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venerdì 17 febbraio 2023

Un'altra serialità è possibile




I serial televisivi (o streaming, ormai non fa più differenza) sono diventati compagni di strada nel quotidiano per molti di noi. Per me sono un rito serale, che in genere non mi trattiene più di un'ora prima di abbandonarmi alla lettura e quindi al sonno. L'offerta è vastissima e se in mezzo c'è tanto materiale che a volte emerge con clamore, in altri casi rimane più o meno sommerso.

Questo mio post si propone di elencare alcune di quelle serie meritevoli di essere viste che per una ragione o per l'altra non hanno goduto della stessa eco mediatica riservata a prodotti più celebrati.

Quanto spesso sui social abbiamo letto elogi di titoli come House of the Dragon? Quante volte ci siamo imbattuti nell'isterismo di massa (di segni opposti) a proposito della serie The Lord of the Rings: The Rings of Power? Nel visibilio relativo a The Boys, a Mercoledì e più recentemente a The Last of Us?

Insomma, esistono dei prodotti che più di altri possono essere definiti mainstream, o se preferiamo... popolari. Titoli in grado di catalizzare l'attenzione e monopolizzare la ribalta, in qualche caso a discapito di prodotti seriali interessanti che risultano spinti in una zona d'ombra dai riflettori puntati sui serial più gettonati.

Vediamo di scoprire qualcosa di meno dirompente, non per qualità, ma per riscontro mediatico. Una serialità “altra”, che non punta su brand arcinoti e grosse campagne promozionali pur avendo molto da dire, o semplicemente rivelandosi un valido intrattenimento. Quella che segue non è da intendere come una classifica, ma solo una casuale raccolta delle mie più recenti visioni preferite. Quindi, fatene un uso consapevole. Sono solo consigli.



Bad Sisters
– Grace Garvey è sposata con un uomo orribile. Un individuo insopportabile che non è il classico marito violento, ma che ha un'influenza nefasta sulla vita della moglie, stroncando in lei ogni minima gratificazione personale. Grace ha anche quattro sorelle molto legate tra loro, ciascuna delle quali ha subito una conseguenza negativa dalla condotta dell'infame cognato. John Paul ora è morto, apparentemente per cause fortuite. Ma se non fosse così? E come sono andate esattamente le cose? Nel frattempo, un agente assicurativo sull'orlo della bancarotta indaga per non essere costretto a pagare la cospicua polizza sulla vita del defunto. Succederà di tutto in un crescendo da cardiopalma.

Bad Sisters è una serie irlandese (basata su una produzione belga inedita da noi) prodotta da Apple TV, una piattaforma che negli ultimi tempi ha sfornato diversi titoli davvero interessanti. Ideata da Sharon Horgan, che nella serie interpreta il personaggio di Eva, è una commedia nera come la pece e frizzante come lo champagne. Seguendo le peripezie delle cinque ineffabili sorelle Garvey si ride e si inorridisce nello stesso tempo, in un balletto tra presente e passato che svela poco alla volta i segreti di una famiglia tutt'altro che esemplare. Un thriller al femminile appassionante, grottesco e divertentissimo.




Inside Man
– Un detenuto nel braccio della morte di un carcere statunitense riceve visite da persone che gli sottopongono quesiti di vario genere. Grieff ha ucciso la moglie in modo efferato e nessuno sa perché né dove abbia nascosto la testa del cadavere. L'uomo, che è stato un criminologo professionista, possiede qualità deduttive pari a quelle di Sherlock Holmes, e si presta a risolvere enigmi dal chiuso della prigione quasi fosse un modo per pareggiare i conti con il proprio senso etico. Nel frattempo, in Inghilterra, un sacerdote protestante si trova di fronte a un dilemma morale apparentemente insolubile. Le vicende dei due uomini si intrecceranno a distanza in modo imprevedibile.

Scritto da Steven Moffat, autore di Sherlock e per anni show runner di Doctor Who, Inside Man si basa moltissimo sulle performance dei due attori protagonisti: David Tennant e Stanley Tucci. Solo quattro puntate, ma serratissime e dal ritmo indiavolato. Un senso di angoscia crescente e un meccanismo a orologeria che funziona come una trappola. Difficile non cedere alla tentazione del binge watching e divorarlo in un'unica seduta. Si trova nel catalogo Netflix.





Severance – Scissione – Altra serie prodotta da Apple TV e altro titolo di alto profilo del quale, sia pure all'interno di una nicchia, si è parlato un po' di più. Il paradosso con Scissione, serie ideata da Dan Erickson e diretta tra gli altri dall'attore Ben Stiller, è che per consigliarla sarebbe meglio parlarne il meno possibile. Il suo incipit è fulminante e sarebbe un peccato rovinarlo ai neofiti. Limitiamoci pertanto a dire che siamo nei territori di una fantascienza sociale che sconfina nel thriller, dove le domande si succedono l'una all'altra sia per lo spettatore che per i protagonisti. Il contesto paranoico e claustrofobico, un vero e proprio incubo, pur narrando una storia completamente diversa, ai più anziani tra noi potrebbe ricordare alcune atmosfere del classico serial inglese Il prigioniero. Un mondo del lavoro distopico, dove l'essere umano è ridotto a un mero ingranaggio e le coscienze non sono mai state così manipolabili. Un gioiello di cui si attende con impazienza la seconda stagione.





Yellowjackets
– L'aereo su cui viaggia una squadra di calcio femminile cade in una remota zona montuosa lontana dalla civiltà. Un pugno di superstiti sono ritrovate molti mesi dopo. Ma non sono più le stesse. Venticinque anni più tardi, oscuri segreti tornano a perseguitare le giovani sportive ormai divenute donne ciascuna con la propria storia. Che cosa è successo nel misterioso eremo in cui la squadra si era trovata a sopravvivere, e chi sta giocando oggi con le loro esistenze?
Tra passato e presente, gioventù e maturità, Yellowjackets potrebbe essere definito un lontano parente del leggendario Lost. Una vicenda enigmatica che si dipana come un mosaico da formare un pezzo alla volta in base ai continui salti temporali. Un po' mistery un po' teen drama, un po' crime e un po' horror con pennellate di grottesco, lo show è arricchito da una ciurma di attrici notevoli tra cui si distinguono Melanie Linksey, Juliette Lewis e la sempre impagabile Christina Ricci. La prima stagione (già confermata la seconda) presenta numerosi enigmi e non è ancora chiaro in che misura il mistery centrale presenti venature soprannaturali. Come che sia, Yellowjackets è uno spasso. Se si ama farsi domande e giocare a indovinare le risposte (proprio come facevamo con Lost), il divertimento è assicurato. La serie è ideata da Ashley Lyle, Bart Nickerson e in Italia è andata in onda su Sky.



The Afterparty – Il giallo-rosa (un tempo li chiamavano così) è stato rilanciato di recente da Only Murders in the building riscuotendo un certo gradimento. La stessa etichetta sarebbe da applicare a The Afterparty, serial di Apple TV scritto da Christopher Miller. Gradevole nella sua visione di insieme, The Afterparty presenta un approccio specifico potenzialmente affascinante che però non ha il coraggio di andare fino in fondo, risultando alla fine uno show simpatico, ma anche lasciando una sensazione di possibilità sprecata. Almeno così è stato per me. Una classe di ex studenti si incontrano per una rimpatriata in cui emergono inevitabili i bilanci esistenziali di ognuno, i vecchi amori e rancori. Alla fine ci scappa il morto ed è subito millenial whodunnit, come dicono oggi quelli bravi. Una commedia poliziesca, direbbero altri senza troppi fronzoli, in cui ogni episodio è concentrato sul differente punto di vista di un ospite della festa e potenziale colpevole. L'intenzione era quella di proporre attraverso la soggettiva dei vari protagonisti un tono narrativo diverso per ogni puntata, passando dalla commedia sentimentale all'horror, all'action, al musical e persino al cartone animato. L'idea è tanto carina e intrattiene il giusto. Peccato, però, che l'atmosfera di base rimanga sempre quella della commedia, smorzando un po' la trovata sperimentale e riducendo il gioco a semplici allusioni parodistiche. Se ogni episodio, oltre al genere avesse mutato anche chiave e tono narrativo, avremmo potuto trovarci davanti a un evento. Ciò non toglie che The Afterparty sia un giallo simpatico, che se non altro prova a essere diverso dagli altri e merita la visione.


                                                        



The Devil's Hour
– Prodotto da Steven Moffat e scritto da Tom Moran come original su Amazon Prime Video, The Devil's Hour è una piccola (grande) sorpresa. Lucy si sveglia ogni notte alla stessa ora, tra le 3 e le 4 antimeridiane, reduce sempre dallo stesso incubo. Non un minuto prima né dopo. L'orario è implacabilmente preciso. La sua vita non è certo un letto di fiori. Ha ripreso da poco a frequentarsi con il marito da cui è separata, ma il loro rapporto continua a non convincerla. L'uomo non riesce proprio a relazionarsi affettivamente con il figlioletto. Isaac, un bambino strano che appare indifferente a qualunque stimolo, che non ride, non piange e a tratti appare simile a un guscio vuoto inclassificabile anche per la scienza medica. Intorno a Lucy, intanto, si verificano una serie di brutali omicidi e fenomeni indecifrabili che la porteranno a incrociare il cammino di un misterioso serial killer.

The Devil's Hour è un oggetto enigmatico e di fruizione non proprio facilissima. Trama labirintica, dinamiche narrative sfuggenti che confondono lo spettatore fino alla conclusione risolutiva nella sua complessità. Un horror mistery britannico che invita a comporre un nuovo mosaico dalle tessere tremendamente ambigue. Narrazione tesa, tenebrosa eppure affascinante grazie ai numerosi colpi di scena, all'ottimo ritmo e alle interpretazioni di Peter Capaldi e Jessica Raine. Disorientante e proprio per questo appassionante nella sua spietatezza.



                          
                                                       

Servant
– Ormai giunta alla conclusiva quarta stagione, la serie ideata da Tony Bassgallop, prodotta da M. Night Shyamalan, che ha pure diretto alcuni episodi, non è sicuramente roba per tutti. Eppure, tra le tante serie proposte da Apple TV (che sembra averne imbroccata una dietro l'altra), fa bella mostra di sé per originalità e il modo personale con cui affronta temi abusatissimi.

Sì, perché Servant è praticamente una storia supereroistica, di quelle in chiave dark e decostruzioniste. Può suonare strano, ma di questo si tratta, considerato che il personaggio centrale ha molti punti di contatto con quello marvelliano di Scarlet Witch, o perlomeno con la sua versione a fumetti più classica. Aggiungere altri dettagli sconfinerebbe nello spoiler.

Una famiglia americana formata da uno chef specializzato in cucina molecolare e da una giornalista televisiva rampante perde il figlioletto appena nato in circostanze drammatiche che non saranno subito chiarite. Per aiutare Dorothy, la madre, psicologicamente provata dal lutto, il marito accetta di ricorrere a un trattamento terapeutico sperimentale che prevede l'uso di una bambola che riproduce le fattezze del neonato defunto. Dorothy però sta varcando la soglia della follia, e mette sul giornale un'inserzione alla ricerca di una tata per il figlio artificiale. All'annuncio risponde Leanne, una misteriosa ragazza dal passato oscuro che viene subito assunta per assecondare le illusioni della madre confusa. Da quel momento, nella casa gli eventi sembrano non seguire più le leggi della natura, ma distorcersi in modo imponderabile.

Servant è una serie strana, probabilmente non per tutti. Qualcuno potrebbe trovarla ostica. Tuttavia mi sento di consigliarla, in quanto siamo davanti a un fantastico esempio di narrativa non lineare, un efficace thriller da camera e di un'ottima prova di attori. Nel cast, accanto a Toby Kebbell (Black Mirror), Lauren Ambrose (Six Feet Under) e Nell Tiger Free (Games of Thrones), troviamo anche Rupert Grint, l'ex Ron Wesley della saga di Harry Potter, in un ruolo sfaccettato che lo fa svettare su tutto il cast.






 The Bear
– Carmy è uno chef stellato che ha appena ereditato dal fratello defunto una tavola calda in un quartiere popolare di Chicago. Il locale è assediato dai debiti, il personale fuori controllo e rimettere l'attività in carreggiata sembra un'impresa impossibile. Carmy farà di tutto per comunicare con i suoi nuovi collaboratori, aiutarli a dare il meglio di sé e fare i conti con il rapporto mai del tutto risolto con il fratello ormai scomparso. The Bear 
è una serie che osa ignorare gli schemi più battuti e porta la serialità in un territorio raramente esplorato. Gli episodi, tutti molto brevi, sono ambientati in una cucina incasinatissima e chiassosa. Una vera zona di guerra dove si urlano istruzioni cui fanno eco proteste per tutto il tempo e ci si tuffa tra corpi che sgobbano, ingredienti miscelati, fornelli accesi e pietanze cotte con disperato senso di urgenza. La serie, scritta da Christopher Storer, a tratti può ricordare alcune pellicole di Spike Lee per il taglio realistico, la vicinanza ai personaggi e la narrazione ellittica in cui alcuni eventi sono suggeriti più che mostrati. Qualcosa di insolito che parla di umanità attraverso il rapporto con il cibo e la sua preparazione. Un gioiellino imperfetto, ma lucente da scoprire. Su Disney+ come Star Original.




Black Bird – Ispirato a una storia vera, come specifica un tag a inizio di ogni episodio, Black Bird è un thriller psicologico e nello stesso tempo una prova di attori a lenta ebollizione.

James, ex campione di football figlio di poliziotto in pensione, ricco, spavaldo e sicuro di sé, campa facendo affari con la cocaina finché non lo incastrano con una condanna durissima. Per avere un condono e potere stare vicino al padre malato nei suoi ultimi giorni, gli viene proposta una missione sotto copertura. Dovrà infiltrarsi in un carcere di massima sicurezza riservato a criminali con turbe mentali e usare le sue capacità di socializzazione per estorcere informazioni a Larry, un uomo accusato di essere un presunto serial killer di ragazzine che potrebbe essere presto liberato in appello data l'assenza di prove schiaccianti. Larry è mentalmente disturbato, mitomane, bugiardo... perverso. Jim dovrà trovare il modo di fare breccia nella psiche del vicino di cella, carpirgli informazioni cruciali, e assicurarsi che il mondo rimanga al sicuro dal suo delirio omicida...

Prodotto da Apple TV, scritto da Dennis Lehane e basato sul saggio In with the Devil, Black Bird non è un giallo in cui scoprire l'identità del colpevole, sebbene alcuni elementi possano a tratti far sorgere qualche incertezza sul reale andamento dei fatti. Tutto si basa sul confronto tra due personalità complesse. Una lucida, potenzialmente redimibile, e un'altra torbida, sfuggente, in cui bugie e verità possono diventare indistinguibili. A entrambi i protagonisti, Taron Egerton (Kingsman) e Paul Walter Hauser (Richard Jewell) sono stati candidati al Golden Globe (poi vinto da Hauser) per le loro interpretazioni. Black Bird è il crescendo ansiogeno di una partita a scacchi psicologica che si dipana per sei puntate tese come corde di violino mentre si sprofonda sempre più nella palude di una mente malata. Nel cast vediamo per l'ultima volta Ray Liotta, scomparso poco dopo il termine della serie, in una prova recitativa che ce lo farà ulteriormente rimpiangere.  




martedì 28 novembre 2023

Un'altra serialità è possibile - Seconda Parte


Torniamo a parlare di serialità alternativa. Niente di trascendentale o particolarmente trasgressivo. Semplicemente serie che pur avendo motivo di interesse non godono della ribalta mediatica riservata ad altri titoli, citati, discussi, analizzati nel dettaglio con cadenza regolare.

Ecco dunque una seconda infornata, e ricordate che non si tratta di una classifica, ma solo di una lista di serial da me ritenuti consigliabili.


Gli orrori di Dolores Roach – basato su uno spettacolo teatrale in seguito adattato in podcast, narra la storia di Dolores, compagna di un piccolo boss di quartiere a Manhattan. Un giorno la donna si ritrova incastrata per i traffici del convivente, e sconta sedici anni di prigione mentre l'uomo scompare senza lasciare traccia. Una volta uscita, tenta di riprendere faticosamente in mano la sua vita praticando massaggi, ma qualcosa va inevitabilmente storto, innescando una spirale di omicidi, cannibalismo e colpi di scena. The Horror of Dolores Roach è un teatrino del grand guignol retto tutto sulle spalle dell'istrionica Justina Machado, in cui grottesco e humor nero la fanno da padroni dall'inizio alla fine. Lo trovate su Prime TV.


From
– Curioso il fatto che di From si parli così poco. Eppure sembra piacere a tutti quelli che lo guardano. Anche la critica lo ha accolto piuttosto bene. Due stagioni (finora, una terza in produzione) di dieci episodi l'una. Un ritmo serratissimo e un concept abbastanza pauroso da togliere il sonno. Da qualche parte, non si sa dove, esiste una cittadina fantasma. Le persone vi capitano per caso mentre viaggiano su strade che conducono tutte in posti diversi. Il problema è che non appena arrivati non è più possibile andarsene. Si è in trappola e si diventa preda di creature sanguinarie e sadiche che fanno a pezzi chiunque gli capiti a tiro. L'unica cosa da fare è organizzarsi, darsi regole e cercare di condurre una parvenza di vita normale. Almeno fino al tramonto, quando i mostri iniziano la loro caccia. Le parentele con Lost (con cui condivide uno dei protagonisti, l'attore Harold Perrineau) sono palesi. Un luogo enigmatico dove si manifestano fenomeni soprannaturali. Una comunità di persone disperse costrette a convivere con una minaccia costante e tante domande in attesa di risposta. Il punto è che From funziona, spaventa e diverte. Per essere l'epigono di un cult ha una sua forte personalità, e merita la visione. Su Paramount +.



The Watcher – Poliziesco? Mistery? True crime? The Watcher è una strana creatura televisiva, che si dice ispirata a fatti realmente accaduti. Basata in particolare su un articolo di giornale che avrebbe sviscerato l'inquietante vicenda relativa alla casa maledetta di Westfield nel New Jersey. La famiglia Brannock, padre, madre e due figli, acquista una casa che sembra perfetta per condurre una vita comoda e tranquilla. Una vera casa dei sogni. Qualcosa, però, inizia subito ad andare storto. I vicini sono strani, invadenti e misteriosi. Ma soprattutto qualcuno inizia a scrivere loro delle lettere poco rassicuranti. Qualcuno che sembra sapere tutto della storia precedente della casa, degli eventi che vi si sono svolti, e che osserva i nuovi abitanti con intenzioni non proprio amichevoli. E' l'inizio di un incubo. Lo trovate su Netflix. 



Shrinking – Strizzacervelli allo sbando. Il dramedy (ma che pende più sul comedy) prodotto da Apple TV è una piccola perla di ironia garbata. Scherzare sulla psicoterapia e i terapeuti è un classico, ma qui si fa sul serio. Per ridere, ovviamente. Jason Seagal, che figura anche tra gli ideatori dello show, dipinge un ritratto agrodolce di padre, marito vedovo e terapeuta che si rivela più in crisi dei suoi pazienti. Ma tutto il cast è al massimo, compreso un Harrison Ford in formissima e l'esplosiva Jessica Williams. Se non lo avete ancora visto, potete recuperarlo su Apple TV+.


Calls – Una delle serie più sperimentali degli ultimi anni. Calls, infatti, si presenta come serie televisiva, ma sotto molti aspetti avrebbe potuto essere un podcast. La serie ideata dal regista Fede Alvarez per la piattaforma Apple TV, è una sorta di provocazione antitelevisiva estrema, più vicina al radiodramma. Ogni episodio riproduce una conversazione telefonica mentre sullo schermo lampeggiano astratti disegni geometrici. L'intero racconto è racchiuso nelle parole, nelle reazioni di chi parla e negli eventi che descrivono. Siamo dalle parti della fantascienza, ma anche del soprannaturale in un'accezione più ampia. Quasi un “Ai confini della realtà” senza il supporto delle immagini. Stranissimo e suggestivo. Su Apple TV+, ultimamente generoso di proposte originali.


Le Fate Ignoranti - La Serie – A circa vent'anni dall'uscita in sala del suo film omonimo, il regista Ferzan Özpetek riprende temi e personaggi e confeziona una serie televisiva per Disney+. Era proprio necessario? A essere pignoli no. Eppure la versione seriale de Le Fate Ignoranti non è affatto spiacevole. Qualche cambio di prospettiva sacrifica un po' il twist iniziale del film, ma i nuovi interpreti sono simpatici, e l'approfondimento delle storyline dei comprimari interessante. Un'occhiata, dopotutto, la merita. Come già detto: su Disney+.



Full Monty – La serie – Da Full Monty, il film di Peter Cattaneo, di anni ne sono passati invece quasi trenta. In questo caso non siamo in presenza di un remake, ma di un seguito parecchio tardivo. Anche qui è lecito interrogarsi sul senso dell'operazione. E anche qui la risposta potrebbe essere: perché no? Full Monty – La serie non è una mera riproposizione dello stesso spunto del film del 1997, ma una rimpatriata con i suoi personaggi invecchiati, e un aggiornamento di alcune dinamiche sociali che purtroppo non sono troppo cambiate. Un cast di attori in gran forma, delle divertenti trovate narrative, dialoghi fulminanti e una trama agrodolce che conquista. A un vecchio amico non si nega un saluto affettuoso. Su Disney+.


Paranormal – Una serie egiziana sul soprannaturale prodotta da Netflix, ispirata a un ciclo di romanzi dello scrittore Ahmed Khaled Tawfik. Qualcosa di insolito, per noi occidentali, abituati a osservare il tema del paranormale attraverso le maglie di una cultura completamente diversa. Paranormal narra le vicende di Refaat Ismail, medico egiziano che a seguito di un trauma infantile ha sviluppato un atteggiamento difensivo freddo e rigidamente razionale. Eppure sembra che qualcosa che non appartiene a questo mondo abbia preso a seguirlo e a insinuarsi nelle vite di tutti quelli che gli sono vicini. Una catena di eventi terrificanti apparentemente slegati tra loro, ma in realtà connessi da un obiettivo finale. In bilico tra horror, commedia e dramma, Paranormal è un piccolo gioiello che attinge a miti e leggende metropolitane dell'Egitto per raccontare il rapporto dell'umanità con l'ignoto. L'attore Ahmed Amin, famoso in patria per i suoi ruoli comici, interpreta qui un personaggio indimenticabile, il cui scetticismo granitico è messo a dura prova. Da scoprire su Netflix.



The Lefovers – E' una serie del 2014, conclusa nel 2017 dopo tre stagioni. Mi si potrebbe obiettare che è passata di cottura. Ma la inserisco ugualmente nella lista per un motivo molto valido. Tuttora è una serie sottovalutatissima e vista solo da pochi eletti volenterosi. Ed è un peccato, perché stiamo parlando di una delle serie televisive più belle, strane e ben scritte da che ho memoria. Al timone c'è Damon Lindelof, che recupera alcuni degli espedienti di sceneggiatura usati in Lost per narrare una storia corale che sotto certi aspetti ha tutte le carte in regola per contendere il trono al celebratissimo cult. Alla base di The Leftovers c'è il romanzo omonimo (in Italia si intitola Svaniti nel nulla) di Tom Perotta. Un giorno, senza nessuna spiegazione, il 2% della popolazione mondiale scompare senza lasciare traccia. Un evento mistico? Un enigmatico piano alieno? Il misterioso accadimento stravolge la vita sul pianeta in termini culturali suscitando le più sconcertanti reazioni personali e di massa. Il romanzo di Perotta è interamente adattato nella prima stagione, mentre le successive due sono il risultato del lavoro di scrittura di Lindelof, cui l'autore originale ha comunque fornito assistenza come supervisore. Una saga enigmatica a cavallo tra dramma e mistery, magnificamente interpretata. Da vedere. Attualmente si trova su Netflix.



The Midnight Club – La penultima delle serie ideate da Mike Flanagan per Netflix, e forse quella meno chiacchierata. Sicuramente meno della miniserie Midnight Mass. Quasi niente a confronto della recente The Fall of the House of Usher, che chiude la lunga collaborazione del regista con la piattaforma streaming. Come mai? E' vero che la serie è stata cancellata dopo appena una stagione, e questo non è mai un bel biglietto da visita. C'è da considerare anche il tema, non troppo allegro, ispirato al romanzo di Christopher Pike. Il Rotterham è un hospice, cioè una struttura ospedaliera che ospita malati terminali che trascorrono tra le sue mura le loro ultime settimane di vita. Compito dell'istituto è rendere quanto più agevole il loro cammino verso il crepuscolo. Il Rotterham è specializzato nell'accogliere pazienti molto giovani, cosa che rende ancora più tragico il concept di base. I ragazzi affrontano la situazione ognuno a suo modo, e cercano la catarsi in riunioni di mezzanotte in cui si raccontano storie paurose. Il patto che li lega è che quanti di loro andranno via per primi dovranno fare di tutto per contattare gli altri, e dimostrare che una vita dopo la morte esiste. 

La cancellazione della serie non deve scoraggiare la visione dell'unica stagione esistente. In primo luogo perché la qualità è alta. In secondo perché, sebbene Flanagan abbia poi pubblicato un articolo in cui rivelava i suoi piani per il seguito mai girato, l'unica stagione di The Midnight Club si regge benissimo in piedi da sola. Le ambiguità, le domande senza risposta, hanno tutte una funzione allegorica che si incastra perfettamente nel clima del racconto. La resistenza alle avversità della vita, il valore dell'amicizia e l'accettazione della morte. Non è affatto impossibile riuscire a rispondere da soli agli elementi (in verità pochi) rimasti insoluti. Siamo davanti a dei simboli, e i simboli vanno interpretati più che spiegati. Quindi date una possibilità a The Midnight Club, che in definitiva è uno show più speranzoso e ottimista di quanto ci si potrebbe aspettare. Ruth Codd, qui al suo esordio, è strepitosa, e fa sempre piacere rivedere Heather Langenkamp. Su Netflix. 



domenica 2 giugno 2024

Un'altra serialità è possibile - Terza Parte

 

Parliamo ancora di serialità. Anzi, di serial. E di alternative. Alternative a grossi titoli. Grossi nel senso di gettonati, discussi, supportati da sponsor e orde di fans. Quelle che vi presento in questa rubrica, arrivata al terzo episodio, sono alcune serie da me ritenute interessanti e, se non passate sotto silenzio, ampiamente sottovalutate dal vasto pubblico.


Evil – Se non gli avete mai dato una possibilità, questo sarebbe il momento giusto per farlo. Evil, infatti, è appena arrivato alla sua stagione finale, la quarta, attualmente in fase di programmazione. E' vero, le premesse iniziali possono non apparire particolarmente allettanti. Di serie sul soprannaturale ce ne sono state a bizzeffe. Satanasso, i suoi adepti e fenomeni paranormali che si intrecciano a complotti terreni rappresentano una formula abusata. Eppure Evil, nonostante le premesse già viste, con tutte le sue imperfezioni, può contare su un punto di forza non indifferente. La scrittura, opera dei coniugi Robert e Michelle King, già autori di successi come The Good Wife.

Prodotto dalla CBS, Evil descrive il lavoro di una squadra al servizio della chiesa cattolica statunitense il cui compito è valutare l'attendibilità di fenomeni apparentemente diabolici o divini e l'eventuale decisione dell'istituzione ecclesiastica di contrastarli o accreditarli. Abbiamo David, un seminarista afroamericano (Mike Colter, visto in Luke Cage, e qui in un ruolo parecchio sfaccettato), Kristen, una psicologa forense e Ben, un hacker esperto in più rami della tecnologia, radunati per gestire casi bizzarri che potrebbero essere elaborate truffe come eventi oggettivamente soprannaturali. La trama verticale si intreccia con una densa progressione orizzontale in cui il tema dei singoli episodi spesso torna in scena in modo sorprendente. Le vicende personali dei tre protagonisti, cui si aggiunge il diabolico antagonista interpretato da Michael Emerson (Lost, Persons of Interest) nel ruolo di uno psicologo votato alla corruzione e al caos, svolgono una funzione rilevante nel mosaico generale. 

La narrazione di Evil procede costantemente sui binari dell'ambiguità, presentando ciò che potrebbe essere ultraterreno, ma anche manipolato da esseri umani senza scrupoli, assumendo una connotazione sempre più onirica che lascia allo spettatore la libertà di scegliere a cosa credere. Non esente da difetti, ma insidioso come una trappola, Evil è in grado di catturare l'attenzione dello spettatore e condurlo avanti di episodio in episodio, mentre lo status quo dei protagonisti matura e cambia generando un crescente senso di inquietudine.
Insomma, una serie poco frequentata che però sa come intrattenere. Se amate l'horror, una vostra occhiata la merita. Lo trovate su Paramount +.


The Strain – Tratta dalla trilogia di libri che va sotto il titolo generale di Nocturna, scritta a quattro mani dal regista Guillermo Del Toro e dal romanziere Chuck Hogan, The Strain è una serie già conclusa che conta quattro stagioni, andate in onda tra il 2014 e il 2017 sul canale statunitense FX e trasmessa in Italia da Fox. Anche il tema del vampirismo è stato sovraesposto, in televisione come al cinema, e oggi da dire sembra rimasto ben poco. 

I romanzi di Del Toro e Hogan propongono un approccio che rasenta la fantascienza (sebbene contaminata da una grossa componente gotica) e iniziano la loro saga riscrivendo il mito di Dracula, il suo arrivo nel mondo contemporanea non su una nave, ma a bordo di un modernissimo aereo che non appena atterrato spegne tutte le luci e rimane avvolto dal silenzio. I vampiri non sono raffinati aristocratici, non hanno canini appuntiti e la loro modalità di nutrirsi e riprodursi è qualcosa che va scoperta un poco per volta, attraverso l'analisi scientifica di medici abituati a confrontarsi con virus ed epidemie pericolosissime. 

Ci sarebbe da dire che la trilogia letteraria tende un po' a disperdersi, e smarrisce per strada alcune premesse iniziali proponendo delle rivelazioni sull'origine delle creature succhiasangue che possono risultare irritanti per qualche lettore. La serie televisiva, dove a condurre il gioco è lo stesso Guillermo Del Toro, anche regista dell'episodio pilota, elimina felicemente i punti deboli dell'ultimo romanzo e procede coerente per la strada che ha imboccato sin dall'inizio. Le poche variazioni sono efficaci e in definitiva la visione è gradevole anche per chi già ha letto la saga romanzesca. Consigliabile, quindi. Potete vedere tutte e quattro le stagioni di The Strain su Disney+.



Our Flag Means Death
– Basato molto liberamente sulla figura storica di Stede Bonnet, divenuto noto come il “Pirata gentiluomo”, Our Flag Means Death è una serie prodotta dalla HBO Max nel 2022. Tra commedia, avventura e romance, lo show ideato da David Jenkins è divenuto popolare presso la comunità LGBTQ+ per i suoi contenuti esplicitamente queer trattati con delicato umorismo. 

Nel XVIII secolo, il gentiluomo Stede Bonnet (l'attore neozelandese Rhys Darby) decide di abbandonare un matrimonio senza amore e le agiatezze della sua vita borghese per prendere le vie del mare, arruolare una ciurma di disperati e dare inizio alla carriera di pirata. Si tratta, però, di un sempliciotto con la testa piena di sogni che incontrerà non poche difficoltà sia a mantenere coeso l'equipaggio, sia a sopravvivere in mare durante quella che è ricordata come l'età d'oro della pirateria. La sua strada si incrocia con il più famoso e spietato dei pirati: Edward Teach, noto con il soprannome di Barbanera (Taika Waititi in persona). Tra il navigato corsaro e il sognatore, nascerà un'inattesa complicità che li porterà a innamorarsi scontrandosi con le convenzioni del loro tempo e le regole stesse della pirateria.

Strano, surreale, buffo, imprevedibile, Our Flag Means Death è una serie che oscilla tra il farsesco e il romantico, giovandosi di una ciurma di personaggi fortemente caratterizzati. Su tutti svetta Taika Waititi, in grado di apparire serio, languido, pagliaccesco e temibile a seconda delle esigenze di copione. Purtroppo, la serie è stata cancellata dopo due sole stagioni, ma merita comunque di essere recuperata. A proposito, in Italia non è mai arrivata. Quindi, per vederla è necessario ricorrere al pensiero laterale e affidarsi a sottotitoli artigianali.





venerdì 4 luglio 2014

La limonata che scioglie la lingua


Da bambino, come molti altri della mia generazione, sono stato un avido divoratore di libri di Emilio Salgari. Ebbene sì. Ero un bambino che leggeva. Sarà stato perché la televisione era sempre rotta, e comunque esistevano solo due canali. Comunque leggevo tanto Salgari. E il primo romanzo, il più amato, fu “I misteri della giungla nera”. A quel tempo esistevano le edizioni Malipiero, libri destinati ai ragazzi in edizione integrale, arricchiti da illustrazioni che oggi, nella mia memoria, hanno parecchio di fumettistico. Salgari spesso era diviso in più volumi. Anzi, no, potremmo parlare di vere e proprie puntate. Una scelta editoriale che recuperava in parte la serialità delle edizioni originali, pubblicate a episodi su riviste e quotidiani. I libri della Malipiero presentavano un concetto simile a quello di certi sequel cinematografici di oggi. Un libro terminava con un cliffhanger da cardiopalma, e quello successivo, con un titolo differente, riprendeva il racconto da un'altra prospettiva, svelando poco per volta cosa fosse successo ai protagonisti mentre non li osservavi.

Letto “I misteri della giungla nera” dove l'avventura del cacciatore di serpenti Tremal Naik s'interrompeva di botto lasciandoti pieno di ansia, non ebbi pace finché non misi le mani su “La rivincita di Tremal Naik”, con il quale mi ingozzai in pochi giorni per scoprire l'esito della lotta tra il cacciatore e i temili Thugs adoratori della dea Kalì.

C'era un capitolo, in quel libro, intitolato “La limonata che scioglie la lingua”. Il resoconto di un interrogatorio al protagonista svolto con l'ausilio di una sostanza allucinogena fatta bere a sua insaputa come bevanda dissetante. “youma” la chiamavano (ignoro se Salgari si fosse inventato tutto di sana pianta o se ne avesse qualche reale contezza), e funzionava come una sorta di penthotal. Inebriava, dissolveva i freni inibitori, rendeva allegri e ciarlieri. In poche parole, confessavi qualunque cosa ti passasse per la testa senza neppure accorgertene. E fu così che il cacciatore di serpenti Tremal Naik fu protagonista dell'episodio più degradante della sua carriera di personaggio salgariano. Tutto risate e battute sciocche, mentre spiattellava davanti al nemico il suo vero nome, le sue vere intenzioni, per conto di chi lavorava e che cosa si apprestava a fare. Il tutto gonfiando il petto tra gli accessi di risa, e ripetendo al nemico, il capitano Macpherson, lo stolido tormentone: «Quanto sei stupido, amico... Quanto sei stupido...»

«Hai ragione,» risponde a un certo punto il capitano. «Sono davvero stupido.»


Oggi ripenso a questo libro, e alla “youma” ogni volta che scorro la pagina di Facebook. Ripeto, non so se Salgari l'avesse inventata del tutto, ma la sua intuizione era più che attendibile. Pensa a qualcosa che annienta le inibizioni, prende il narcisismo di un individio e lo fa scoppiare e saltare intorno come pop corn. Mette allegria compulsiva o depressione profonda, spinge a elargire agli interlocutori frasi piene di supponenza, a condividere citazioni (spesso dubbie) che dovrebbero esprimere chissà quali grandi verità. Ma soprattutto racconta tutto quello che sei... tutto quello che sai, ridendo come uno scemo, mentre dai del cretino a tutto e tutti. Oppure baci tutti, non fa molta differenza.

Nessun'altra droga è altrettanto efficace, nessuna ti fornisce così tante informazioni. Nessuna funziona come una macchina della verità... così attendibile e così fuorviante allo stesso tempo. Nessuna ti rende così tronfio e vulnerabile in un solo colpo. E con lo stesso spettacolare senso del grottesco.

La “youma”, la limonata che scioglie la lingua, aveva lo stesso, medesimo effetto di un social network di oggidì.