lunedì 26 agosto 2024

Alien: Romulus



Una volta, parlando di cinema, un amico mi disse: «Non capisco i sequel! Sono una ripetizione degli eventi visti nel film precedente. Tanto vale rivedersi l'originale.»

C'era del vero, anche se non in modo assoluto. Io risposi che, al di là dell'opinione rispettabile, credevo di capire il senso commerciale dei sequel.
«Per lo spettatore che ha apprezzato il primo capitolo,» dicevo, «è come tornare a visitare un luogo vacanziero in cui l'ultima volta si è trovato bene. Incontrare di nuovo le persone che si sono conosciute la volta prima e che avevevi trovato simpatiche. Riscoprire le sensazioni già vissute e cercarne di nuove respirando la stessa aria.»

Lo penso ancora. Almeno per quanto riguarda una certa modalità di sequel.

Poi vengono i franchise, quelli belli lunghi, e lì la cosa si complica.

Un brand come quello di Alien è sempre stato caratteristico e imprevedibile nello stesso tempo. Dal prototipo di Ridley Scott, che ha dato nome e forma a uno spunto horror classicissimo trasformandolo in mito, a una serie di seguiti dagli stili tutti diversi. Action, dark, grottesco, per poi tornare in mano al suo demiurgo Scott, che ha voluto reinventare la materia originale dandogli un'impronta autoriale talmente libera dai condizionamenti del brand da risultare indigesta a molti. Due escursioni (Prometheus e Alien: Covenant) che se ne infischiano della verosimiglianza e si concentrano su una riflessione allucinata dell'esistenza, della genesi umana e del suo diritto alla vita.

La serie cinefumettistica-videoludica di Predator vs Alien fa storia a sé. Ed è meglio lasciarla dove sta, senza troppi pensieri. Alien: Romulus, sbanca al botteghino e spacca in due il pubblico come Mosé con il Mar Rosso. Capolavoro o zozzeria?
Naturalmente, la risposta si colloca in mezzo. Alien: Romulus è un onesto e piacevole film d'intrattenimento. Azzecca le caratterizzazioni dei suoi protagonisti, ha un ritmo forsennato e riesce persino a mettere ansia (ma che paura i facehuggers!). La vera domanda è: dove finisce la normale dinamica da sequel (il ritorno nei luoghi ameni di cui cianciavo all'inizio) e dove inizia il dar di gomito allo spettatore abituale, quello che ormai siamo abituati a definire "fanservice"? E forse dobbiamo sottolineare il fatto che il fanservice, specie se insistito, ha acquisito nel tempo una connotazione piuttosto negativa. Beh, io credo che in larga parte, in questo caso, le due cose si trovino a coincidere. Il regista Fede Alvarez, che non è un genio, ma neppure uno sprovveduto, fa un lavoro diligente, recuperando feticci dai film precedenti e sfruttandoli come innesco per il suo spettacolo. In un certo senso, Alien: Romulus si può considerare un sequel diretto del primo film diretto da Ridley Scott. Si colloca proprio tra il primo e secondo capitolo della saga e riesce furbescamente a plasmare un nuovo episodio, ancora differente dagli altri. Dinamica da sequel e fanservice si sovrappongono, dicevo, in modo (per me) indolore, generando un effetto che alla fine della fiera è abbastanza canonico. Quando si torna a visitare una meta turistica dove si è già stati, ripeto, è normale aspettarsi di rincontrare facce già viste e sentire gli stessi profumi (di mare, di monti... fate voi).


Certo, qualcosa di gridato c'è. Senza fare spoiler (che fuori contesto, parlando di xenomorfi famelici,
significa tutto e niente), quel «Stai lontano da lei, maledetta!» magari Alvarez se lo poteva pure risparmiare. Stessa battuta, circostanza un tantino diversa (mica tanto, in verità, ma è un sequel, quindi... ). Ammetto che risentire questa frase mi ha dato un leggero fastidio, giusto perché scopre fin troppo le carte del citazionismo.

Tutto il resto, gli echi di dinamiche passate, situazioni che ricicciano fuori... ne dobbiamo davvero parlare? Sono i sequel, bellezza!
(cit.) Declinazioni di una storia già narrata. Cambiano le maschere, forse anche i fondali, ma la fabula è sostanzialmente quella. A meno che il suo autore originale non decida di prendere una direzione diversa scontentando una larga fetta di pubblico. Ma non è questo il caso. Ci sono le astronavi, i viandanti dello spazio che chiedono solo vivere le loro vite, c'è lo xenomorfo con le sue nefande caratteristiche e... "nello spazio nessuno può sentirti urlare". Sappiamo benissimo a cosa andiamo incontro.
Inoltre, parliamo di un franchise vecchio di quasi mezzo secolo, che conta al suo attivo sette film più le contaminazioni con il suo quasi gemello, il brand di Predator. Possiamo chiamarlo come vogliamo, ma scoprire all'interno del nuovo capitolo una lunga serie di references è addirittura fisiologico.

Rimane la domanda: il fanservice di Alien: Romulus è davvero così irritante? A mio parere no. Non più di tanti altri sequel di film seriali blasonati. Forse qualche citazione troppo urlata, ma sono peccati veniali. Il film di Fede Alvarez è divertente, riesce a inquietare e fa intravedere un cuore pulsante dietro a tutto il fracasso, il sangue e la sequela di orrori fantascientifici che ormai lo spettatore scafato conosce a menadito. Non è neppure troppo lungo, ti fa affezionare ai protagonisti. Ti fa temere per la loro sorte. E da
un film del genere non mi aspetto niente di più.

sabato 22 giugno 2024

Doctor Who 2024: Riflessioni finali



...e si è conclusa anche questa stagione.
Allora... al netto dei difetti (che sono quelli di sempre), io direi: bene, ma non benissimo. Magari con un possibile margine di miglioramento nella prossima stagione.

I difetti: dicevo, sono quelli di sempre. La fretta nel chiudere certe macrotrame. La farraginosità di situazioni che sono affidate più alla suggestione che alla logica (è Doctor Who. Più che fantascienza, più che fantasy, aveva ragione chi lo definiva un serial "pazzo").
La melassa dei buoni sentimenti (che però gli perdono, perché il cattivismo ormai ci è servito abbondante da una miriade di altri prodotti, e un po' di rassicurazione fiabesca ci vuole pure).
L'altalena di qualità tra i vari episodi (dopotutto è una serie che va avanti da parecchi decenni).

Ncuti Gatwa? Un Dottore interessante, promettente, anche simpatico... ma che penso debba ancora definirsi veramente. A tratti lascia emergere il suo personaggio di Sex Education, e in altri appare fin troppo emotivo (Gesù, quanto frigna!). Ma in fondo ha avuto 8 episodi, mentre le serie precedenti ne avevano almeno 12. Forse, dico forse, deve ancora carburare. Non è che non vada bene, ma la concorrenza con le incarnazioni precedenti è ferocissima. Non è arrivato da Jodie Whittaker, ma dall'interregno del ritornato David Tennant. Eredità pesante. Teniamolo presente.

In definitiva, dopo l'era di Chris Chibnall, lo stacco qualitativo si vede. Si respira aria di casa, anzi di Tardis, ma c'è ancora strada da fare. Cose da aggiustare.

Per concludere con una nota rompipalle...

Io l'avevo detto che la bigenerazione era da intendere in modo allegorico, giusto per pacificare la vecchia idea del Dottore e guardare avanti. Ma se ci si attacca letteralmente agli snodi di trama, quella scelta già presenta il conto.

Rusell T. Davies ha affermato che non rivedremo il Dottore di David Tennant. Per ora non è nei piani, almeno.
Dico una cosa sola. E questa la capisce solo chi ha visto il finale di stagione. Nessuno spoiler, resto vago.

Il Tardis non si era pure sdoppiato?
Come la mettiamo?
Dovrebbero essere cazzi. O no?

Vada come vada, è sempre Doctor Who.
E ci sono affezionato.

domenica 2 giugno 2024

Un'altra serialità è possibile - Terza Parte

 

Parliamo ancora di serialità. Anzi, di serial. E di alternative. Alternative a grossi titoli. Grossi nel senso di gettonati, discussi, supportati da sponsor e orde di fans. Quelle che vi presento in questa rubrica, arrivata al terzo episodio, sono alcune serie da me ritenute interessanti e, se non passate sotto silenzio, ampiamente sottovalutate dal vasto pubblico.


Evil – Se non gli avete mai dato una possibilità, questo sarebbe il momento giusto per farlo. Evil, infatti, è appena arrivato alla sua stagione finale, la quarta, attualmente in fase di programmazione. E' vero, le premesse iniziali possono non apparire particolarmente allettanti. Di serie sul soprannaturale ce ne sono state a bizzeffe. Satanasso, i suoi adepti e fenomeni paranormali che si intrecciano a complotti terreni rappresentano una formula abusata. Eppure Evil, nonostante le premesse già viste, con tutte le sue imperfezioni, può contare su un punto di forza non indifferente. La scrittura, opera dei coniugi Robert e Michelle King, già autori di successi come The Good Wife.

Prodotto dalla CBS, Evil descrive il lavoro di una squadra al servizio della chiesa cattolica statunitense il cui compito è valutare l'attendibilità di fenomeni apparentemente diabolici o divini e l'eventuale decisione dell'istituzione ecclesiastica di contrastarli o accreditarli. Abbiamo David, un seminarista afroamericano (Mike Colter, visto in Luke Cage, e qui in un ruolo parecchio sfaccettato), Kristen, una psicologa forense e Ben, un hacker esperto in più rami della tecnologia, radunati per gestire casi bizzarri che potrebbero essere elaborate truffe come eventi oggettivamente soprannaturali. La trama verticale si intreccia con una densa progressione orizzontale in cui il tema dei singoli episodi spesso torna in scena in modo sorprendente. Le vicende personali dei tre protagonisti, cui si aggiunge il diabolico antagonista interpretato da Michael Emerson (Lost, Persons of Interest) nel ruolo di uno psicologo votato alla corruzione e al caos, svolgono una funzione rilevante nel mosaico generale. 

La narrazione di Evil procede costantemente sui binari dell'ambiguità, presentando ciò che potrebbe essere ultraterreno, ma anche manipolato da esseri umani senza scrupoli, assumendo una connotazione sempre più onirica che lascia allo spettatore la libertà di scegliere a cosa credere. Non esente da difetti, ma insidioso come una trappola, Evil è in grado di catturare l'attenzione dello spettatore e condurlo avanti di episodio in episodio, mentre lo status quo dei protagonisti matura e cambia generando un crescente senso di inquietudine.
Insomma, una serie poco frequentata che però sa come intrattenere. Se amate l'horror, una vostra occhiata la merita. Lo trovate su Paramount +.


The Strain – Tratta dalla trilogia di libri che va sotto il titolo generale di Nocturna, scritta a quattro mani dal regista Guillermo Del Toro e dal romanziere Chuck Hogan, The Strain è una serie già conclusa che conta quattro stagioni, andate in onda tra il 2014 e il 2017 sul canale statunitense FX e trasmessa in Italia da Fox. Anche il tema del vampirismo è stato sovraesposto, in televisione come al cinema, e oggi da dire sembra rimasto ben poco. 

I romanzi di Del Toro e Hogan propongono un approccio che rasenta la fantascienza (sebbene contaminata da una grossa componente gotica) e iniziano la loro saga riscrivendo il mito di Dracula, il suo arrivo nel mondo contemporanea non su una nave, ma a bordo di un modernissimo aereo che non appena atterrato spegne tutte le luci e rimane avvolto dal silenzio. I vampiri non sono raffinati aristocratici, non hanno canini appuntiti e la loro modalità di nutrirsi e riprodursi è qualcosa che va scoperta un poco per volta, attraverso l'analisi scientifica di medici abituati a confrontarsi con virus ed epidemie pericolosissime. 

Ci sarebbe da dire che la trilogia letteraria tende un po' a disperdersi, e smarrisce per strada alcune premesse iniziali proponendo delle rivelazioni sull'origine delle creature succhiasangue che possono risultare irritanti per qualche lettore. La serie televisiva, dove a condurre il gioco è lo stesso Guillermo Del Toro, anche regista dell'episodio pilota, elimina felicemente i punti deboli dell'ultimo romanzo e procede coerente per la strada che ha imboccato sin dall'inizio. Le poche variazioni sono efficaci e in definitiva la visione è gradevole anche per chi già ha letto la saga romanzesca. Consigliabile, quindi. Potete vedere tutte e quattro le stagioni di The Strain su Disney+.



Our Flag Means Death
– Basato molto liberamente sulla figura storica di Stede Bonnet, divenuto noto come il “Pirata gentiluomo”, Our Flag Means Death è una serie prodotta dalla HBO Max nel 2022. Tra commedia, avventura e romance, lo show ideato da David Jenkins è divenuto popolare presso la comunità LGBTQ+ per i suoi contenuti esplicitamente queer trattati con delicato umorismo. 

Nel XVIII secolo, il gentiluomo Stede Bonnet (l'attore neozelandese Rhys Darby) decide di abbandonare un matrimonio senza amore e le agiatezze della sua vita borghese per prendere le vie del mare, arruolare una ciurma di disperati e dare inizio alla carriera di pirata. Si tratta, però, di un sempliciotto con la testa piena di sogni che incontrerà non poche difficoltà sia a mantenere coeso l'equipaggio, sia a sopravvivere in mare durante quella che è ricordata come l'età d'oro della pirateria. La sua strada si incrocia con il più famoso e spietato dei pirati: Edward Teach, noto con il soprannome di Barbanera (Taika Waititi in persona). Tra il navigato corsaro e il sognatore, nascerà un'inattesa complicità che li porterà a innamorarsi scontrandosi con le convenzioni del loro tempo e le regole stesse della pirateria.

Strano, surreale, buffo, imprevedibile, Our Flag Means Death è una serie che oscilla tra il farsesco e il romantico, giovandosi di una ciurma di personaggi fortemente caratterizzati. Su tutti svetta Taika Waititi, in grado di apparire serio, languido, pagliaccesco e temibile a seconda delle esigenze di copione. Purtroppo, la serie è stata cancellata dopo due sole stagioni, ma merita comunque di essere recuperata. A proposito, in Italia non è mai arrivata. Quindi, per vederla è necessario ricorrere al pensiero laterale e affidarsi a sottotitoli artigianali.





venerdì 17 maggio 2024

17 maggio: Buona Giornata Mondiale contro La Omolesbobitransfobia


Per tutto il giorno, anche un po' ossessivamente, mi sono chiesto come potevo contribuire a questo 17 maggio (venerdì), Giornata Internazionale contro l'OmoLesboBiTransfobia.

Mi è venuto in mente in serata, un po' tardi (per me è un periodo un po' così. Sono tardo io), ma credo di avere trovato la forma giusta.

Mi piace ricordare un episodio di una delle mie serie TV preferite, Doctor Who, da poco tornato nella sua quindicesima incarnazione. Il Dottore in carica ha una certa caratterizzazione queer, ma ho preferito guardare al passato, e celebrare un ricordo personale. Il primo episodio dell'ottava stagione del rilancio moderno, il primo con protagonista il Dottore di Peter Capaldi, intitolato "Deep Breath".

Nell'episodio si esplorava la relazione di Madam Vastra, aliena siluriana (rettiliana) e sorta di Sherlock Holmes in versione science fiction, con l'umana Jenny Flint, sua moglie e stretta collaboratrice nella Londra vittoriana. Il rapporto con il maggiordomo Strax, sontaran che ha rinunciata alla vita militare del suo popolo per vivere con le due donne sulla terra e formare di fatto una sorta di famiglia allargata.

Ricordo questo episodio non tanto per la sua trama, per il debutto di Peter Capaldi (uno dei miei dottori preferiti) e la presenza di quel tenerissimo, sfortunato Tirannosauro femmina cui il Dottore si rivolgeva con l'appellativo di "Bomba Sexy". Lo rammento e mi è caro perché ricordo come lo commentai, all'indomani della visione, con Luigi Carollo, attivista e coordinatore del Palermo pride, che lo definì «la puntata più queer in assoluto vista finora nello show».


Penso avesse ragione. L'episodio mostrava una relazione, anzi, un matrimonio tra un'aliena e una terrestre, entrambe identificate dal genere femminile (almeno credo, visto che non si sa molto dei siluriani) in un contesto estremamente puritano come quello dell'Inghilterra vittoriana, e una forma di amore puro, passionale, libero da qualunque condizionamento.


Luigi ci ha lasciati meno di un mese fa, troppo presto e in modo troppo brusco per riuscire a metabolizzare la cosa. Per questo dedico il mio pensiero di oggi a lui, a uno show che amavamo entrambi e che ci capitava di analizzare insieme a ogni nuova stagione. Per la prima volta, quest'anno, non leggerò i suoi commenti suoi nuovi episodi né mai saprò che cosa avrebbe pensato del Dottore di Ncuti Gatwa, per la prima volta nero e queer.
La cosa mi addolora, perché mi priva del conforto di una persona intelligente che non era solo un attivista, ma anche un frequentatore della cultura pop, in grado di riconoscere ed evidenziare in essa temi che ci riguardano, ci parlano... o almeno ci provano. Sta a noi farne buon uso. Le storie sono nostre, le storie siamo noi.

Buon 17 maggio a tutti, tutte e tuttə. Viva l'amore, viva noi, viva il Dottore, viva Luigi.




venerdì 3 maggio 2024

The Spider


L'idea di trasporre le origini di Spider-Man in chiave horror, mostrando un Peter Parker che morso dal ragno radioattivo, invece che in un vigilante mascherato, si trasforma in una creatura mostruosa è tutto fuorché nuova.

Una delle prime intenzioni per l'adattamento cinematografico sulla storia del tessiragnatele era stata proprio quella di una versione dark e orrorifica. Il produttore Menahem Golan, fresco dell'acquisto della Cannon Film, accarezzava l'idea di un Ragno Umano a quattro braccia le cui tragiche e paurose avventure avrebbe voluto affidare a Tobe Hooper, il regista di "Texas Chainsaw Massacre" ["Non aprite quella porta"]. Comprensibilmente, la Marvel Comics cestinò questa proposta, e si mostrò più interessata al piano B di Golan, un altro progetto (anche quello mai realizzato) che avrebbe dovuto vedere James Cameron alla regia.

Nei fumetti, lo spunto dell'Uomo Ragno mostruoso fu ripreso più volte in storie per lo più ipotetiche. Nel racconto
"I, Monster" scritto da Tom DeFalco su "Amazing Spider-Man" nr. 437 nel 1988, e nell'episodio di "What If... ?" intitolato "Arachnamorphosis" del 1996, giusto per citarne un paio. Dopotutto dobbiamo ammetterlo, la declinazione horror della nascita di Spider-Man emerge quasi spontanea nella fantasia di chiunque.
Il regista Andy Chen ripropone questa variante al mito fumettistico con un cortometraggio in cui vediamo i primi passi di Peter come ragno umano e la direzione differente (parecchio differente) che avrebbero potuto prendere alcuni momenti fondativi del suo cammino di supereroe. Un pauroso rovesciamento di prospettive, mentre sfioriamo personaggi iconici il cui destino non sarà lo stesso visto nei comics. Gwen Stacy, J. J. Jameson, zia May, zio Ben...

Nei fumetti, il ragno fatale arriva per Peter in un momento in cui la sua vita sta attraversando una crisi cruciale per l'adolescenza. Isolato, schernito dai compagni di scuola, incarnazione del perdente secondo la visione più stereotipata della società (non solo) americana. Il ragno che lo morde è interpretabile come un intervento trascendente nell'ottica del mito. Il dono di una divinità capricciosa che gioca con le sorti umane, e fornisce allo sfortunato Peter, il sottovalutato Peter, qualità che ad altri sono negate, per poi metterlo davanti a un bivio morale in cui la scelta di diventare un eroe sarà soltanto sua, indipendente dai poteri che ha acquisito in modo fortuito.


La lettura presente in "The Spider" va subito al dunque e glissa sullo squallido quotidiano di Peter Parker, lo dà per scontato e si concentra subito sull'istante fatale del cambiamento. Una trasformazione che nel cortometraggio non è una "grazia", ma piuttosto una definitiva condanna. La conferma a essere per sempre un outsider, un escluso, un mostro. L'esatto rovescio del riscatto in tre tappe (acquisizione del potere, trauma formativo e ricerca di redenzione) narrato nel fumetto originale. Stavolta Peter, interpretato da Chandler Riggs, che in "The Walking Dead" è stato Carl Grimes, avrà modo di scoprire le sue nuove capacità in modo meno epico di come ricordavamo, e soprattutto di passare da un momento di entusiasmo a una vertiginosa caduta nel baratro.


Se "Brightburn", il lungometraggio diretto da David Yarovesky nel 2019, portava in scena una versione malvagio di Superman sconfinando nello slasher soprannaturale, "The Spider" di Andy Chen è affine al dramma fantascientifico de "La Mosca" di David Cronenberg per estetica e progressione narrativa. All'eroismo si sostituisce una veloce disumanizzazione in cui parlare di responsabilità (e succede) lascia il tempo che trova. Niente che non potevamo immaginare da soli, in realtà, ma l'esercizio è interessante. Almeno nella forma, considerati anche i mezzi limitati. Forse uno sviluppo maggiore, e un gioco più attento con le icone che si intendono infrangere, potrebbe condurre a una variante horror che lasci veramente il segno. Una riletture cinica, sporca e cattiva dell'archetipo supereroistico. Chissà!


mercoledì 17 aprile 2024

Di Cocomeri e di Covi...

 


Il Covo del Cocomero è un collettivo formatosi nel 2014 a Empoli, nato quasi per gioco come collaborazione tra studenti del Liceo Artistico per evolvere nell'autoproduzione di fumetti, cortometraggi e arti visive in generale. Una ciurma animata da una forza creativa che più spontanea non si può, che fa tesoro di budget limitatissimi e sfida tutti i trend popolari con l'anima naif di chi agisce soprattutto per la pura voglia di fare cose belle. Un underground con gli occhi puliti che nel giro di pochi anni ha firmato più lavori a fumetti.

“Le allucinanti avventure del Professor Biancalani”, simpatica cronaca disegnata dei tic e dei sogni di un reale insegnante conosciuto al liceo. “Rami ancora verso il cielo”, coloratissima avventura esotica e mistica, in cui la natura e la ricerca dell'Io giocano un ruolo surreale nella percezione dell'esistenza e del proprio posto nel grande mosaico della vita. E infine, per ora, “Dannati Cappelloni”, summa della memoria nerd inerente all'epopea del far west, vista attraverso i classici del cinema, del fumetto e il puro mito, i cui archetipi sono distorti dalla lente di un'ironia trasognata, fresca.

Anticommerciale per vocazione, il Covo ci propone uno sguardo libero e selvaggio su quello che è pura passione per l'arte di narrare con le immagini. Per i suoi autori tutto è avventura, ci si muova tra le aule di una scuola come in fitte foreste tropicali o nelle polverose cittadine del vecchio ovest. I loro fumetti sono simili al volto di un adolescente in crescita, a volte macchiato dall'acne, ma palpitante di vita. Auguriamoci che il loro cammino sia ancora lungo e costruttivo, e una volta giunti a maturazione non perdano il cuore che finora ha caratterizzato ogni loro fatica.


https://ilcovodelcocomero.yolasite.com/

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domenica 14 aprile 2024

Artigli verdi per la mia Shuri...

 


La saga veterinaria della mia Shuri non vuole saperne di concludersi.

Sembra ormai sicuro, anche perché non si trova nessun altra spiegazione. La povera micia ha una sorta di allergia stagionale che si manifesta con la primavera causandole pruriti che la inducono a grattarsi fino a generare delle vere piaghe. Si comincia con piccole lesioni autoprodotte, praticamente invisibili, ma che producono un siero trasparente e quindi dei grumi nel pelo. Segue l'eliminazione dei nodi con gli artigli, strappando lembi di tessuto e originando ferite sanguinanti che graffio dopo graffio tendono a non guarire più fino a trasformarsi in ulcere.

Già l'anno scorso, la piccola ha subito un intervento plastico volto a escindere la piaga. Ora si ricomincia. Stesso periodo, stessa musica. Una vera soluzione ancora non si trova.

Le iniezioni di cortisone non avevano sortito nulla. Shuri rifiuta qualunque tipo di farmaco per via orale. Impossibile anche solo provare a curarla mischiando medicine al cibo, che peraltro costano l'ira di dio. Quel poco che ha accettato di mandare giù non ha fatto effetto.

E allora che si fa?

Si può solo tentare di impedirle fisicamente di ferirsi. Il colletto gonfiabile stavolta non è bastato. Non solo la ferita è più bassa sulla schiena, e pertanto la micia arriva comodamente a perpetuarla con gli artigli, ma il collarino le ha causato anche un'irritazione intorno al collo. Pare infatti che in questa stagione la sue epidermide diventi particolarmente delicata.

Insomma, un incubo senza via d'uscita.

Il veterinario, contrarissimo a spuntare gli artigli ai piccoli felini, ha suggerito dunque una bizzarria di cui non conoscevo l'esistenza. Unghie finte per gatti in silicone, di colore vario. Nella confezione ce ne sono persino glitterate. Pare che siano state create per gioco, a scopo "estetico" e siano anche state al centro di dibattiti animalisti. Tuttavia sono in commercio. Praticamente delle guaine in cui incapsulare gli artigli grazie a un adesivo naturale che dovrebbe dissolversi da solo nel giro di circa un mesetto.

La prima prova è stava un fallimento. Shuri, di norma così docile, si è trasformata in Black Panther, e ha tentato di uccidere il suo medico quando ha provato a metterle le "scarpine".

Allora... sedazione. Una cosa leggera, dice il dottore, di appena venti minuti. Le fa l'iniziezione, ma niente. Lei non si addormenta.

Ricordo ancora quando ho dovuto portarla di corsa in clinica veterinaria dopo che aveva ingerito un ciclamino, fiore per lei tossico. Prima di procedere con la lavanda gastrica, in quell'occasione, provarono prima a somministrale un emetico per farla vomitare. Anzi, due emetici. Due tipologie diverse, una più potente dell'altra.

Nulla. Non ha voluto saperne di rimettere e si è dovuti procedere con i metodi più estremi.

Anche stavolta, la micia non rispondeva al farmaco. Anestetizzata, non si addormentava.

Il veterinario era cereo in faccia.
«Ora le faccio un prelievo e vendo il suo sangue alla scienza!»
Testuali parole di chi non aveva mai visto niente di simile.
Shuri non è un gatto normale, è una mutante. Magari si rigenerasse da sola. No, è fragile, ma resiste alle cure.

Allora l'addormentiamo col gas, che stavolta fa effetto. Io propongo di scommettere su due tavoli. Una volta che è addormentata, facciamole indossare un body protettivo, di quelli che gli si mettono addosso dopo gli interventi chirurgici per non fargli toccare le ferite. Io ho passato la notte a cucire sul dorso del cappottino, fatto di tessuto leggerissimo, una tasca di jeans in modo da rinforzarlo e impedirle di lacerarlo subito con gli artigli. Il veterinario acconsente e le fa il servizio completo. Vestitino e unghiette finte. Colorate, ma glitterate no, per favore, chiedo io. Quelle magari un'altra volta, quando la porterò con me al Pride. Ok, facciamo verde speranza, pregando San Francesco d'Assisi o chi per lui che almeno una delle cose funzioni.

Shuri esce dall'ambulatorio con indosso il piagiamino rinforzato e le unghie delle zampe posteriori calzate di silicone. Il veterinario mi avvisa che non appena si riprenderà potrebbe mettersi a fare come una pazza e provare a togliersi tutto. Sono preparato al peggio.

Un'ora dopo, a casa, la vedo sgusciare fuori dalla tutina con la disinvoltura di un Harry Houdini dei gatti.

Niente, il body ha fallito. Restano le unghiette verdi che dovrebbero durare un po'. Si spera abbastanza affinché la ferita sulla schiena guarisca.

Finora le sta tollerando abbastanza bene. Non si è neanche indispettita più di tanto. Ma chi sa quanto durerà? Io ho esaurito le risorse e non saprei più come aiutarla. Posso solo intrecciare anche le dita dei piedi e pregare che questo periodo passi in fretta. Tenendo presente che il problema si ripresenterà ogni anno.

Comunque... non so chi abbia inventato queste unghie finte per gatti a scopo "estetico", ma era sicuramente un cretino.


Sono orribili.