Un misterioso contagio, identificato come influenza aviaria, ha falciato 23 milioni di persone nei soli Stati Uniti, modificando l’assetto istituzionale del paese e sprofondando l’America in un nuovo proibizionismo. Il consumo di pollo, e di conseguenza la sua vendita, è severamente vietato. Questo fa del pollame un alimento prezioso sul quale è sorto un agguerrito mercato nero. A occuparsene è una nuova divisione della polizia statunitense, la Food and Drug Administration, chiamata a vigilare, tra le altre cose, sulla circolazione di cibi che potrebbero mettere in pericolo la sicurezza nazionale. Qualcuno, però, dubita della buona fede del governo americano, e sospetta che l’epidemia di aviaria sia solo un’impostura dietro alla quale si cela una cospirazione politica dalle finalità oscure. In questo scenario, si muove l’agente asiatico Tony Chu, individuo dotato di un talento fuori del comune. Un dono che rappresenta una variante della più nota psicometria, la facoltà paranormale che permette al sensitivo di acquisire informazioni sulle persone semplicemente tenendo in mano un oggetto che gli è appartenuto. Solo che a Tony Chu questo succede... mangiando. Ogni cibo che ingerisce gli rivela la propria storia. Pertanto masticare un hamburger gli fa assaporare gli ultimi istanti dell’animale al mattatoio e ogni raccapricciante dettaglio della macellazione. Lo stesso gli succede con frutta e verdure, mordendo i quali è in grado di identificare i fertilizzanti usati, la pianta che li ha prodotti e quanti cani ci hanno urinato contro. Il suo potere lo porta ad avere un rapporto conflittuale col cibo e a nutrirsi prevalentemente degli alimenti più neutri, come le barbabietole. La strana dote di Chu è definita con il neologismo “cibopatia”, facoltà rarissima di cui esistono solo tre casi documentati al mondo. La Food and Drug Administration troverà in Tony una preziosa risorsa, e non ci vorrà molto prima che il giovane agente sia costretto a cibarsi anche di resti umani per ricostruire importanti indizi che conducano all’assassino.
Vale davvero la pena assaggiare
Chew, serie di John Layman e Rob Guillory che debutta in Italia grazie alla giovane Bao Publishing con un primo volume intitolato
Menù – Degustazione. Un menù ricco di portate
invitanti, ma soprattutto sorprendente e in grado di offrire spunti di intrattenimento a palati eterogenei. Non è facile definire il genere di Chew e isolarne i singoli ingredienti. Abbiamo senza dubbio il racconto noir, ambientato in un’America distopica che sta rivivendo le tensioni sociali di un cupo passato. Abbiamo il mistery, con una sfilza di cadaveri, corporazioni criminali ed enigmi da risolvere. Una commedia nera che sconfina spesso nell’horror, tenendo un piede sempre ben piantato sulla sponda del grottesco.
Il fumetto moderno, negli ultimi decenni, ha subito la medesima sindrome di certo teatro avanguardista, e ha portato in scena, sulle sue pagine, una quantità di provocazioni più o meno gratuite e tentativi, spesso goffi, di trasgredire ad ogni costo. Principali vivande del menù, anche nelle produzioni mainstream, sono state il turpiloquio generoso, una crescente rappresentazione della violenza, qualche concessione al sesso esplicito e un presunto superamento dell’etica. Una ricetta che si è presto cristallizzata in un trend commerciale stantio, sfornando serie a fumetti dai sapori sovrapponibili e una nuova, stucchevole forma di omologazione.
Il grand guignol di carta allestito da Layman e Guillory riesce, invece, a sferrare un pugno
allo stomaco del lettore con una provocazione dall’aroma diverso. Più raffinata e insieme perversa. E centra il bersaglio proprio
perché la trasgressione scelta, cioè la profanazione delle pratiche alimentari, non è fine a se stessa, ma fondante di un intreccio narrativo solidissimo, che fa di
Chew uno dei fumetti più originali e divertenti di questa stagione. Il cannibalismo ha solo il ruolo di spezia in una pietanza già di per sé sapida, che prende il lettore per la gola e a ogni boccone lo sfida a cercare il gusto di un componente diverso. Quasi un duello con il protagonista, ancora confuso dalla scoperta dei suoi strambi poteri, per individuare nuove trame, sviluppi imprevisti e strepitose caratterizzazioni. Qualcosa di simile, come argomento disturbante dal potenziale avventuroso, lo avevamo intravisto nella serie
The Exterminators, della Vertigo. Ma
Chew riesce ad andare oltre, creando un proprio universo narrativo e proponendo un’impronta stilistica leggera quanto efficace. L’effetto splatter abbonda nello spettacolo disegnato da Rob Guillory che strizza l’occhio ai cartoons e flirta con il pulp dando vita a una ciurma di personaggi dal carisma non indifferente. Tony Chu è un asiatico americano distante dalle tipizzazioni cui ci hanno abituato la maggior parte delle produzioni occidentali. Un ometto minuto dall’espressività eloquente, costantemente in bilico tra comicità e piglio eroico. Suo fratello Chow Chu, ex chef televisivo caduto in disgrazia a causa delle sue idee sovversive, è una figura nervosa e patetica che nasconde più di quanto dà a intendere. Solare è la presenza di Amelia, presto donna dei sogni dell’eroe e incarnazione dell’eterno femminino in un mondo dove il senso del gusto detta legge. Tra le più gustose è la caratterizzazione di Mason Savoy, il collega anziano di Tony e secondo “cibopatico” certificato (il terzo è avvolto dal mistero). Un omone immenso con l’agilità di un ninja, modellato sulla fisionomia di Orson Welles. Mentore e angelo custode del protagonista, con cui condivide le particolari facoltà alimentari, Mason è un comprimario che buca letteralmente la pagina minacciando, in più di un’occasione, di rubare la scena all’attore principale.
La caratterizzazione grafica, tutta sopra le righe, dell’intero cast è uno stuzzichino che spiazza il lettore con la sua leggerezza prima che gli venga servita una trama nerissima, cucinata da una mente sardonica che si rifiuta di rivelare gli ingredienti usati finché non è stata mandata giù l’ultima forchettata. John Layman (
Marvel Zombies vs. The Army of Darkness) si dimostra a proprio agio nei territori del fantanoir e dà vita a un prodotto divertentissimo, sfruttando tecniche di narrazione inconsuete per il fumetto seriale (esemplare, in questo primo ciclo, il modo in cui viene introdotto il villain della saga). Se il vezzo di presentare i personaggi attraverso schede didascaliche può, all’inizio, risultare fastidioso, se ne accetta presto il ruolo di tormentone in un teatrino malato dove i dialoghi sono curati e ogni episodio nasconde un tessuto connettivo che legherà ciascun capitolo in un’unica narrazione coerente. Sorvolando su alcuni elementi indigesti (come le patologie che dovrebbero insorgere cibandosi di materiale organico putrefatto),
Chew è una lettura insolita nell’attuale panorama del fumetto statunitense, in grado di divertire e sorprendere. Un primo piatto che, per quanto disgustoso, stimola l’appetito e induce ad attendere con ansia la prossima ripugnante portata.