lunedì 12 febbraio 2024

Se volessi parlare un po'...

 


Io sono fatto così.

Ci sono periodi in cui sono preso da una logorrea bulimica. Non solo parlo tanto (...anche da solo), ma scrivo. Scrivo forse più di quanto abbia da dire. Fa parte delle mie neurodivergenze, perciò... stacce.

Poi ce ne sono altri, in cui mi zittisco. Resto muto, non interagisco e smetto pure di scrivere. Quasi una forma di afasia selettiva. Ma se non altro, raramente smetto di leggere.

Tra la fine dell'anno scorso e l'inizio di quello in corso, in effetti, ho divorato un bel po' di libri. Letto finalmente Capolinea Malausséne di Daniel Pennac, ultima (si direbbe) tappa della saga familiare che ha fatto conoscere al mondo lo scrittore francese. Recuperato (ebbene sì) Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda. Classico la cui lettura avevo rimandato per buona parte della vita. Qualcosa che è più di una semplice immersione letteraria. Un'esperienza, che andava fatta. Dopo gli equilibrismi linguistici del grande Carlo Emilio, ho dato spazio al disimpegno più totale, leggendo Festa di morte di Philip J. Farmer, primo tassello di quel mosaico (in larga parte inedito in Italia) che fa incrociare le strade di celebri eroi della narrativa popolare. Nella fattispecie Tarzan (mai così selvaggio, violento, animalesco e sessuale) e Doc Savage, uno dei principali archetipi del supereroe nato nella narrativa pulp, anch'egli spogliato da ogni velo morale. Ho assaporato l'angoscia sublime (e in buona parte incompresa) trasmessa da John Ajvide Lindqvist nel suo L'estate dei morti viventi, di cui presto uscirà il film, e mi sono rifatto il palato con il divertentissimo Guida al trattamento dei vampiri per casalinghe di Grady Hendrix, sempre più vicino a essere incoronato come lo Stephen King delle nuove generazioni. Dunque ho fatto conoscenza con il fantasy nostrano di Francesco Dimitri e il suo Alice nel paese della vaporità, per poi tornare a trovare il mio amico Haruki Murakami tra le pagine de Nel segno della pecora, romanzo giovanile forse meno incisivo dei lavori successivi, ma dove il suo caratteristico cocktail di facilità narrativa e surrealismo è comunque straniante.

Una droga per me. La lettura, intendo.


E i fumetti?

Ammetto di averli trascurati un po' ultimamente. Ad ogni modo, mentre soggiornavo a Pisa, ho letto Tristerio e Vanglorio, fumetto satirico fantasy di Francesco Catelani e Federico Fabbri. Lettura quanto mai doverosa, considerato che ero ospite a casa di uno dei due autori, ma anche perché si tratta di un fumetto italiano di quelli che non si trovano facilmente e una piacevolissima sorpresa. Un universo fantasy dalla mitologia... Pardon, oggi si dice “lore”... assolutamente peculiare. Ricamato sul modello dell'epica cavalleresca, ma ricco di anacronismi e trovate visionarie, in cui le peripezie dello sgangherato eroe Tristerio e del suo anonimo scudierio si intrecciano con le leggende che hanno per protagonista Vanglorio, superbo cavaliere senza paura e con qualche macchia, le cui gesta hanno messo radici nella memoria collettiva del suo mondo come un ineguagliabile modello di eroismo. E la Fama, ritratta come fu descritta da Virgilio nell'Eneide: un essere dalle grandi ali, dai mille occhi, bocche e lingue pronte a narrare. Una divinità capricciosa capace di seminare nelle orecchie degli uomini canti di lode come cronache di infamia. In definitiva un mostro, ma nondimeno ambita e corteggiata da un'umanità affamata d'attenzione e di riscatto dalla mediocrità. Un'avventura a fumetti dai toni irriverenti, pregna di simbolismi e critica sociale. Inno agli umili allo sbando in un mondo di merda, che tale rimane a dispetto di sacrifici e altruismo. Fumetto, quello di Catelani e Fabbri, quanto mai cattivo, nerissimo e intelligente, che non si dimentica dopo aver chiuso il libro, ma che lascia una sardonica sensazione di disagio.

Le letture, in fondo, servono a questo. A scuoterci, indurci a riflettere...

Appunto.

Questo è un blog, un diario di bordo in rete. Un posto in cui vengo a pensare per iscritto. E non è immune al mio periodico blocco. Posso scriverci sopra tanto, anche fesserie. E poi fermarmi, a lungo. E così è stato di recente, una volta di più.

Ormai da anni scrivo per... parlare. Nel senso che ciò che scrivo è progettato per finire in un video su Youtube o in podcast su Anchor (ora acquistato da Spotify). Ed è su questo che nelle ultime settimane mi sto trovando a rimuginare. Mi sento sempre più tentato dal linguaggio del podcast, dalla voce senza corpo, dalle parole e dai suoni che bastano a sé stessi. Tante volte mi son sentito dire che i miei video sono ascoltati più che guardati. Una vera stoccata per il sottoscritto, che spende ore a confezionare la parte grafica sforzandosi di dare al proprio prodotto un look riconoscibile. Non che per realizzare un podcast sia tutto in discesa. C'è comunque un copione da scrivere, da leggere, le voci nella mia testa che tento di replicare, le musiche scelte in base al tono del discorso e i mille effetti sonori. Che posso farci? Tutto è iniziato dalla mia passione per il teatro. Le prime cose che scrissi da ragazzo erano commedie. Facevo impazzire i miei coetanei coinvolgendoli in improbabili compagnie teatrali e dirigevo da solo spettacoli amatoriali in cui spesso mi sentivo dare del regista tiranno. Colpa del mio perfezionismo, fallace ma ostinato. Tutte cose che ancora oggi mi porto dietro qualunque cosa faccia.

Ma perché questo discorso? Considerato anche che questo blog, tra le mie attività in rete, è sicuramente il palcoscenico meno seguito. Non me lo scordo, eh! In passato ho scritto per anni su riviste elettroniche. Sempre parlando di fumetti. E non ricevevo manco un commento. Ma proprio zero. Nisba. Pacche sulle spalle dagli addetti ai lavori, quelle sì. Ma nessuna interazione con il pubblico. Poi arrivò il grande tubo, la chiusura della libreria Altroquando e la mia definitiva trasmigrazione da “articolista” in “creator”, qualunque cosa questo significhi. Giusto per sentirmi dire che risultavo uno scrittore cui s'era rotta la tastiera, e che su youtube mi stavo svendendo.

Ma si può?!

Che devo dire? A te. Proprio te che mi stai leggendo?

Bravo, brava, bravə. E grazie. Considerato che oggi comunicare scrivendo è diventato veramente difficile se il tuo nome non è urlato dagli algoritmi in home page blasonate.

E i podcast?

Sono un mondo strano, in espansione nel nostro paese e amatissimo all'estero. In realtà non dissimili da certe esperienze radiofoniche, ma progettati per essere disponibili in qualunque momento e su qualsiasi supporto. Insomma, qualcosa di comodo. Un codice che (ci risiamo!) si presta a integrare scrittura, idee, narrazione e... teatro.

Non si scappa, ritorno sempre lì.

Quello che faccio io, dopotutto, è questo. Un teatro di narrazione che ha scelto il fumetto come spunto di partenza, ma che si basa su affabulazione e divagazione. Qualcuno potrebbe scegliere di chiamarla “divulgazione”. Beh, ci sta. Più che altro lo spero.

Allora, se questo è un blog, un diario, blablabla... perché non dovrei usarlo come tale? Scrivere a ruota libera (come sto facendo) per inseguire idee e condividere la confusione che ho in testa.

Caos con cui ora sto ammorbando te che mi leggi... ammesso che tu ci sia ancora.

Qual è il problema?

Io lo chiamo... l'ingorgo. Una situazione di stallo in cui ciclicamente mi ritrovo impantanato.

Vorrei tanto andare avanti, ma non so che direzione prendere. Nella produzione in rete, intendo. In genere preparo una scaletta, un carnet di argomenti e progetti... che consulto, affronto e depenno un po' alla volta. Ma le cose non vanno sempre lisce.

E' come avere tante voci nella testa che parlano contemporaneamente. Tanti spunti, tanti argomenti che ti si offrono e ti dicono: prendimi! Normale che subentri una certa ansia da prestazione. In poche parole... l'esubero di pensieri, di temi e di propositi, anziché foraggiare il mio lavoro finisce col produrre un blocco. Un ingorgo, appunto, nel quale mi sento intrappolato.

Questo blog è una sorta di spia rossa del mio umore, dello stato di salute della mia creatività. E' devastante, per me, contare quanti coccodrilli ho scritto nell'ultimo anno. Artisti che ci hanno lasciato cui ho voluto dedicare almeno un breve pensiero. E poco altro. O nulla.


La recente scomparsa di Alfredo Castelli, poi, mi ha colpito in modo particolarmente violento. Non ho mai avuto il piacere di incontrarlo, ma per me era come un vecchio zio che c'era sempre stato. Da bambino ero rimasto affascinato dalle storie dell'Ombra negli inserti (i cosiddetti Albi Avventura) del Corriere dei Ragazzi. Avevo seguito con piacere le imprese degli Aristocratici e i contrappunti surreali dell'Omino Bufo. E la rivista Tilt, le adorate strisce di Zio Boris... fino a Martin Mystère, letto per la prima volta mentre svolgevo il servizio civile come forestale nei boschi della Calabria.

Alfredo Castelli, con la sua prolificità di narratore, la sua competenza storica e l'allegria che gli permetteva di disegnare e incidere nella memoria pur essendo fuori da ogni canone tecnico, era come un punto fermo, un irraggiungibile modello di creatività vulcanica, e sapere che non c'è più mi addolora profondamente. Mi fa sentire vecchio e mi mette davanti alla povertà di quanto sono riuscito a produrre nel corso della mia esistenza. Lutto, insomma, per una persona che ho conosciuto solo attraverso le sue opere e la costante presenza sulla scena del fumetto.

A pensarci bene, credo che non mi capitasse da tanto di scrivere sul blog con questo tono. Da vero e proprio diario, insomma. Diciamocelo, i blog sono prevalentemente dei magazine dove troviamo raccolte recensioni di cinema, di libri, di altro... o comunque dissertazioni su argomenti specifici, in genere firmati da appassionati se non da chi è professionalmente attivo in determinati settori.

Io stesso, in passato (probabilmente anche in futuro) mi sono dedicato alle recensioni. Ogni tanto piazzando qualche racconto qua e là (madonna, da quanto non ne scrivo?!) e supportando i miei impegni altrove, soprattutto sul grande tubo.

Ma Cronache da un Altroquando, come ha preso a chiamarsi in anni più recenti, nasceva come blog a supporto della nostra libreria. Per la funzione di comunicare con la clientela, parlare della nostra attività, presentare i nuovi arrivi e i nostri progetti culturali. A suo modo un diario del capitano al comando di una bagnarola alla deriva in un mare non sempre amichevole.

Perché oggi dovrebbe essere diverso?

Se mi stai leggendo, prendilo come uno sfogo. Il tentativo di fare il punto. Perdonami. Ho l'ingorgo in testa. Tutte le vetture intorno a me stanno strombazzando, immobili e frustrate. Il livello di smog sale, e le mie cellule grigie friggono come uova in padella.

Non so cosa voglio, questo è il problema. Da giovanissimo credevo di volere dedicare la mia vita al teatro, alla scrittura e alla recitazione. Poi al giornalismo, alla cronaca e al servizio dell'informazione. Infine ho preso a lavorare in libreria, circondato prima da libri di narrativa, poesia e saggistica. Quindi fumetti, fumetti e ancora fumetti.

Fumetti... che sono stati sempre nella mia vita, cadenzandola come un leitmotiv wagneriano. In qualche caso in modo giocoso, in altre in termini quasi tragici.

«Un tram che si chiama Desiderio è un dramma che ha influenzato tutta la mia vita!» diceva la protagonista di Tutto su mia madre di Pedro Almodovar. Per me sono stati i fumetti. Via di fuga durante l'infanzia e la prima adolescenza, oggetto di riscoperta e passepartout culturale nell'età matura e quindi oggetto di lavoro (prima) e zattera di salvataggio (dopo).

E cosa posso fare se non rimanere aggrappato alla zattera? Prima o poi l'ingorgo dovrà iniziare a sciogliersi, il traffico a fluire, e io finirò da qualche parte. Dove non so... ma un posto ci sarà.

Scusa se ti ho coinvolto in questo delirio. Sono un soggetto complicato. E tutto sommato, mi andava di scrivere, di parlare... anche di nulla.

O di tutto, non lo so. Ma spero che ci risentiremo presto.



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