lunedì 23 aprile 2012

Fantastici Quattro: Il Fumetto più Straordinario del Mondo


I Fantastici Quattro, la prima, più amata famiglia di supereroi del mondo, nel corso delle sue avventure, ne ha viste davvero tante. Stavolta, però, di ritorno da una delle sue imprese, il favoloso quartetto potrebbe trovarsi ad affrontare una minaccia dalle proporzioni apocalittiche, persino peggiore di quelle incontrate in passato. Su di loro incombe un piano machiavellico ordito dal loro peggiore avversario, mai così deciso a chiudere l’annosa partita. Una complessa ragnatela di eventi terribili, in apparenza slegati, ma che finirà col coinvolgere (e travolgere) molti altri personaggi della variegata mitologia Marvel…

Fantastici Quattro: Il Fumetto più Straordinario del Mondo è una miniserie in dodici capitoli prodotta nel 2001 dalla Casa delle Idee per celebrare il quarantesimo anniversario della sua storica testata. Da noi arriva con enorme ritardo (tanto che sulla cover italiana la cifra 40 è stata sostituita con un più congruo riferimento al cinquantenale del quartetto) ed è proposta dalla Panini Comics in un unico volume brossurato. L’intento dell’opera, al cui timone si trova Erik Larsen (L’Uomo Ragno, Savage Dragon) è quello di celebrare il primo e più famoso supergruppo Marvel riallacciandosi alla trama là dove la coppia di autori originali, Stan Lee e Jack Kirby, aveva interrotto la propria collaborazione dopo aver firmato ben cento numeri, tuttora considerati capisaldi del fumetto supereroistico moderno. 

La trama si colloca tra il centesimo numero americano di Fantastic Four (ultimo realizzato da Lee e Kirby, uscito nel luglio del 1970) e il numero 101 (agosto 1970) proponendosi, con l’aiuto di una corposa squadra di sceneggiatori e illustratori d’assalto, di recuperare le atmosfere, il linguaggio e i manierismi grafici che caratterizzavano la serie in quegli anni lontani, offrendo al lettore contemporaneo un delizioso falso. Un’opera dal sapore vintage che poco o nulla, con ogni probabilità, direbbe ai lettori più giovani, abituati a un concetto di modernità forzato dalle mutevoli leggi commerciali, ma di sicuro effetto per quanti hanno l’età giusta per ricordare le immense tavole di The King e tutti quegli ammiccamenti narrativi, fatti di siparietti, frasi tormentone, relazioni tra personaggi, cui Stan Lee aveva abituato il suo pubblico di quegli anni. Molte tavole sono davvero di una somiglianza impressionante con lo stile del compianto Kirby, e i lettori più maturi non potranno che emozionarsi davanti ai certosini dettagli degli scenari asgardiani, agli stravaganti marchingegni di Mr Fantastic, alle creature marine guidate da Sub-Mariner e ai visi espressivi dell'intero cast di protagonisti. 
 
Se l’aspetto grafico centra in pieno l’obbiettivo di suscitare nostalgia, la sceneggiatura e i dialoghi, sia pure molto curati, finiscono con il tradire, a tratti, il retrogusto di una caricatura involontaria. Uno stuolo di sceneggiatori di tutto rispetto, tra cui Keith Giffen, Tom DeFalco, Jeph Loeb e lo stesso Stan Lee, si danno un gran da fare per evocare dal passato registri e cadenze che il fumetto di genere ha abbandonato da parecchio tempo. Clonare lo stile di un disegnatore del calibro di Jack Kirby (anche se in America, alcuni puristi pare abbiano gridato al sacrilegio) è un discorso (Dan Jurgens, Eik Larsen, Ron Frenz e Rick Veitch, tra i tanti, fanno davvero faville). Ripresentare la recitazione superomistica dei primi anni settanta presenta qualche ostacolo in più. In buona parte, anche su questo fronte l'operazione potrebbe dirsi in linea di massima riuscita. Il tono dell’avventura è epico come allora, spezzato – nel rispetto della consuetudine sdoganata da Lee – dai siparietti ironici, affidati alle scaramucce tra la Cosa e la Torcia e ai brevi inserti di vita quotidiana sconvolta dall'improvviso esplodere del fantastico. Ogni tessera s’incastra con l’architettura anacronistica dell’insieme astutamente congegnato. Tuttavia, il trascorrere del tempo sembra avere reso più spigolosi alcuni cliché, e tra dialoghi e snodi narrativi emerge un vago senso di imbarazzo. 

E’ difficile, oggi, rimanere seri davanti ai monologhi narcisisti di Destino e al suo stucchevole delirio di onnipotenza. Così come i tormentoni dell’amatissima Cosa dagli occhi blu, con le sue battute pronunciate sempre a sproposito, finiscono col rendere il personaggio irritante in un modo che non ricordavamo o che forse, invecchiati, facciamo fatica a digerire. Lo sforzo di riprodurre il sense of wonder delle vecchie storie sconfina spesso, per linguaggio e sviluppi, in un’ingenuità eccessiva (o se vogliamo, fin troppo manierata) superando di qualche spanna anche quella fisiologica dei fumetti realizzati da Lee e Kirby nella seconda metà del secolo scorso. Reed Richards e tutti i suoi amici impiegano davvero troppo tempo a domandarsi chi c’è dietro il diabolico disegno che li sta perseguitando prima di giungere alla naturale conclusione che si tratta della loro nemesi per antonomasia: il Dottor Destino. Alcuni comprimari appaiono tagliati con l'accetta (si veda il modo, più che didascalico, in cui è presentato il personaggio di Capitan America). Ma si tratta di imperfezioni veniali, in cui il clima del racconto ricalca in modo formalmente fedele quello delle saghe di un tempo, e sebbene l'imitazione in qualche punto si faccia stridente il quadro complessivo rimane gradevole. 
 
Dopotutto, Fantastici Quattro: Il Fumetto più Straordinario del Mondo non è che una festa, dove lo scopo principale è ritrovarsi con amici persi di vista decenni fa per rammentare vecchie esperienze e antichi lazzi. Da questo punto di vista, l'effetto macchina del tempo è garantito. Può far sorridere pensare che, mentre lavorava a questo progetto, Erik Larsen stesse già contribuendo al consolidamento della Image Comics, etichetta che più di altre ha rappresentato uno spartiacque nel modo di intendere il fumetto supereroistico. Marchio che divenne, in seguito, anche simbolo del suo impoverimento concettuale, prima della successiva apertura a prodotti più differenziati. Per questo la spettacolare impostura de Il Fumetto più Straordinario del Mondo risulta tanto più commovente, considerando le solide basi gettate da Kirby e Lee affinché il genere, nei lontani anni sessanta, venisse rifondato per marciare verso territori inesplorati, sopravvivendo nei tratti più essenziali anche al suo stesso tramonto e agli effimeri, appariscenti epigoni. E' il sapore della passione di chi amava ciò che narrava e disegnava. O almeno riusciva a farci credere che fosse così. Quei fumetti, per chi era bambino negli anni settanta, erano veramente “i più straordinari del mondo”. E in qualche modo, per ciò che continuano a rappresentare, lo resteranno sempre.


[Articolo di Filippo Messina]

Questo articolo è stato pubblicato anche su Fumettidicarta.

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