mercoledì 15 febbraio 2006

L'importanza di essere... Nerd!

Lo scrittore francese Louis Ferdinand Céline, autore di “Viaggio al termine della notte”, affermava nei suoi libri carichi di nichilismo che “la gioventù è STRONZA ASSOLUTA”.
Quello che voleva dire è che, a fianco della trasversale stronzaggine propria dell’intero genere umano, ne esiste una fisiologica di una determinata età, legata all’adolescenza e alla prima giovinezza. Una forma di stronzaggine coerente e sociologicamente inevitabile, che è attraversata più o meno da tutti prima di entrare nella corruzione più complessa e contraddittoria dell’età adulta.

Céline nutriva una profonda disistima per il genere umano. Medico e grande scrittore, genio letterario non esente da zone d’ombra (come la discussa componente antisemita) e cantore del disfacimento di un’umanità materialista, si riferiva al suo prossimo con l’appellativo di “tubi digerenti”. Modello finito e perfetto di quell’essere umano mediocre che lui già scorgeva in germe negli atteggiamenti della gioventù del suo tempo.

E’ con orrore che oggi mi ritrovo al traguardo dei quarant’anni e mi riscopro a pensare ai paradossi del vecchio Louis Ferdinand con grande solidarietà. Francamente speravo di dover attendere qualche anno in più per sentirmi tanto alieno da chi, in questo nuovo secolo, ha un’età compresa tra i diciotto e i venticinque.

Sarò sincero, una certa insofferenza nei confronti dei pischelli l’ho sempre covata. Ma sì, anche quando condividevo la loro età anagrafica. Mi sono anche sorpreso a meditare su un prodotto mediocre e commerciale come la serie cinematografica Venerdì 13 per ricavarne una chiave di lettura sociopatologica della gioventù e del mio controverso rapporto con essa. In occasione di una rassegna televisiva, mi sono sciroppato tutte le pellicole della serie horror degli anni ottanta nonostante l’evidente, insulsa ripetitività. Perché? Perché vedere massacrare adolescenti mi dava una piccola scossa consolatoria. Diciamolo: Jason Voorhees è un giustiziere.

I primi film di questa serie horror sono stati bollati come moralisti e sessuofobici. In effetti, non mi sento di dissentire troppo da questa interpretazione. Il plot è sempre uguale. Un campeggio (quello di Cristal Lake) viene occupato da un gruppo di adolescenti. Vogliono divertirsi, sono in vacanza. Quindi pensano solo a ridere, fare l’amore, tuffarsi nel lago, farsi scherzi stupidi. In realtà, niente di così colpevole. Dopotutto sono in vacanza, avrebbero ogni diritto di godersi il week end. Ma ecco che il mostro inarrestabile e con la maschera da hockey li fa a pezzettini uno alla volta. E per ciascuno sperimenta una diversa morte, spettacolare e sanguinolenta. I ragazzi dovrebbero essere dunque delle vittime innocenti per cui provare compassione. Ma non è così che appaiono agli occhi dello spettatore. Pardon! Agli occhi di QUESTO spettatore. Ma la sceneggiatura ci mette del suo. Tutti loro ci vengono mostrati come personaggi dal carattere bidimensionale. Fatui, antipatici, superficiali. Tanto, troppo simili agli adolescenti schiamazzanti e maleducati che incontriamo sull’autobus, per strada, nei luoghi pubblici. Jason risulta quindi come un diverso, un emarginato che si vendica eliminando schiamazzo e mediocrità dalla bellezza di una natura incontaminata. Non a caso, il personaggio che alla fine di ogni film gli resiste, è sempre l’unico ad aver mostrato un pizzico di umanità in più.
Ricordo particolarmente bene una sequenza in cui un odioso ragazzotto girava ossessivamente intorno a una casupola a cavallo del suo motorazzo, rombando e strillando senza sosta. La scena va avanti per parecchi minuti in modo esasperante, prima che un machete provvidenziale faccia saltare di netto la testa del motociclista restituendo la colonna sonora a un silenzio benedetto.

Non posso farci niente. Da allora, ogni volta che m’imbatto in comitive di ragazzi bercianti e sogghignanti, nella mia mente li catalogo al volo come “elementi da Venerdì 13”.

Veniamo ora all’attuale evoluzione di questi “elementi”. E osserviamola attraverso la lente della cultura fumettistica, campo nel quale sono immerso per ragioni di lavoro fino ai capelli.

Ho già parlato della linea Ultimate lanciata negli ultimi anni dalla Marvel, del suo successo commerciale e del (a mio parere) decadimento contenutistico che a questa si accompagna.
C’è un altro fenomeno, però, che non ho potuto fare a meno di notare. Un fenomeno che nell’ambito della storia del fumetto (e dei suoi fruitori) potremmo definire come una piccola svolta epocale, in quanto ha cambiato per sempre il volto di una categoria di lettori.

Un termine inglese che negli ultimi decenni ha fatto il giro del mondo è “Nerd”.
Alla lettera, in inglese “nerd” significherebbe “scemo” o in slang “impopolare”. Ma dalle nostre parti andrebbe bene anche “secchione”. Il nerd (quello della prima ora) sarebbe in sostanza un ragazzo con una buona propensione allo studio, che magari eccelle in qualche disciplina, ma che ha grossi problemi a relazionarsi. Anzi, la sua grande passione per una materia è anche la sua croce, giacché gli fa da coperta e da tomba, escludendo ogni vero contatto umano. Da qui, la sua impopolarità tra i compagni di scuola che, nonostante i suoi buoni voti potranno definirlo un babbeo e quindi sfuggirlo per non essere appestati dalla sua natura perdente.

Secondo questo semplice riassunto, in una scuola tipo avremmo da una parte il “nerd”, cioè un povero nevrotico, e dall’altra i “normali”, cioè il fusto o la bellona, popolari sulla pista da ballo e ottima materia prima per i ghiochini del mitico Jason.

Ma questa figura sociale (il Nerd) risulta oggi quasi romantica se consideriamo le mutazioni da questa subite nel tempo sotto l’influsso del consumismo e di Internet.

Sì, Internet. Perché la rete ha permesso ai nerds di tutto il mondo di tenersi in contatto, formare comunità, uscire una volta e per tutte dall’isolamento. E trasformarsi, così, in qualcosa di molto diverso e per alcuni versi temibile.

Se la figura classica del nerd è quella del topo di biblioteca, studente modello e frana con i coetanei, oggi l’infame etichetta è applicata a chi è abitualmente un gran consumatore di letture a fumetti, conosce a menadito vita, morte e miracoli degli eroi e ne parla come se citasse il Vangelo.

Prima importante differenza: allo studio, alla passione scientifica, si è sostituito nell’accezione comune l’interesse morboso per il media fumetto a discapito della vita sociale.

Ma la cosa è ulteriormente mutata. Oggi i nerds non sono più semplici nerds. Sono COOL! Anzi, COOLNERDS! Sono (e si sentono) nerd e fighi. Sono giovani e spavaldi avventurieri del nuovo millennio, disincantati e (a loro dire) geniali. Sono i nuovi esteti della fiction e del comicdom, sono arrabbiati, sono forti, sono tanti… sono…

…insopportabili!

Aiuto, Jason!

“Nerd” era un termine negativo. Indicava la sofferenza di si barricava in un mondo fittizio (poco importa se riguardava l’ingegneria elettronica o il fumetto) per non affrontare una realtà fatta di relazioni delicate. Ma come ho accennato, è avvenuta una mutazione sociologica. La società dei consumi ha compiuto un osceno miracolo. “Nerd” non è più una parola dispregiativa, ma può essere usato per indicare una sorta di sapiente o di “arbitro delle eleganze”. I mille forum e realtà internautiche assortite hanno cementato la nascita di quello che potremmo chiamare il “Nerd Pride”, e l’avvento di nuove direzioni narrative nell’ambito del fumetto più popolare hanno aggiunto il sale alla frittata.

Prendiamo la linea Ultimate, per esempio, e il lavoro del celebrato autore inglese Mark Millar. Vediamo rinarrare dall’inizio le avventure di personaggi classici, come i Fantastici Quattro e gli X-Men. Sembra quasi un remake, una rilettura in chiave più matura delle vecchie storie. Ma a una lettura più attenta ci accorgiamo che non è affatto così. Non c’è niente di adulto nel mondo “Ultimizzato” dei supereroi. Quello che balza agli occhi, soprattutto nella serie Ultimates è che gli “eroi” si sono completamente sbarazzati del concetto di purezza. Sono vanitosi, perversi, cinici, a volte addirittura bastardi, e si muovono in un universo dove conta la sopravvivenza più che la classica lotta tra bene e male. La crisi dei valori, insomma, è diventata un modello estetico in cui riconoscersi ed esaltarsi.
Ed è triste constatare che questa sia la nuova bibbia di tanti giovani lettori.
L’apoteosi del nuovo fumetto supereroistico l’abbiamo avuta con Wanted, opera definitiva di Mark Millar, già autore di Ultimates. Millar ci racconta di un mondo dove i supercriminali hanno distrutto definitivamente gli eroi. Il male controlla il mondo e tutto ciò che conta è la mera capacità di sopraffare. In una terra imbelle, questi nuovi eroi senza principi morali, uccidono, stuprano, rubano e torturano per puro divertimento. E per la noia di un lettore ormai troppo vecchio per farsi affascinare da una trasgressione così spicciola e inconcludente. Troppo sensibile ai grandi problemi del pianeta per non rimpiangere i dubbi amletici e le umane contraddizioni del buon vecchio Uomo Ragno, ogni considerato dai Coolnerds più arrabbiati “un pipparolo senza palle” (giuro che non me lo invento).
Wanted non è neppure un fumetto sui supercriminali. E’ una versione con superpoteri de Le 120 giornate di Sodoma del marchese De Sade. Una galleria di prevaricazioni presentate come trofei del proprio essere cazzuti. E’ fuorviante anche il titolo: Wanted. Non ci sono criminali che scappano, ma che governano il mondo indisturbati. Non sono illustrate le loro ragioni, i loro punti di vista, ma solo le loro nefandezze, tutto con uno stile estremamente patinato.

L’attuale trend dei giovani lettori di fumetti si riassume con la ricetta: gioventù, spavalderia e trasgressione d’accatto. Un format in pochi anni già logoro, ma – aimé – ancora lontano dall’estinguersi . Mark Millar (apprezzabile su Authority) si è trasformato nella caricatura di se stesso come già era successo a scrittori più illustri, come Frank Miller e Garth Ennis.
Ma la trasformazione più preoccupante è quella dei nerds. Un tempo schegge impazzite, disadattati ma anche anticonformisti. Oggi consumatori omologati, sedotti dal trend, sicuri di sé e della loro estetica. Davvero un bel miglioramento.

Il buon vecchio Jason e il suo machete, oggi avrebbero a che fare con una chimera sociologica. Un ibrido inquietante tra gli svenevoli manichini affamati di sesso e divertimento degli anni ottanta e gli acritici divoratori di nuvole parlanti e pantaloni griffati. Non più assi della matematica o della lingua scritta, ma esperti adoratori della mitologia di Matrix, e della profondità estetica dei suoi due, inutili seguiti.

Benvenuti sul pianeta Terra, coolnerds. Al mondo c’è posto per tutti. Ma in un angolo del mio cuoricino, mi tengo stretto Jason Voorhees.


[Articolo di Filippo Messina]


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