O se vogliamo, il pianto di un cinefilo, in ricordo del lavoro di un maestro che si è perso per strada. Un grido di dolore di fronte a un passo falso cui avrebbe preferito non assistere. La notizia era ghiotta per gli appassionati del cinema di genere: John Carpenter, artefice di numerosi gioielli che hanno contribuito a costruire l’immaginario fantastico e horror a cavallo degli anni settanta e ottanta, tornava a dirigere un film dopo un periodo si silenzio durato un’intera decade. Per la precisione dopo il tonfo (qualcuno, in rete, suggerisce di recuperarlo, ma deve avere bevuto) del prescindibile Fantasmi da Marte, uscito nell’ormai non vicinissimo 2001. John Carpenter aveva conquistato i cuori cinefili con uno stile personale, sempre a suo agio anche in produzioni low budget, ricche di idee e sostenuti da un ottimo senso del ritmo. Quel piccolo capolavoro del cinema di spavento che fu l’originale Halloween (1978), aprì la strada e definì i parametri di un interminabile serie di imitazioni. Così molti titoli successivamente firmati da Carpenter e destinati a lasciare un’impronta nella storia del cinema, come Fog (1980), 1997: Fuga da New York (1981), La Cosa (1982), Essi Vivono (1988). Erano seguite pellicole molto meno incisive se non palesemente non riuscite, poi un silenzio durato dieci anni. Per questo l’uscita di The Ward – Il Reparto era a suo modo un evento, e per il medesimo motivo la delusione, oggi, è tanto più grande. Tanto da indurre quasi ad acquistare un biglietto aereo per volare negli States, incontrare personalmente John Carpenter e dargliele sulle manine. Oppure per manifestargli le nostre condoglianze per la confermata, e pare definitiva, dipartita del suo estro creativo.
Si scrive in giro, che con The Ward, Carpenter abbia voluto realizzare un cinema di paura d’epoca, riesumando stilemi e tipologie narrative dei suoi esordi. E’ vero, e sarebbe stato anche lodevole. Ma purtroppo non è sufficiente a scongiurare quello che ai nostri occhi appare come un triste fallimento. I vecchi trucchi ci sono tutti. I silenzi angoscianti, il buio, i corridoi ricettacolo di sussurri e di ombre. Ma ormai si tratta soltanto di fregi non commestibili su una torta dal sapore dubbio. Dopo un inizio che ricorda da vicino, per atmosfera, scelte visive e paranoiche nenie infantili, il Dario Argento sgasato degli ultimi anni, il film conferma fotogramma dopo fotogramma la sua natura più che derivativa, spuntando le proprie armi prima ancora di averle sguainate.
La verità è che è impossibile criticare The Ward senza fare spoiler imperdonabili che renderebbero inutile la già faticosa visione del film. Ma tant’è. Il cinefilo appassionato di horror che non abbia trascorso l’ultimo decennio in una caverna, rischia di sentirsi truffato e pure in maniera goffa. Limitiamoci a dire che The Ward è la copia carbone, sciatta e annacquata, di un bel film del 2003 (di cui non faremo il titolo) poco noto in Italia, ma che conta una meritata schiera di fans. I punti di contatto sono tali e tanti che il film di Carpenter potrebbe benissimo essere definito una sorta di remake non dichiarato, dove persino il finale (qui particolarmente prevedibile e irritante) ricalca (guastandola) la conclusione del modello di riferimento.
Non parleremo neppure della trama del film di Carpenter, non discuteremo di Kristen, la smemorata protagonista che si ritrova ospite di un manicomio femminile dove avvengono fatti strani e terribili. Ci limiteremo a dire che i casi sono due. O avete già visto il film del 2003, e allora è probabile che – tra uno sbadiglio e l’altro – capirete tutto con largo anticipo, oppure semplicemente non l’avete ancora visto. Nel secondo caso, questa beata ignoranza potrebbe regalarvi una piccola sorpresa, ma annegata in un contesto stanco e pallido che la neutralizza, laddove nel film del 2003 assistevamo a un crescendo teso e decisamente inquietante. Né possiamo dire che conti la forma più della sostanza. Questo diventa vero solo nel momento in cui la potenza visiva di un’opera e il ritmo della regia danno vita a una pellicola dalla forte personalità. Del resto The Others (Alejandro Amenábar, 2001) si basava sul medesimo colpo di scena alla base de Il Sesto Senso (M. Night Shyamalan, 1999). Ma entrambi i film potevano vantare uno stile e un ritmo che li rendevano godibili interpretazioni del medesimo canovaccio. Non è così con The Ward, dove le varianti inserite da Carpenter risultano scontate se non addirittura ingenue, finendo con il presentare un parente povero e malaticcio del film del 2003 piuttosto che una personale rivisitazione di un’idea già ben sfruttata da altri.
Peccato per John Carpenter, che preferiamo ricordare per ciò che ha realizzato nei suoi anni migliori. Dal canto nostro, piuttosto che vedere The Ward, vi consigliamo di recuperare il film del 2003 (facendo clic su questo link scoprirete qual è il titolo in questione). E magari di visionare il film di Carpenter soltanto in un secondo tempo, consapevoli di stare assistendo a una variazione sul tema. Una variazione, a nostro parere, non necessaria e molto meno avvincente.
E trattandosi di John Carpenter, di ritorno dopo un decennio sabbatico, affermare questo ci dispiace parecchio.
Nessun commento:
Posta un commento