The Sandman, la serie Netflix che adatta il celebrato fumetto di Neil Gaiman, sta ricevendo una pioggia di consensi di critica e di pubblico. Non che manchino le voci discordanti, ma l'accoglienza generale è molto positiva. C'è chi lo definisce un piccolo miracolo, considerato che l'opera di Gaiman è complessa, stratificata e difficile da trasporre. Quasi impossibile secondo alcuni.
Il progetto era molto atteso. I pregiudizi tanti, per via delle ragioni già menzionate. Una notizia rassicurante avrebbe potuto essere la presenza dello stesso Neil Gaiman tra gli sceneggiatori della serie, affidata anche alla penna di David S. Goyer (che tanto ha lavorato, nel bene e nel male, a versioni in live action di fumetti amatissimi) e di Allan Heinberg, autore televisivo dal curriculum denso di successi. I mezzi c'erano, il cast annunciato non sembrava neanche male. Eppure persisteva quel timore reverenziale di fondo. Quel disagio che assale quando qualcuno si propone di mettere mano a una narrazione per noi sacra.
Sì, perché Sandman di Neil Gaiman non è un fumetto qualunque.
Si tratta di una saga monumentale che usa il linguaggio disegnato per produrre poesia, ed è in grado di accendere nel lettore una fame onnivora di altre storie, curiosità, voglia di arte a mai finire.
Così almeno, a suo tempo, fu per me. Mi accostai alla lettura di Sandman al suo primo apparire in Italia, pubblicato a puntate sulle riviste antologiche edite dalla Comic Art. Stavo attraversando una fase particolare, se vogliamo... di crescita. Non leggevo un fumetto da molti anni. Pur avendone divorati a tonnellate nella prima giovinezza, certe influenze sociali mi aveva spinto ad allontanarmene e a dedicarmi a letture ritenute più “nobili”. Avevo comunque scoperto che esistono tanti libri (nel senso di opere in prosa) il cui spirito può rivelarsi più fumettistico dei fumetti stessi, e i miei studi di sociologia mi avevano portato a esaminare il fenomeno editoriale di Dylan Dog, scrivendo persino un piccolo saggio che fu argomento di discussione a un esame. Insomma, i fumetti stavano tornando prepotentemente a far parte della mia vita adulta, e stavo cercando qualcosa capace di incuriosirmi in modo particolare.
La presenza in copertina del nome di Swamp Thing, da me appena incontrato nel film omonimo di Wes Craven, mi spinse ad acquistare quell'albo antologico, interamente dedicato a fumetti a tema soprannaturale e orrorifico. Il mio primo incontro con Morfeo fu uno shock culturale. Se si amano le storie e la lettura, Sandman non può lasciare indifferenti. Se sei sensibile a certi temi, l'opera di Neil Gaiman può cambiarti la vita. Come tutti i capolavori, del resto.
Ma stavamo parlando della serie Netflix...
Vediamo di tagliare corto. Mi è piaciuta, sì o no?
Ormai ho un'età. Ho visto e letto tanto. La mia vita è stata influenzata dai fumetti in modo profondo. Nel lavoro, negli affetti, negli interessi. Ho dedicato a essi gran parte del mio tempo, e ho persino scritto un libro che parla del rapporto tra il cinema e la nona arte attraverso la storia, tenendo conto delle trasformazioni culturali e della mutevole percezione del pubblico. Per questo, oggi, il mio atteggiamento tende a essere più che altro scientifico quando mi accosto all'adattamento audiovisivo di un fumetto. Entusiasmo o delusione, nel mio caso, si manifestano in modo smorzato. Di prodotti del genere ne ho visti veramente tanti, e ne ho parlato anche di più. La mia risposta emotiva ormai è distaccata, simile a quella di un medico che valuta le condizioni generali e la qualità di vita di un paziente.
Però... stavolta parliamo di Sandman. Non un fumetto come un altro, ma qualcosa che è diventato parte di me, influenzandomi sotto molti aspetti. Proprio per questo esprimersi è così difficile. E mi raccomando: tenete conto che per entrare nel merito della serie, dovrò necessariamente fare degli spoiler consistenti.
Ok, allora cominciamo dalle cose che NON mi sono piaciute.
Per prima cosa, non ho apprezzato lo spiegone iniziale. Avrei voluto che tutto fosse più enigmatico, che la storia entrasse nel vivo con piccoli passi rivelatori. Avrei lasciato - come nel fumetto - che il punto di vista della prima parte del racconto fosse quello dello stregone Roderick Burgess e di suo figlio Alex. Dare immediatamente voce a Morfeo e al suo ruolo nell'universo svela subito troppe carte fondamentali, e compromette in parte il ritmo del primo episodio. Avrei gradito una maggiore ambiguità, e che la questione inerente l'epidemia di encefalite letargica negli anni '20 del secolo scorso fosse suggerita per mezzo delle immagini o dei commenti dei media del tempo. Non provo mai simpatia per le voci off che mi spiegano quanto sto guardando. Troppe informazioni esplicite. Troppa materia premasticata per essere data in pasto a un pubblico che si suppone non capirà da solo il parallelismo allegorico tra evento soprannaturale e cronaca storica. Uno spreco per quello che avrebbe potuto essere un inizio più suggestivo. Anzi, che è il suggestivo inizio del Sandman di Neil Gaiman.
Altri aspetti che non ho apprezzato a pieno riguardano certe scelte di regia. La condanna dell'ormai ottantenne Alex Burgess all'eterno risveglio è troppo confusa. Nel fumetto, Morfeo imprigiona Alex in una catena infinita di incubi dai quali si illude di risvegliarsi solo per ritrovarsi intrappolato in un nuovo orrore. Una dinamica angosciosa che l'adattamento in live action liquida in modo frettoloso, rinunciando a una costruzione a matrioska che avrebbe dovuto essere epica quanto inquietante.
Veniamo, infine, a Fun Land, il serial killer obeso molestatore di bambini che incrocia la strada di Rose Walker e suo fratello Jed. Quando, nella serie Netflix, il Corizio lo ha pugnalato uccidendolo, sono sobbalzato sulla sedia. Non perché fossi stato colpito dal twist, ma perché vedevo svanire la possibilità di adattare una delle scene più belle e poetiche scritte da Gaiman. Nel fumetto, infatti, l'omone assassino non muore, ma è sprofondato da Morfeo in un sogno consolatorio dove le sue piccole vittime tornano in vita e lo perdonano per giocare con lui in uno scenario spensierato. Parentesi pietosa, in cui è suggerita la solitudine e il vuoto affettivo che hanno generato il mostro uccisore di bambini, a sua volta una creatura tragica.
E poi?
Niente. Le cose che non mi sono piaciute sono tutte qui.
Se qualcuno ritiene potessero – o dovessero – essere di più, si faccia pure avanti.
Sarebbe semplice dire che, al netto di alcune riserve estetiche, l'adattamento Netflix di Sandman è bello e fedele alla sua fonte a fumetti. Così come sarebbe pedante, e altrettanto inutile, fargli le pulci per scovare tutto quello che non va (e probabilmente, ne troveremmo di roba). Il punto è che The Sandman, la serie Netflix, è interessante perché già lo è il fumetto di Neil Gaiman. La fedeltà è senz'altro il merito principale di questa produzione, consapevole di trovarsi davanti a un'opera che funziona grazie alla sua narrazione a orologeria, ai suoi personaggi e le mille invenzioni poetiche. Modificare la trama di Sandman sarebbe stato come mischiare della Coca-Cola a un vino pregiato, e i necessari adattamenti, le inevitabili discrepanze, o anche qualche piccola variazione creativa, è subordinata a una trama che mantiene salde le sue radici nell'opera cartacea.
Lo dirò per l'ennesima volta. Sono pochissime le opere che adattate per lo schermo – grande o piccolo – si dimostrano all'altezza o addirittura superiori alla loro fonte. Questo avviene solo quando la statura dell'autore cinematografico supera quella di chi ha scritto l'opera ispiratrice. Un esempio incontestabile è il film Psycho, e l'abisso che c'è tra l'adattamento di Alfred Hitchcock e il romanzo di Robert Bloch da cui è tratto. In altri casi, l'opera letteraria avrà vittoria facile, poiché è raro che la soggettiva danza tra narratore e lettore possa essere eguagliata dalla visione - comunque personale - di sceneggiatori e registi arrivati dopo. Almeno solitamente è così, in assenza di forti personalità artistiche in grado di sfuggire a questa regola.
E The Sandman? Dove si colloca?
Quando ero bambino mi portarono al cinema a vedere una delle tante riedizioni de La carica dei 101, classico Disney che oggi è impossibile non conoscere. Fatto sta che all'epoca, in assenza del film, uscito prima che nascessi, la storia dei dalmata Pongo e Peggy, dei loro padroni, dei loro cuccioli e di Crudelia De Mon, mi era nota solo attraverso l'adattamento a fumetti pubblicato su Topolino. Scoprire al cinema, viva e in movimento, quella storia già conosciuta sulle pagine di un fumetto, provocò un entusiasmo irrefrenabile nel bambino che ero, e ricordo che mentre il film andava avanti sul grande schermo, io sfogliavo l'albetto colorato esclamando felice: «E' proprio così! E' uguale! E' identico!»
Credo di avere manifestato, allora, una reazione infantile che non sempre si estingue con la crescita. Il cinema è percepito da tanti come un'arte adulta, e vedere adattare fedelmente qualcosa che ci piace sulla carta ci fa sentire coccolati, promossi a un livello superiore. Oppure, nel caso inverso, traditi, offesi, sminuiti. E lì parte la furia. Fenomeno cagliato in modo esponenziale nell'era delle grandi comunità di adoratori della cultura pop. The Sandman, la serie Netflix, accarezza quel medesimo punto sensibile ancora presente dentro molti di noi. Il voler riconoscere viva su schermo una storia amata... per amarla ancora. Per amarla anche di più, e poterla forse condividere con chi è arrivato dopo. Magari non sarà in tutto «Uguale! Identico!». Ma quello arrivato su Netflix è comunque Sandman, e non si può negare.
C'è anche chi ha trovato la serie pesante, fedele ma noiosa, priva di reali guizzi spettacolari.
Può darsi che a qualcuno faccia questo effetto, non lo si può assolutamente escludere. Temo, però, che chi si annoia davanti allo show di Netflix sarebbe altrettanto tediato dalla lettura del fumetto di Gaiman. E' una questione di attitudini. Al mondo esistono cose belle che non piacciono a tutti, per quanto possano essere pregevoli. Sandman di Neil Gaiman, dicevo in apertura, non è un fumetto come tutti gli altri. Vive di suggestioni, di immagini surreali e intuizioni liriche. E' un fumetto dalla forte componente letteraria, ma soprattutto rimanda a tanto altro. E' uno scrigno dei miracoli che si propone di esortare alla scoperta di tutte le storie possibili. Insomma, Sandman è una narrazione “intellettuale”, e sappiamo quali reazioni controverse può suscitare questa definizione. Inoltre, chi ha amato la saga di Morfeo sulle pagine disegnate, ha tutto il diritto di sentirsi satollo, e non provare alcuna esigenza di riascoltare la stessa canzone suonata da altri con strumenti diversi.Le varianti introdotte nella serie Netflix (poche in verità) non sono affatto male. Non parlerò dei cambiamenti etnici o di genere di alcuni personaggi. Trovo questa polemica sterile, puerile e fuori dalla realtà. Pare che i diritti sul personaggio di John Constantine, il mago metropolitano già portato al cinema e in televisione da trasposizioni precedenti, siano ancora sotto il controllo della Warner, e pertanto Netflix non potesse usarlo. Non in modo dichiarato, almeno. Ottima, dunque, l'idea di attingere a Lady Johanna Constantine, antenata del mago londinese presente nella saga fumettistica di Gaiman, e trasformare il John del presente in un'altra Johanna, peraltro splendidamente interpretata da Jenna Coleman (amatissima Clara Oswald in Doctor Who). Un altro modo per aggirare i vincoli è stato quello di variare la pronunzia del nome del personaggio, che già a Londra prevede due varianti fonetiche: Constantìn, Constantàin.
Interessante anche l'espansione nella storia del ruolo del Corinzio, l'incubo fuggiasco, qui divenuto un vero e proprio antagonista che influenza più sottotrame. Peccato aver glissato sul potenziale visivo del personaggio e dei suoi occhi dentati. Nel fumetto, le prime sequenze che lo vedono protagonista sono descritte in soggettiva, e in virtù di questo gli effetti dei suoi morsi appaiono più spaventosi. Ciononostante, l'attore Boyd Holbrook (Narcos) rende il villain in modo convincente e a visione conclusa risulta difficile immaginare un interprete diverso.
Il duello d'intelligenza tra Morfeo e Lucifero offre un cambio di prospettiva rispetto alla versione raccontata da Gaiman. Nell'opera a fumetti, il Signore dei Sogni affronta direttamente Choronzon, duca dell'inferno, per poter recuperare l'elmo che gli è stato sottratto. La sceneggiatura della serie Netflix propone che il demone scelga di essere rappresentato da Lucifero in persona. Un espediente per dare più spazio alla performance di Gwendolyne Christie e sveltire le dinamiche di ostilità tra i personaggi che porteranno a ulteriori sviluppi più avanti. Intrigante l'idea di mostrare le tracce fisiche sul corpo dei contendenti che si scontrano verbalmente, identificandosi di volta in volta con animali predatori, calamità e le vittime di questi, in una lotta dialettica che sconfina sul piano materiale.
Si può definire un buon lavoro anche la semplificazione della vicenda di Hippolyta e del suo defunto marito Hector, destinati a concepire nei sogni un bambino che sarà il motore di importanti sviluppi futuri. Infatti, i due personaggi originali avevano una lunga e contorta vicenda editoriale, essendo Hector Hall una delle due incarnazioni precedenti del Sandman della DC Comics, e sua moglie Lyta la supereroina chiamata Fury. Per ragioni pratiche, la loro storia è stata ampiamente riscritta, e va più che bene così. Così come è adattata la vicenda del folle John Dee (David Thewlis nella versione in live action), che nelle storie della Justice League è conosciuto come il supercriminale Doctor Destiny. L'episodio intitolato 24 Hour è tra i più raccapriccianti scritti da Neil Gaiman, basato su un pugno di personaggi comparsa, ognuno fornito di una storia significativa. Lo show lo traspone con intelligenza, senza evitare pugni nello stomaco, ma gestendoli con un apprezzabile senso della misura.
Insomma, The Sandman di Netflix non lavora esattamente in sottrazione, ma devia delicatamente tra le pieghe del racconto, trovando agevoli scorciatoie quando necessario e percorrendo la via maestra per la maggior parte del tempo. A contare è soprattutto la storia, senza che la confezione passi in secondo piano. Ignoro i giudizi che i millenials più avvertiti daranno sulla computer grafica. Sono praticamente cieco di fronte a questi aspetti, e ascolto più che altro il cuore del racconto. La presenza di attori di rilievo come Joely Richardson, Charles Dance e Stephen Fry rappresenta un valore aggiunto da non trascurare e fornisce performance di un certo spessore. Lo stesso protagonista, Tom Sturridge, è un Morfeo vicino alla perfezione, qui probabilmente nel ruolo della sua vita, con un'interpretazione misurata, in cui sfoggia una presenza e un linguaggio del corpo notevoli.
Mi è piaciuta come al bambino che sono stato era piaciuto vedere La carica dei 101 sul grande schermo. Quando la corrispondenza tra linguaggi si fa sentire e conferma le nostre esperienze passate. E' umano, in fondo, che sia così. Ma quello che mi piace di più pensare è che The Sandman di Netflix possa accendere curiosità in chi non ha letto l'opera a fumetti di Neil Gaiman, e spingerli a recuperarla. Sarebbe un peccato se questo non accadesse.
I sogni influenzano la realtà, e le storie non hanno bisogno di essere accadute per essere vere.
Ascoltatele, dunque, queste storie. Leggetele, metabolizzatele, e permettere a The Sandman, in qualunque sua forma, di entrare nei vostri sogni.
Vi piaccia o meno, sono sicuro che ne sarà valsa la pena.
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