venerdì 13 luglio 2018

C'era una volta... il Festino di Altroquando



Con il Festino, la festa patronale di Palermo, ho un rapporto controverso legato a un ricordo difficile. Per molti anni, infatti, l'affollatissima ricorrenza cittadina è coincisa con un'incombenza lavorativa che condizionava l'intera serata. Altroquando era ancora una fumetteria, la prima ad avere aperto a Palermo, che si affacciava sullo storico Cassaro (via Vittorio Emanuele), tragitto principale del grande carro che celebra la santa patrona Rosalia e della moltitudine di palermitani che si riversa in strada per seguire gli eventi festivi. Altroquando era sì una fumetteria, ma era nata da un'edicola, ingrandendosi nel tempo, e ne conservava le funzioni e gli appuntamenti. Tra questi, il famigerato cassonetto dell'edicolante. Quel grosso baule metallico, spesso di colore verdastro, che molte garitte hanno annesso per ricevere le nuove uscite dei quotidiani e rendere le copie invendute agli operatori forniti di chiavi che arrivavano alle prima ore dell'alba (quindi con l'attività ancora chiusa). Nel nostro caso, il cassonetto era mobile. Veniva usato come piano d'appoggio all'interno della libreria durante le ore del giorno, riempito con il reso prima della chiusura e dunque incatenato all'esterno per la sera, in attesa del consueto scambio di quotidiani vecchi e nuovi. Un trantran che durava tutto l'anno con una sola eccezione. La notte del Festino.
Quella notte, Salvatore mi aveva spiegato sin dal primo giorno di lavoro, non si dormiva. Il cassonetto, infatti, non poteva essere lasciato all'esterno della bottega, per quanto saldamente incatenato alle tubature a destra dell'ingresso. Non per timore di improbabili furti, ma per evitare che venisse sfondato, o quanto meno gravemente ammaccato, rendendolo inservibile.
«Diventerebbe una tribuna rialzata per il pubblico,» mi disse. «In tanti ci salirebbero, in piedi, per guardare meglio il carro e poi i fuochi d'artificio a mezzanotte. Sarebbe un macello. E se qualcuno cadesse, o lo rompesse e si facesse male, sarebbe pure nostra responsabilità.»
Così il cassonetto restava al sicuro nel chiuso del negozio per tutta la sera. E soltanto dopo la mezzanotte, dopo i botti, quando la folla iniziava a diradarsi, potevamo finalmente metterlo fuori.
Le soluzioni possibili erano due. Riposare dopo la chiusura, puntare la sveglia per scendere a tarda ora ed eseguire l'irrinunciabile collocazione del cassonetto, pena la mancata consegna dei quotidiani, oppure resistere al sonno e partecipare alla festa generale, che ne avessimo voglia o no, fino all'ora magica. Più o meno mezzanotte, come Cenerentola.
Possiamo dire che la nostra partecipazione al Festino aveva qualcosa di forzato, eravamo praticamente ostaggio della ricorrenza. O meglio, del nostro lavoro e delle circostanze che la collocavano in una strada per questa cruciale.
I primi tempi era quasi divertente. Ma i giorni, gli anni, le Estati non sono tutte uguali. La fatica del lavoro, il caldo, il non poter tornare a casa fino a notte inoltrata dopo aver superato l'orario di lavoro, a volte pesava. Qualche volta ci capitò anche di non farcela, di cadere addormentati sul divano dopo aver cenato ed essere svegliati dal fragore dei fuochi d'artificio. Tuttavia, quasi sempre, io e Salvatore eravamo in strada, a fare il bagno di folla. Cosa che personalmente odiavo (non che lui l'amasse, ma disponeva di qualche anticorpo in più) e affrontavo come un sacrificio necessario.
Oggi ci penso a ogni nuovo Festino. Oggi che, se scrivo queste righe, devo spiegare per bene di quale tradizione sto parlando, perché Altroquando è diventato un'idea, una filosofia di vita che mischia cultura, passione fumettistica e attivismo, orfana di una bottega che non esiste più, e tra chi mi legge ci sono molte persone che vivono fuori dalla Sicilia, e seguono le mie iniziative solo attraverso il filtro della rete, di Youtube.
Il Festino ha quindi per me un sapore agrodolce. E strano, ora che vivo lontano dal centro città che per tanti anni è stato casa mia e di Salvatore. Forse mi piace un po' ricordare quella fatica, quella noia, quel caldo e quella folla. Mi piace ricordare quel fastidio, quella seccatura. Mi piace continuare a odiare quell'onere lavorativo, anche perché, per come la natura mi ha fatto, non dimentico quasi niente e rivedo tutto (nel bene e nel male) come un film nella mia testa.
Se vorrei riviverlo? Vorrei poter rispondere di sì... o di no. Difficile dirlo. In fondo lo rivivo già. In ricordi cui non potrei rinunciare neanche se volessi. Mi piacerebbe, però, che quanti vivono ancora in quella zona, mentre passeggiano per il Cassaro, dietro il carro di Santa Rosalia o con il naso all'aria per vedere i giochi di fuoco, si ricordassero del nostro negozio quando passano di là. Si ricordassero di Salvatore e che cosa rappresentava per lui, per noi. E ricordassero che faccio di tutto affinché questa memoria non vada perduta. Perché i tempi cambiano. Le strade mutano faccia, le tendenze pure, ma la forza di certe passioni resta il carburante di tutte le cose più importanti. Il miracolo della Santuzza che vinse la peste è in fondo una metafora di sopravvivenza e rinascita. Rinascita di una città, ma anche delle sue tante anime. E bisogna andare avanti nonostante tutto.
Buon Festino, dunque. Perché ci sarà sempre un Altroquando a Palermo.

1 commento:

  1. Bellissimo (o bruttissimo?) ricordo. Tra l'altro ho finalmente realizzato a cosa serve quel cassone verde!

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