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lunedì 3 giugno 2019

Swamp Thing - Episodio Pilota



Swamp Thing. Episodio pilota della serie TV prodotta dalla piattaforma streming DC universe, la terza dopo “Titans” e “Doom Patrol”. I primi due titoli, ognuno con sue caratteristiche peculiari, si possono definire esperimenti riusciti. E questo, nuovo, ambiziosissimo lancio?

Tutto inizia come un'eco vengence. I contenuti “suggested for matured” non tardano a mostrarsi. Se già “Titans” non lesinava in violenza e atmosfere sinistre, qui siamo davanti a un horror fatto e finito. Le prime sequenze ci dicono subito che... qui ci sono i mostri e c'è da aver paura. Anzi, una fifa blu. Meglio. Verde.
Un'oscurità suggestiva avvolge il mondo acquoso della palude, sciacquii, vegetazione fitta e zanzare ci circondano, ed è chiaro da prima ancora dei titoli di testa che da quelle parti c'è qualcosa che proprio non va.


In “Swamp Thing” c'è lo zampino di James Wan, qui in veste di produttore esecutivo, e la differenza dalle altre due serie DC si sente forte e chiara. Se “Titans” era un racconto supereroistico nero (più che dark) e “Doom Patrol” una sarabanda psichedelica di personaggi e situazioni folli, “Swamp Thing” si propone di restare fedele all'etichetta editoriale “Vertigo” (la linea “adulta” che ha rilanciato il personaggio a metà degli anni 80 affidandolo alla firma di Alan Moore). La fantascienza si mescola all'esoterismo, e se le promesse saranno mantenute nelle prossime puntate, dovremmo vederne delle belle. La presenza del personaggio di Avery Sunderland suggerisce subito ai vecchi lettori quale direzione lo show intende prendere, così come l'introduzione di un character inedito, interpretato dalla sempre apprezzabile Virginia Madsen, promette interessanti variazioni.
L'origin story ha il pregio di non andare di fretta, ma di seminare indizi e semi (è il caso di dirlo) per tutto ciò che seguirà. Il passato misterioso di Abby, la presenza di Matt Cable, e soprattutto Madame Xanadu, che nell'episodio pilota ha appena il tempo di sortire, ma che annuncia stranezze assortite, sono elementi che conferiscono a questa partenza un carburazione lenta ma regolare, lasciando intravedere i sentieri che si intendono percorrere.


Le modifiche (diciamolo, necessarie) alla fonte originaria del fumetto ideato da Len Wein e Bernie Wrightson scorrono senza offendere la memoria storica di nessuno, e iniziano a gettare delle basi pratiche per potersi subito innestare sul ciclo tenebroso narrato da Moore. Aggiungiamo una componente gore inattesa, una scena raccapricciante che a molti ricorderà “The Thing” di John Carpenter e un tema musicale, per una volta, orecchiabile e immediatamente riconoscibile, e abbiamo un episodio pilota che conferma le promesse del già trailer interessante.
Una bella partenza, insomma.


Certo, le danze sono appena iniziate. Quel dato avvenimento si prende (giustamente) il suo tempo a manifestarsi (il film di Wes Craven del 1982 soffriva del budget ridotto e di una narrazione fin troppo condensata), ma la miccia è accesa e non resta che aspettare l'esplosione.

Quella narrativa. Quell'altra esplosione lì...
Ma no, scopritelo da soli.

martedì 15 febbraio 2011

Swamp Thing di Mark Millar


Alec Holland si risveglia in Perù dopo aver trascorso lunghi giorni in preda alla febbre. Un esperimento in cui ha utilizzato dei rari funghi allucinogeni lo ha sprofondato in un delirio comatoso e per qualche settimana Alec ha perso ogni contatto con la realtà. Ora sta bene, ma è turbato da un sogno particolarmente vivido. Ha sognato che un incidente di laboratorio lo aveva trasformato in una creatura vegetale conosciuta come Swamp Thing, un guardiano del mondo delle piante che ha vissuto meravigliose, terribili avventure. Il sogno adesso si è concluso e Alec sta per tornare alla sua vera vita, ai suoi studi e ai suoi amici. Ma una certa ragazza con i capelli candidi esiste davvero? E chi è lo spaventoso mostro della palude che in Louisiana sta facendo strage dei cajun in una crescente furia omicida?


Dopo la conclusione dello storico ciclo di Alan Moore, che aveva ridefinito la Cosa della Palude di Len Wein e Bernie Wrightson, gettando le basi per la nascita della divisione Vertigo presso la DC Comics, di Swamp Thing in Italia si erano perse le tracce. In America, la serie è in realtà andata avanti per anni con esiti altalenanti che hanno portato anche a una temporanea chiusura della testata. Ad Alan Moore era subentrato Rick Veitch (The One, Teknophage), degno successore del grande bardo, liquidato dalla DC in seguito alla presunta blasfemia di un episodio in cui compariva Gesù Cristo. Il timone della serie era quindi passato a Nancy A. Collins, scrittrice di romanzi horror che aveva scelto di riportare Swamp Thing alle sue originali radici di racconto gotico di stampo tradizionale. Saltando questo lungo ciclo di storie, la Planeta DeAgostini presenta oggi il primo volume di Swamp Thing di Mark Millar nella nuova collana La Biblioteca di Lucien. Sebbene la scelta editoriale sembri più quella di puntare sulla popolarità di Millar, autore qui alle primissime armi, piuttosto che riproporre nel nostro paese un personaggio dal grande potenziale, questo ritorno in fumetteria della Cosa della Palude non è privo di interesse. Mark Millar firma la prima parte del volume in collaborazione con il già famoso Grant Morrison (che nei credits di molti capitoli lo precede per diritto) e, una volta rimasto solo, riesce a portare avanti la serie senza sfigurare, regalando ai fans del mostro paludoso delle pagine discretamente suggestive.

Si tratta di un Mark Millar giovane, lontano un’eternità dallo stile provocatorio e kitsch che caratterizzerà in
 futuro titoli come Wanted e Kick-Ass. La traccia fornita da Grant Morrison nei capitoli iniziali è sviluppata in modo diligente e recupera strutture e atmosfere già presenti nell’opera di Alan Moore. Una suggestione che incontrerà più facilmente il favore dei lettori nostalgici, che ancora ricordano lo Swamp Thing del bardo di Northampton come una delle opere a fumetti più memorabili di sempre. E’ necessario mettere da parte confronti inopportuni e lasciarsi guidare da meccanismi narrativi collaudati e sempre affascinanti pur nella loro dichiarata natura di surrogato. Grant Morrison porta in scena uno psicodramma pirandelliano che scatta come una trappola catturando anche lo spettatore più distratto. Un espediente narrativo abbastanza efficace per farsi perdonare successive incongruenze e condurre per mano il lettore in un nuovo viaggio iniziatico accanto al Paludoso, tra storie di gente comune travolta dall’assurdo, devastanti lampi di orrore, ossessioni esistenziali e mistiche tenebrose. La vena allucinatoria di Morrison viene raccolta da Millar con discreta inventiva, e il volume si conclude con un ciclo surreale piuttosto intrigante per quanto imperfetto. Disegnato in larga parte da Philip Hester senza particolare inventiva, il volume offre anche i contributi di Chris Weston (Flinch) e Phil Jimenez (Crisi Infinita, Invisibles) in gustosi camei che conferiscono al tutto un sia pur contenuto valore aggiunto.

Una lettura piacevole, ma che lascia l’amaro in bocca a chi davvero ama la Cosa della Palude. Rammarico per una lunga sequenza di capitoli ignorata a beneficio di un discutibile espediente commerciale. Amarezza per il ciclo realizzato da Rick Veitch, immediato successore di Moore e autore di altissimo profilo, tuttora inedito in Italia. Forse senza speranza dopo l’apparizione in fumetteria di questo Mark Millar’s Swamp Thing, dove il nome dello sceneggiatore (in alcuni cataloghi strillato con tanto di sussiegoso genitivo sassone) relega in secondo piano protagonista e contenuti. Una pietanza, quella di Millar, non spregevole, ma che per essere apprezzata necessita della capacità di accontentarsi, tenendo presente che il piatto migliore, più appetibile e pregiato, chi sovrintende alla cucina, potrebbe non portarlo mai in tavola.


Questa recensione è stata pubblicata anche su Fumettidicarta.


[Articolo di Filippo Messina]