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domenica 23 giugno 2013

Palermo Pride 2013

 


E mentre ancora si stanno posando coriandoli e palloncini... qualche brevissimo commento a caldo. Ieri si è svolto il Pride Nazionale nella città di Palermo. Una città che – pur avendo dato i natali all'associazione Arcigay e contando numerosi personaggi e capitoli rilevanti nella storia del movimento per i diritti omosessuali in Italia – era rimasta congelata in una bolla (in realtà tipica di certe resistenze del Sud) per decenni, impermeabile a una manifestazione tanto discussa quanto – soprattutto oggi – necessaria. Necessaria perché il Pride è un esercizio di democrazia, una piazza dove ogni diversità è accolta. Necessaria in quanto scuola di tolleranza e non palcoscenico di scandalo come pensano alcuni. Indispensabile come appuntamento politico in un movimento che conosce anche i suoi punti di contrasto, ma che sotto le bandiere di una festa (nata per ricordare un primo, coraggioso atto di resistenza) finiscono col riunirsi. Da quattro anni, la catena invisibile si è spezzata e il Pride si svolge a Palermo come in tante altre città d'Italia. Il tempo in cui pensavamo che il capoluogo siciliano non fosse maturo per queste esperienze ce lo siamo lasciato alle spalle. Certo, la perfezione per quanto auspicabile non esiste, e le polemiche non sono mancate. Ma non parliamo di miracoli, bensì di un evento gioioso in grado di essere catartico e incoraggiante per molti, giovani e meno giovani. E questo a prescindere dai vari spiriti con i quali è vissuto. Perché il Pride è dimostrazione vivente... un quadro vivente e in movimento... della convivenza delle differenze e del loro peso sul sociale.

A Palermo abbiamo avuto anche un Family Day, confortato – pare – da pochissime adesioni. La tristezza emerge dalle dichiarazioni che ci raggiungono attraverso la rete, e dalle parole insensate che ancora oggi non riconoscono l'evidenza della loro stessa pochezza. «Precisiamo che la nostra manifestazione non intende assolutamente essere in contrapposizione con il Pride...» ci sentiamo dire... Dopodiché ha inizio la consueta e banalissima litania. Cioè... la Natura... quel paradiso dove le creature per sopravvivere si mangiano a vicenda, quel groviglio di amoralità, zeppo di bellezza come di caos e di orrore. Eppure idolatrata in modo ottuso. Sì, perché la Famiglia Naturale è composta da Uomo e Donna (sorvolando sul fatto che la monogamia è un evento culturale e non certo naturale). La Natura non si può violare... Insomma, tale e quale che dire: «Io non sono razzista... solo non mi piacciono i negri!» Contenti loro di apparire così. Gonfino il petto e buon pro gli faccia.
Oggi, l'omofobia porta la maschera. Si trucca quanto e più delle drag queen, e per esprimere il proprio odio si traveste da benaltrismo. Nella fattispecie: la gente perde il lavoro! E tu approvi questa pagliacciata del Pride?! Di tali commenti balza agli occhi l'assoluta incapacità di informarsi... o se preferiamo... la volontà di vedere e comprendere. Come se il Pride palermitano (pur con tutti i suoi difetti e gli aspetti criticabili) non si sia sforzato sin dall'inizio di essere un Pride politico e fare sue le battaglie di altre categorie: in primis quelle dei lavoratori. Ma con certe persone non può esistere dialogo. Si esprimono solo per slogan e sono incapaci di elaborare veramente un pensiero articolato. 


Ad ogni modo... un bellissimo Pride nazionale. E un benvenuto agli Orsi Siculi, finalmente visibili con il loro striscione e le loro pittoresche, simpaticissime presenze. Un'affluenza veramente notevole, tanto che muovendoci nella folla ci siamo accorti di non aver incrociato, quest'anno, persone in cui di solito ci troviamo gomito a gomito, e che sono pure appariscenti. Non perché non ci fossero, ma perché la densità delle partecipazioni rendeva tutto molto più ricco e vario. Anche l'asterisco (che abborriamo per motivi estetici e semiotici) era quasi invisibile. Annegato in un oceano di simboli e di identità differenti. Come è giusto che sia.
Viva il Pride! Viva noi tutti e tutte!































giovedì 21 giugno 2007

Dopo il Pride: la dichiarazione del vescovo di Imola


Ogni giorno ci tocca sentire sciocchezze inaudite, insulti e discorsi ai limiti del delirio. A qualcuno la sola idea dell’omosessualità fa questo effetto. Come un potente allucinogeno, allontana l’individuo dalla realtà e ne offusca la capacità di giudizio. Sarà la paura, forse, o l’ignoranza, o la narcisistica convinzione di appartenere all'unico modello di vita plausibile. La conseguenza è comunque la cecità, e la lingua produce affermazioni che sconfinano nel ridicolo. Nessuno si sorprende, dunque, se, una volta concluso il Gay Pride la scorsa settimana, le dichiarazioni demenziali hanno ripreso a fioccare. Nella fattispecie, parliamo di una dichiarazione del 
vescovo di Imola, il quale – tra le altre cose – afferma: “Al gay pride hanno partecipato certamente dei giovani, ma non erano il futuro dell’Italia, perché non avevano bambini. Hanno occupato la piazza oggi, ma non l’occuperanno domani, perché non avranno un domani.”

Torna, quindi, il concetto (da alcuni ritenuto a torto vincente) che l’omosessuale non è pari all’etero in quanto non può riprodursi.
E’ quantomeno curioso notare che l’argomento esce dalla bocca di un portavoce della chiesa cattolica, che come ben sappiamo impone ai suoi ministri l’astinenza, e di conseguenza l’impossibilità a riprodursi.
Quello che al vescovo di Imola sfugge, è che l’omosessualità è sempre esistita, fin da quando il mondo gira. A voler scegliere un’epoca (ma potremmo anche andare più indietro), i gay camminavano sotto il sole già al tempo dell’antica Grecia. A dispetto di tutto e di una storia travagliata (comprese le persecuzioni dell’Inquisizione e del nazifascismo), gli omosessuali continuano a esistere. Il successo del recente Pride non sembra indicare affatto che rispetto ai tempi di Socrate ci siano apprezzabili sintomi di estinzione.
Inoltre (e la cosa fa un po’ ridere) non possiamo fare a meno di ricordare il costante lamento degli ambienti ecclesiastici per la feroce crisi delle vocazioni religiose negli ultimi decenni, dato confermato dalle più recenti statistiche. In molte omelie, la frase sconsolata che si ascolta è sempre la stessa: “Noi sacerdoti siamo pochi... Sempre meno...”. Sottointeso (ma neanche tanto) il messaggio: Correte a farvi preti, o presto non ne troverete più.
Non è un augurio, non è una minaccia. E’ solo una riflessione, caro Monsignore.
Per essere creature senza domani, che non si riproducono, sembra che ce la caviamo meglio di voi.
E per questo aggiungo... Alleluja.