Arrivo
buon ultimo, ma su questa pessima storia, che in pochi giorni ha
suscitato un vasto movimento di opinione in rete, due parole vorrei
dirle anch’io. Mi riferisco alla vicenda dell’insegnante di una scuola media di Palermo
che, davanti all’ennesimo episodio di bullismo da parte di un suo
alunno, anziché trincerarsi nella consueta, colpevole indifferenza, lo
ha punito obbligandolo a scrivere cento volte sul quaderno la frase “Sono un deficiente”. Il bulletto (pare recidivo) aveva impedito a un compagno l’ingresso al bagno dei maschi dicendogli: “Tu sei un gay, qui non entri. Vai nel bagno delle femmine”.
La
reazione del padre del bullo è stata immediata. L’insegnante è stata
denunciata ai carabinieri, insultata dal genitore inviperito (“Mio figlio sarà deficiente, ma lei è una cogliona!”),
e sottoposta a un processo con rito abbreviato in cui il pubblico
ministero ha chiesto per lei due mesi di detenzione con pena sospesa. La
famiglia del dodicenne punito ha peraltro chiesto un risarcimento dei
danni, in quanto il ragazzo, traumatizzato dalla punizione, dovrà
ricorrere all’aiuto di uno psicologo.
Sorvolando sui particolari grotteschi (il bulletto ha scritto cento volte “deficente” senza la “i”),
la cosa che mi allarma di più è il silenzio (sembra totale) della
famiglia della vera vittima di questo brutto episodio. Stiamo seguendo
una vicenda giudiziaria che sicuramente farà discutere e che con molta
probabilità non si concluderà con la sentenza. Ma se il piccolo bullo,
punito da un’insegnante con trent’anni di esperienza sulle spalle, avrà
bisogno di sostegno psicologico a causa di un comportamente indegno, che
cosa ne sarà del compagno perseguitato? Chi si preoccupa del suo
trauma, e di tutta la sofferenza che questa storia, portata avanti da
una giustizia che si sta dimostrando poco accorta, sta ulteriormente
aggravando?
Pare evidente, che le famiglie dei bambini vittime di
bullismo facciano tutt’oggi una grande fatica ad alzare la testa. Quasi
fosse motivo di vergogna avere un figlio che viene messo in mezzo da
compagni prepotenti. Intanto, su Internet, cresce la solidarietà per
l'insegnante e lo scandalo per la condotta, tutt'altro che educativa,
della famiglia del bullo. Non è importante, a mio parere, soffermarsi
sulla modalità della punizione. Interrogarsi sulla forma del sistema
correttivo potrà essere lecito, ma in questo momento è anche
assolutamente intempestivo. I fatti contingenti sottolineano la
potenziale impunità di chi commette atti di bullismo, con un conseguente
messaggio che definire diseducativo sarebbe poco. L’insegnante avrebbe
potuto far scrivere al bullo “Sono un DELINQUENTE”, più che un “deficiente”.
Ma è probabile che sentirsi etichettare come un criminale avrebbe
indotto orgoglio e non vergogna nel piccolo bullo. La questione, in
realtà, è di quelle di lana caprina. Infatti, se invece che a scrivere
cento volte una frase penitente, il bambino fosse stato costretto a
chiedere scusa al compagno davanti a tutta la classe, dubito molto che,
per l’insegnante, le conseguenze sarebbero state diverse. Il bulletto
avrebbe vissuto il tutto come un’umiliazione, e anche in questo caso
l’avrebbe raccontata tra le lacrime al padre. Anche lui piccolo e
umiliato come una "femminuccia"
alla mercé di un potere più grande che, anziché impedirgli di usare il
bagno dei maschi, ha pensato di fargli assaggiare una medicina simile a
quella che aveva con tanta leggerezza somministrato a un coetaneo. A
questo sarebbe seguita comunque la denuncia dei genitori, giacché il
figlio (protetto da un contesto familiare che evidentemente non si
preoccupa troppo di incoraggiarlo a perseverare in comportamenti
deprecabili) avrebbe comunque subito un trauma.
Delle umiliazioni
subite nel tempo dal ragazzo perseguitato, invece, nessuna autorità
(così solerte a raccogliere la denuncia) sembra si stia preoccupando. E
(spero vivamente di essere smentito in un futuro prossimo) nemmeno la
sua famiglia, sepolta nel silenzio. Ricordo con molto fastidio uno degli
slogan più insensati del trascorso Family Day.
Quello che ricordava che “all’origine di tutte le cose ci sono sempre
un uomo e una donna”. Raramente frase fu più infelice. Perché non si
contano le cose negative e malate all’origine delle quali ci sono stati,
prima di tutto, dei genitori irresponsabili. Esattamente come in questo
amarissimo caso, in cui un malinteso senso di protezione sta
prevalendo, con l'aiuto di una giustizia miope, sulla necessità di
educare.
Spero solo che, se il piccolo bullo verrà davvero
affidato alle cure di uno psicologo, che questo professionista si
dimostri più illuminato di quanti ritengono, a torto, di doverlo
esonerare da quello spinoso cammino che è l'educazione.
Nessun commento:
Posta un commento