mercoledì 21 dicembre 2016

...oppure un giorno sui tuoi eredi! (A volte ritornano)

«Mi vendicherò, Jor-El! Su di te... oppure un giorno... sui tuoi eredi!»
[Cit. Superman, di Richard Donner 1978] 

Ma siamo pazzi?

Dovrei sotto certi aspetti essere contento. Vedere che mi attaccano dovrebbe indurmi a pensare che in qualche modo sono riuscito a ricreare contenuti e idee che temevo andassero perse. Per tre anni ho lavorato per far continuare a far vivere Altroquando al di fuori della sua ormai conclusa esperienza commerciale, e ora... dopo tre anni di relativa quiete, ecco tornare un vecchio spettro del passato.

Questa storia ha ufficialmente rotto le palle.

La parola CENSURA vi dice niente?

Vediamo cosa dice il vocabolario Garzanti.

"Censura: controllo esercitato dall’autorità pubblica su mezzi d’informazione, testi scritti, spettacoli ecc., al fine di accertare che non contengano elementi ritenuti pericolosi per l’ordine costituito, offensivi per la religione o contrari alla morale: censura repressiva; un film tagliato dalla censura | ufficio dei funzionari addetti a questo controllo." 

Ora immaginate che qualcuno vi proponga di entrare a casa vostra, o nel vostro studio, nello spazio in cui lavorate... e vi proponga di svolgere un'attività, di promuovere un qualcosa che con voi non c'entra niente. Che avversate, magari, e che è in netta antitesi con la vostra identità. Gli dite di no, che a casa vostra non volete ospitare cose in cui non vi riconoscete per niente.

E' censura? Secondo la lingua italiana, secondo il buon senso?

Provate ora a immaginare un cineforum gestito da suore presso un istituto religioso. Qualcuno si presenta e propone loro una retrospettiva sul cinema erotico di Tinto Brass. Le suore, comprensibilmente, rifiuteranno. Perché in contrasto con la loro religione, perché inadatto al loro pubblico di elezione. E' censura? Sono a casa loro. Sono libere di scegliere quali messaggi porgere a chi la frequenta, e i culi di Tinto Brass non sono tra questi. Dovrebbe essere chiaro.

La storia che Salvatore Rizzuto Adelfio abbia rifiutato di presentare nella sua fumetteria un'opera in cui ravvisava apologia di fascismo, in quanto politicamente collocato altrove, sarebbe stata censura?

Censura, amici miei, significa avere il potere e la volontà di oscurare i tuoi contenuti ovunque tu vada sul territorio raggiunto dalla mia autorità di censore. In poche parole, per censurare qualcosa o qualcuno è necessario avere il potere di farlo. Un potere forte, esteso. Altrimenti è semplicemente un... No, non mi attrai, non vengo a letto con te. A prescindere da qualunque implicazione politica, avrebbe potuto essere un contenuto non ritenuto valido.

Il rifiuto, limitato alle mura della sua attività, era del tutto legittimo. La presentazione della medesima opera fu rifiutata per motivi identici da un centro sociale occupato (anarchici liberali, cui viene presentata un'opera che celebra un fascismo trionfante in una realtà ucronica). Ma vogliamo discutere della miopia politica e pratica che ha dettato simili proposte, tutte rivolte a soggetti sbagliati?

La cosa demenziale è che l'autore cui il fumetto si ispirava, in un'intervista, a proposito della vicenda commentò dicendo: «Si atteggiano a liberali, ma applicano gli stessi metodi di Stalin e Pol Pot.»

Benissimo, mio caro signore. Lei praticamente ha appena affermato che noi la avremmo imprigionata, torturata, assassinata e fatta sparire senza tanti complimenti. Perché tali sono i metodi dei dittatori che menziona. Se sta facendo sentire la sua voce su una fonte per lei disponibile, questo dovrebbe dimostrare da sé che lei non è vittima di nessuna censura. Ha solo sbattuto contro un limite domestico, personale, circoscritto. Ovvero il mio diritto di cittadino italiano di appoggiare o rifiutare il mio appoggio a seconda di quanto mi viene proposto. Il mio rifiuto sarebbe censura? E' la pretesa che io mi pieghi in modo acritico alla sua convenienza a far sorgere dubbi. Il problema di trovare il palcoscenico adatto è suo, non mio. E sicuramente non ho commesso i crimini di cui mi sta accusando.

A distanza di tre anni dalla morte di Salvatore, ricevere attacchi immotivati sui social (palesemente livorosi e senza ragion d'essere) per poi venire a sapere che le accuse di censura (in realtà un semplice "non sono d'accordo, non ci sto") e di autoritarismo sono ricominciate, ha dell'assurdo. Qualcuno ha avuto una brusca sveglia. E questa cantilena ha ripreso a cercare consensi. Andiamo dagli attacchi alla competenza a quelli sulla condotta sessuale... fino a tornare al vecchio mantra sulla presunta censura. Il tutto con il piglio di chi cerca in rete un braccio armato per sferrare un'insensata offensiva.

Trovo davvero triste che tanto rancore, peraltro male indirizzato, sia sopravvissuto a Salvatore. E sinceramente mi turba rendermi conto di essere oggetto di odio per essere ciò che sono, per venire da dove vengo. Ecco. Questo potrebbe (dico "potrebbe") essere definito a ragione una forma di squadrismo, con molta più attinenza della parola "censura" che mal nasconde il rancore per avere ricevuto un semplice "no", circoscritto a un individuo e al suo contesto.

E per inciso... quando la Digos entrò nel nostro negozio per la storia del famoso striscione... Quella sì che era censura. Noi eravamo a casa nostra, e l'autorità veniva a dirci cosa potevamo e non potevamo fare, perché aveva deciso così. Perché c'era un presepe cui essere omologati o si era puniti. Qualcosa di molto diverso, ma uguale per chi è sprovvisto di strumenti critici o è semplicemente in malafede.

Non è sano che questa storia torni oggi a perseguitarmi. Mi è di conforto pensare che il nome di famiglia continui a essere riconosciuto come un'identità che sopravvive.


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