Da tempo e ciclicamente, sono perseguitato dalla citazione del proverbio:
"Se la montagna non va da Maometto, sarà Maometto che andrà alla montagna."
L'aforisma, citato anche negli scritti di Francis Bacon, non è di origine islamica, si perde nella notte dei tempi, e riferisce di una episodio in cui a Maometto fu chiesto un miracolo. Egli pregò una montagna di muoversi verso di lui (il che ci fa pensare a un passaggio dell'inno alla carità di San Paolo "Se anche avessi la fede che smuove le montagne..."). Visto che la montagna se ne stava buona e ferma, Maometto affermò che sarebbe stato lui ad andare verso la montagna in modo da risolvere la faccenda.
In altre parole, il senso sarebbe: se vuoi risolvere i tuoi problemi, alza il culo, e non stare ad aspettare che altri si muovano al posto tuo. O se preferiamo, è simile a "Aiutati che Dio ti aiuta!".
Non comprendo la ragione per cui, nell'immaginario popolare, i soggetti della frase siano stati spesso interpolati. Infatti, di frequente, sentiamo dire che "Se Maometto non andrà alla montagna, sarà la montagna che andrà da Maometto" alterando significativamente il senso del detto stesso.
Si tratta di un'interpolazione diffusa e radicata nel nostro paese (ho quasi litigato in passato con persone pronte a farsi ammazzare pur di difendere la correttezza di questa seconda versione). La troviamo in vignette, barzellette, e persino formulata in alcune pellicole cinematografiche (o almeno nel loro doppiaggio italiano). Nella forma originale, la montagna è per definizione qualcosa di inamovibile, dalla quale non ci si può aspettare un primo passo. E' il Godot di Samuel Beckett, il simbolo di un'attesa senza speranza. Sarà l'uomo, sulle sue gambe, a entrare in azione per prendere in mano il proprio destino. E' una metafora chiara e nobile che si svuota completamente nel passaparola. Non sono ancora riuscito a rintracciare la fonte della distorsione, che comunque resiste. Ferma, immobile, immutabile. Proprio come la montagna.
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