugier, esce in Italia con un anno e mezzo di ritardo. Un tempo sufficiente alla blogosfera per creare un vero caso cinematografico e sdoganare alla fine questa discussa pellicola anche nel nostro paese, conferendole un’aura di morbosa leggenda. Per questo, Martyrs approda nelle sale italiane quando sul film di Laugier è già stato scritto di tutto. Difficile, quindi, superate le necessarie informazioni di servizio, riuscire a esporre una chiave di lettura che non risulti ormai scontata. E questo al di là del plauso trasversale che questo durissimo horror di oltr'Alpe continua a riscuotere. Presentato al Festival del Film di Roma 2008, Martyrs merita davvero la sua fama, perché — a sorpresa — è un film completamente diverso da quel che ci si potrebbe aspettare. Sebbene la promozione internazionale abbia cavalcato l’onda del filone che oggi conosciamo come torture porn, riducendo Martyrs alla stregua di prodotti omologati quali i vari Hostel e Saw, questa sconvolgente pellicola francese è in realtà un horror metafisico, dove la carne squarciata spalanca la porta su un abisso ultraterreno invisibile, e proprio per questo tanto più terrificante. L’agghiacciante presenza spettrale che domina la prima parte del racconto si fa tangibile nella seconda, ma in modo insinuante, sottilmente simbolico. Nasconde il viso alla maniera dei fantasmi orientali, ma dimostra la carnalità selvaggia di un vampiro o un licantropo. Si resta sconcertati nel pensare che gli spettri, oltre che case, manieri e manicomi fatiscenti, possano albergare nella mente e nella carne di un essere umano che ha vissuto un’esperienza particolarmente atroce. E non si parla di possessione, ma di ossessione. Di una persecuzione fisica, costante, implacabile, dettata dalla vendetta.
E' ormai ampiamente dimostrato. La Francia, negli ultimi anni, ha molto da dire quando si tratta di cinema dell'orrore. Lontana dalle patinature statunitensi, ha presentato ultimamente pellicole realmente originali e disturbanti. Pochi generi cinematografici risultano ripetitivi come l'horror, prodigo di titoli seriali sfornati con la logica di una fotocopiatrice. Tuttavia il racconto di spavento si è dimostrato a volte veicolo di parabole sovversive e di interessanti esperimenti di regia. Tra tutti valga l'esempio de La notte dei morti viventi di George Romero. Classico caso di horror politico, vera pietra miliare nella filmografia di genere. Cambiando il contesto e mischiando le carte, anche Martyrs si colloca dalle parti dell'horror metaforico, con una storia che insinua una pesante critica alla presunzione borghese e a certo misticismo. Le affinità di Martyrs con il genere torture movie, cui in apparenza si ascrive, sono in realtà molto labili. E' vero, si parla di sevizie, si versano litri di sangue e la violenza rappresentata arriva in certi momenti a livelli intollerabili. Ma non è ciò che si vede sullo schermo a far correre i brividi lungo la schiena, non la violenza estrema magistralmente filmata. L'orrore, quello vero, scaturisce dal profondo. Dalle motivazioni pretenziose e inconcepibili che non hanno niente a che vedere con le pulsioni sadiche dei soliti maniaci pervertiti cui siamo stati abituati dal cinema statunitense.
Il film si apre con una bambina mezza nuda, coperta di sangue che fugge urlando da un luogo buio e sporco. Sappiamo solo che si chiama Lucie, e che ha subito violenze delle quali non riesce nemmeno a parlare. Nell'orfanotrofio che la accoglie fa amicizia con un'altra bambina, Anna, che presto si lega a lei con un sentimento che va oltre l'amicizia. Ma c'è qualcun altro nella vita di Lucie. Qualcuno (qualcosa?) che l'ha seguita nella sua fuga. Qualcuno che può vedere lei soltanto e ne condiziona tenacemente le scelte. Dopo quindici anni, Lucie ormai cresciuta ritiene di riconoscere in una normalissima famiglia della borghesia francese i propri aguzzini e ne fa strage, senza che Anna, che le è rimasta vicina per tutto questo tempo, possa far nulla per impedirlo. E' solo l'inizio di un incubo che sembra arrivare al traguardo ogni quarto d'ora per poi spiazzare lo spettatore e cambiare registro, addentrandosi sempre più in un tunnel di terrore malsano e pregno di sottotesti nichilisti. Il racconto è condotto con una tensione che non allenta mai la presa. Il soprannaturale fa irruzione nella storia in modo agghiacciante, e annuncia che il peggio deve ancora arrivare.Come molte blasonate pellicole del passato, l'arrivo di Martyrs è stato preceduto da una serie di voci pubblicitarie dal gusto stantio. Si parla di svenimenti in sala, spettatori che hanno abbandonato il cinema non sopportando la visione e così via. E' molto probabile che di vero non ci sia nulla, ma è certo che la visione di Martyrs è un'esperienza dura da metabolizzare. Il pessimismo di base, l'assenza di catarsi e la totale disillusione, ne fanno un'opera nerissima e sconcertante a prescindere dalle efferatezze sanguinanti che lo permeano dall'inizio alla fine. La sofferenza di cui i martiri sono testimoni (testimone, questo l'etimo della parola martire) non conduce da nessuna parte. Sembra di cogliere tra le righe un atto d'accusa contro una società ipocrita e falsamente religiosa, che fa del dolore degli altri una filosofia assoluta che dovrebbe condurre alla verità per eccellenza. Ma quando questa verità è svelata, l'orrore del suo vuoto, della sua insensatezza travolge e abbatte anche l'istituzione che ha preteso di venerarla attraverso la sofferenza degli ultimi.
Pascal Laugier ha dedicato il film a Dario Argento, visibilmente celebrato in alcune sequenze di forte impatto visivo. Ma ha detto bene chi nel lavoro di Laugier, più che Argento, ha riconosciuto il mondo malato di Clive Barker, l’autore di Cabal e dei Libri di Sangue, noto per la sua poetica del dolore e la sua ferocia iconoclasta. Rumors non ancora accreditati tendono a confermano questa lettura, dicendo che Pascal Laugier sia già stato contattato da Hollywood per realizzare il remake di Hellraiser, film dello stesso Barker, tratto dal suo romanzo Schiavi dell’Inferno. I punti di contatto tra Martyrs e Hellraiser non sarebbero neanche pochi. Primo tra tutti l’alchimia del dolore usata come chiave per aprire un cancello oltre il quale non si dovrebbe guardare. Una porta che può liberare orrori che se ti sfioreranno una volta non ti lasceranno più andare. Il film francese rinuncia a una coreografia smaccatamente fantastica (niente cubo magico, dunque) a favore di una narrazione in cui gli elementi metafisici si manifestano ambiguamente, quasi in sordina. Fino a un finale tutto sommato minimalista nella sua apoteosi grandguignolesca, e che colpisce lo stomaco con più forza di quanto non ferisca gli occhi. Se i cenobiti di Hellraiser potevano fare sorridere qualcuno, in Martyrs non c’è l’ombra di ironia. Tutto è disperatamente cupo. Il tono e il ritmo del racconto muta più volte lasciando lo spettatore senza punti di riferimento. Spesso, durante la visione, ci si chiede che cosa stia veramente succedendo. E il meccanismo della suspance ci adesca, conducendoci dove non avremmo mai voluto spingerci. Se il finale de La notte dei morti viventi lasciava con una sensazione di impotenza e malessere, Martyrs fa sentire totalmente svuotati.
Il film di Laugier non sarà un capolavoro, ma sicuramente è un film che si eleva molto al di sopra degli standard attuali travalicando il genere. Sul versante delle interpretazioni, si può affermare che Mylène Jampanoï è bella e brava, e se giocherà bene le sue carte diventerà una grande attrice. Morjana Alaoui non è da meno, e tratteggia con naturalezza un personaggio che attraversa numerose fasi per tutta la durata del film. Per gli appassionati di cinema dell'orrore, Martyrs è un film che va visto, ma con la consapevolezza di trovarsi lontani anni luce dall'insulsaggine di un qualunque Captivity. L'orrore qui scorre sottopelle, avvampa nelle viscere e non dà tregua neppure a film concluso. Per appassionati, allora, consci di cosa stanno per affrontare. Tutti gli altri si astengano. O vedano Martyrs a proprio rischio. Perché questo horror turba sul serio. E lascia una cicatrice sull'anima.
Questa recensione è stata pubblicata anche su Fantasymagazine.
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