H.P. Lovecraft, un genio visionario per qualcuno. Un mediocre scribacchino per altri. In ogni caso una autore di grande rilievo, cui va riconosciuto il merito di aver plasmato un immaginario fantastico e orrorifico che ha germinato profondamente nella cultura popolare, tanto da produrre una schiera di imitatori e prosecutori, consegnando alla storia del perturbante un'etichetta mutuata dal nome stesso dell'artista: lovecraftiano.
Alan Moore, celebrato scrittore britannico, noto per aver firmato pietre miliari del fumetto sdoganandolo come espressione artistica matura (Watchmen, V for Vendetta, From Hell), affronta il cosmo di Lovecraft a modo suo, con rispetto filologico e quella punta di immancabile originalità che ha sempre fatto di Moore un vero alchimista dell'arte sequenziale. La personale rilettura dell'opera di H.P. Lovecraft, Moore l'aveva iniziata con la pubblicazione di un racconto in prosa, Il Cortile (edito in Italia da Einaudi-Stile Libero nel 1997), in seguito adattato a fumetti dallo sceneggiatore Anthony Johnston e il disegnatore Jacen Burrows per la Avatar Press. Il racconto è il monologo interiore di un agente federale impegnato nell’inchiesta su una serie di omicidi rituali apparentemente scollegati tra loro, ma accomunati da inquietanti elementi che sembrano seguire uno schema. L'indagine porterà il detective a indagare su una misteriosa droga chiamata Aklo, qualcosa capace di risvegliare nelle menti umane un'antica consapevolezza, e mostrare l'universo in una prospettiva inimmaginabile per i non iniziati. Senza le parole, senza il linguaggio, ricorda Alan Moore, certe cose non possono neppure essere pensate. La lingua è magia, fa esistere le cose e dona loro concretezza. Il linguaggio, dunque, è la più potente e sovversiva delle droghe. Una chiave in grado di aprire porte che non potranno più essere richiuse.
Nel 2011, Moore porta a termine il capitolo conclusivo della miniserie Neonomicon, il cui titolo è una dichiarata allusione al Necronomicon, il maledetto libro fittizio più volte citato da Lovecrat in molte delle sue opere. Incursione, pare definitiva, del bardo di Northampton, come è chiamato dai fans, nell'oscuro universo del sognatore di Providence: Lovecraft. La Bao Publishing propone l'intero ciclo, sceneggiato da Moore e sempre disegnato da Burrows, facendolo precedere dalla versione a fumetti de Il Cortile. Racconto che può a buon diritto considerarsi l’antefatto della raccapricciante vicenda raccontata in Neonomicon.
Il punto nevralgico dell'opera lovecraftiana di Alan Moore è proprio questo. Il Cortile è un prologo di Neonomicon o è piuttosto il secondo a essere un seguito del primo? Può sembrare una domanda pedante e inutile, ma è piuttosto un quesito sincero, che sorge una volta portata a termine la lettura del volume. Infatti, una risposta o l'altra potrebbe segnalare quanto questa recente fatica del bardo possa essere definita riuscita, o se preferiamo compiuta.
E' necessario ricordare che Alan Moore è sempre stato un autore di grande duttilità, tutt'altro che schizzinoso nei confronti di esercizi commerciali (vedi le incursioni sulla serie dedicata a Spawn) e capace di variare registro artistico e profondità concettuale con la grazia naturale di un camaleonte. Il mero intrattenimento non è qualcosa di blasfemo per il bardo, da sempre capace di offrire fumetti di qualità pur con una leggerezza che li rende molto distanti da opere corpose come From Hell. E' un po' la sensazione che si riceve da Neonomicon, come se la fine del racconto (comunque scioccante) sopravvenisse in modo un po' troppo rapido, limitandosi a scalfire la superficie di qualcosa che avrebbe potuto essere memorabile, ma che forse non era mai stato nelle reali intenzioni dell'autore.
Moore stesso, in una recente intervista ha definito Neonomicon una sorta di sequel a fumetti de Il Cortile, un personale gioco tra narrativa e arte sequenziale, in cui l'obbiettivo dell'autore era portare una ventata di modernità nelle atmosfere malsane e pessimiste della mitologia lovecraftiana. Una storia cupa, disseminata di nomi e parole che rimandano a cose e personaggi che ogni appassionato di Lovecraft può riconoscere, ma trapiantati in una realtà metropolitana, dove Lovecraft stesso, sia pure assente, diventa personaggio. Il testimone, forse non del tutto consapevole, di una realtà strisciante, probabilmente non compresa a fondo neppure da alcuni dei suoi principali accoliti. Un incubo in cui l'orrore cosmico suggerito dallo scrittore di Providence emerge pian piano, attraverso citazioni calibrate, per poi mutare e trasformarsi in qualcosa d'altro. Per trasformarsi in Alan Moore, e come un esercizio di variazione strumentale su una partitura classica, diventare opera a sé stante, aperta all'interpretazione del lettore moderno.
Il punto è che Il Cortile, nella sua essenzialità di racconto breve, sfoggia una compiutezza orrorifica e strutturale che a Neonomicon in parte manca. Il legame di continuità con la vicenda del detective protagonista del prologo è dei più classici, ma il ritmo dell'esecuzione cambia in modo drastico, e la narrazione si fa più sporca, più fisica, ma anche più enigmatica nella sua concreta rappresentazione di un orrore fatto di carne, sangue e sesso. La miniserie in quattro parti che segue Il Cortile, dà quindi la sensazione di un intrigante postilla, che non manca di momenti emozionanti, ma che non graffia l'inconscio con la stessa forza del racconto breve che la precede. Alan Moore non risparmia colpi bassi, spesso riservando al lettore proprio il genere di raccapriccio che si attenderebbe, ma cui non vorrebbe assistere. Né rinnega del tutto l'ellissi tipica della scrittura di Lovecraft, avvezzo a suggerire più che a mostrare, attraverso un espediente di soggettiva cinematografica che riesce veramente a torcere le budella del lettore e a regalargli più di un brivido, prima di mutare ancora e lasciarlo del tutto spiazzato.
Rimane, però, un vago senso di incompiutezza, e di ambiguità concettuale che non si sa bene come interpretare. La personale lettura che Moore propone della mitologia lovecraftiana, i colpi di scena psichedelici e le dinamiche oscure degli avvenimenti, potrebbero indurre a vedere Neonomicon, nel suo complesso, come una personale riflessione sulla mistica e le religioni in generale, rese spesso violente e orripilanti dall'ignoranza degli umani che le applicano e non oscene di per sé. L'ambiguità finale, le domande senza risposta, sembrano alludere a qualcosa di addirittura rivoluzionario, un'apocalisse che azzeri un mondo di bugie e depravazioni per ricondurre il cosmo a una primordialità tutto sommato più innocente e auspicabile. Sembra che per Moore il culto di Cthulhu possa avere persino qualcosa di seducente se sfrondato dalle nefandezze che l'uomo, nella sua congenita bestialità, le ha sovrapposto più per divertimento personale che per reale devozione.
Una sensazione disturbante, proprio perché indefinita. Incastrata tra le potenzialità di un autore dirompente e versatile e la fretta di quella che rimane un'opera minore, suggestiva ma che non si eleva al di sopra del mero esercizio di stile. Nonostante questo, Neonomicon è un titolo che non manca di interesse, suggestione e persino di uno strisciante, insolito orrore. Un Alan Moore che, dopo Promethea, torna a parlare di magia, di sortilegio della parola e di possibili apocalissi. Forse di palingenesi, nascondendo un sospetto barlume di ottimismo tra i miti orridi e solitamente senza speranza del tetro H.P. Lovecraft.
[Articolo di Filippo Messina]
Questa recensione è stata pubblicata anche su FantasyMagazine.
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