giovedì 11 settembre 2008

Profondo Dark...



"Why So Serious?"

Buon ultimo, da vero figliol prodigo, ho infine visto “Il Cavaliere Oscuro”, secondo film sull’Uomo Pipistrello diretto da Christopher Nolan, talentuoso regista che ci ha dato film memorabili come “Memento” e “The Prestige”. Finalmente, dopo settimane di bombardamento mediatico e di plauso trasversale, ho potuto toccare con mano il “miracolo” cinefumettistico dell’anno, mettere la mano nel suo costato, toccarne le piaghe sanguinanti. E ho constatato, alla resa dei conti, di trovarmi di fronte a una creatura davvero bizzarra quanto difficile da valutare.
Si è usata tanto (troppo!) la parola capolavoro. Non sono il tipo che si scandalizza se questo sigillo di qualità assoluta viene usato per materiale che affonda le radici in un prodotto di norma tra i più leggeri, come il fumetto di genere supereroistico. Per capolavoro s’intende di norma la massima espressione artistica di un autore o, in genere, di una corrente culturale. Quindi anche l’etichetta “capolavoro” può essere molto relativa. Se in un paese di ciechi un guercio è sovrano, potremmo dire che un capolavoro può apparire tale in base al suo contesto storico, al di là dei suoi meriti oggettivi. “Il Cavaliere Oscuro” è un film che gonfia i muscoli non tanto per apparire “fico”, ma per dimostrarsi a tutti i costi “adulto”. Per sorpassare i pop corn movie su sentieri dove questi non osano spingersi. Il punto, a mio avviso, è che questa intenzione finisce col diventare anche il punto più debole di un film che si prende talmente sul serio da risultare a tratti pedante e persino ridicolo.
Il Cavaliere Oscuro” non è certo un brutto film. Anzi, è potenzialmente uno degli esperimenti cinefumettistici più interessanti degli ultimi anni. Semplicemente non è un capolavoro, e questo a prescindere dall’argomento trattato. Non è il Batman definitivo, come tanti hanno amato credere. Ed è un prodotto che intreccia i tanti difetti con intuizioni visive e narrative azzeccate, finendo col risultare un ibrido sconcertante. Il concetto di “miglior cinefumetto mai fatto”, che tanto ha impazzato sui blog negli ultimi mesi, è da ricondurre al piglio tenebroso e forzatamente “maturo” del racconto. Del resto, a molti bambini piace sentirsi definire “ometti”. Il punto è che l’overdose di cupezza e trucidità finisce col rivelarsi una trappola estetica in cui non tutti gli elementi (alcuni dei quali fondamentali) trovano la loro giusta collocazione.
L’atmosfera è quella di un vecchio, bel noir di Hollywood con Humphrey Bogart. Uno di quelli che non fanno più, tipo “La Città è salva” (1951), dove il crimine organizzato era descritto come un male assoluto, inafferrabile e forse imbattibile. Nei quali si respirava a ogni scena aria da film horror, in un crescendo di ansia e di atmosfere insane. Dove i delitti erano shockanti a causa del crescendo e del senso di ineluttabilità, non per via del sangue versato a fiumi. “Il Cavaliere Oscuro” riesce a ricreare una suggestione simile, grazie anche a una felice reinterpretazione del Joker, che in questo film si affranca dal pagliaccio che conosciamo per ispirarsi di più a figure dell’horror contemporaneo. Il nuovo Joker è parente stretto di serial killers creativi e diabolici come il John Doe di “Seven”, il Jigsaw di “Saw” e l’Hannibal Lecter del “Silenzio degli Innocenti”. La performance di Heat Ledger buca lo schermo e sicuramente merita da sola la visione del film. Ma il vero punto nevralgico dell’operazione è proprio Batman, e non per colpa dell’attore Christian Bale. Tutta la serietà, la cupezza, l’orrore e l’angoscia, crollano come un castello di carte non appena l’Uomo Pipistrello fa il suo ingresso in scena. Un vigilante in tuta, che gira mascherato senza che sia carnevale in un contesto che fa di tutto per convincerti che “non si sta scherzando”, per me, ha l’effetto di un dito in un occhio. Avevo avuto la stessa sensazione col precedente “Batman Begins”, ma nel “Cavaliere Oscuro”, l’ulteriore, profondo dark in cui lo spettatore è tuffato fa aumentare esponenzialmente il senso di finto e posticcio del personaggio protagonista, ancora distante dalla lettura, davvero innovativa, di cui si giova invece la sua nemesi.
L’effetto, dunque, è straniante. I sapori non si mischiano come dovrebbero e le contraddizioni fioccano. Si noti l’episodio dei due battelli sequestrati dal Joker e costretti a risolvere un dilemma mortale. E’ come se Nolan avesse voluto inserire a forza uno degli ingredienti più indigesti della saga cinematografica di Spider-Man, che nei suoi due seguiti ha scelto la strada della melensaggine. Un intermezzo moraleggiante dove, nell’improbabile conclusione buonista, aleggia ingombrante il fantasma di Edmondo De Amicis (non esagero!), in un’esplosione di ottimismo, redenzione e fiducia nell’umanità che non c’entra nulla con il resto del film.
Peccato, inoltre, per Due Facce. Aaron Eckhart è a mio parere una vera rivelazione. Il personaggio di Harvey Dent è affascinante e il suo cammino per trasformarsi nel mostruoso Due Facce è una delle sottotrame più intriganti del film. Ma dobbiamo accontentarci di una breve parabola finale per un villain che sarebbe stato tanto più grande e carismatico proprio in forza dell’intenso background fornito al personaggio. Un vero spreco.
Dedichiamo due parole anche alla povera e bistrattata Maggie Gyllenhaal, subentrata alla pupattola Kathie Holmes nel ruolo di Rachel Dawes.
Altrove è stato scritto: “ Maggie Gyllenhaal è brutta e cagna”.
Ok, per una volta il ruolo femminile è stato affidato a una donna normale (la Gyllenhaal, appunto) e non alla strafiga di turno. Per quanto riguarda le qualità di attrice di Maggie, quel che balza agli occhi più dei suoi eventuali demeriti, è l’inconsistenza del personaggio, ridotto a mero pretesto per le reazioni degli interpreti maschili. Non mi sorprende, quindi, che la partecipazione della Gyllenhaal (a suo agio in film come “Secretary”) risulti qui meccanica e alimentare. La parola “cagna” mi sembra un tantino esagerata, ma quel che trovo poco professionale (e gratuitamente sciovinista) in una recensione è che la si insulti definendola “brutta”. Cosa che sembra suggerire che a una tettona, sia pure cagna, si sarebbe comunque potuto perdonare di più. Non è certo Maggie Gyllenhaal il vero neo de “Il Cavaliere Oscuro”, che si risolve in un esperimento riuscito solo in parte. Il fumetto cinematografico perfetto, penso, deve ancora arrivare. Oggi, qualcuno trova datati i due film di Tim Burton sull’Uomo Pipistrello. Qualcun altro arriccia il naso, giudicando l’aspetto grottesco di Burton debitore al Batman a fumetti di Carmine Infantino, autore di un periodo caratterizzato da una vena giocosa e pimpante. Eppure anche il Batman di Tim Burton era dark. Ma lo era in un’accezione di fiaba gotica, forse la chiave di lettura più plausibile per il personaggio.
Perché tanta ansia di essere... anzi, di apparire adulti? Siamo sicuri che questa frenesia non rischi di compromettere la nostra reale crescita? Io non lo so, temo possa essere così. Ho paura che le alchimie commerciali e i trend di cui siamo ostaggi ci stiano presentando un profilo dell’età matura fuorviante e un po’ ottuso. Forse sono un catastrofista, chissà. Ma non credo che certe risposte si celino sotto la maschera di Batman o dietro il sorriso sfregiato del Joker.

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