Anche chi non l’ha letto, ne avrà certamente sentito parlare, dato che è uno dei romanzi più famosi della letteratura mondiale. Sto parlando di Moby Dick di Herman Melville, di cui nel tempo le riedizioni illustrate, animate e cinematografiche sono state tante da non potersi contare. L’ho letto parecchi anni fa, ma ne ricordo ancora bene alcune scene cardine. Chi pensa che sia solo un libro di avventure per ragazzi si sbaglia di grosso. È opinione unanime dei critici letterari che l’opera di Melville sia una metafora del comportamento umano, in particolare di quell’aspetto tutto proprio della nostra razza che va sotto il nome di ossessione. La balena bianca è quel qualcosa di angosciosamente irraggiungibile cui tutti tendono nella vita, chi più chi meno, e che arriva a dominare la mente dell’uomo al punto che ogni altro pensiero passa in secondo piano. Perché sto parlando tanto di Moby Dick? Perché questo fumetto, interamente scritto e disegnato da Rick Veitch, ne è una brillante reinterpretazione contemporanea. Ma se fosse solo questo magari non ne avrei parlato. È ovvio che c’è di più.
Il giovane Isaac, scienziato che studia il verso delle balene come forma di comunicazione, viene rapito da una sorta di astronave a forma di albero, guidata da strani individui che dell’essere umano hanno poco o niente. In breve, Isaac scopre che si tratta di una nave il cui equipaggio va a caccia di balene, solo che questa nave e queste balene non si trovano in un comune oceano, ma nello spazio. Tutta la vita del mare come la conosciamo è riportata alla dimensione spaziale. Ci sono porti, attracchi, cantieri, taverne, marinai e storie. Ma c’è anche qualcosa di diverso. Degli strani medici (chirurghi, per essere precisi) chiamati Xlexu, che hanno l’aspetto di enormi mantidi verdi, hanno la capacità di modificare gli esseri viventi facendo acquisire loro proprietà straordinarie. Isaac è stato rapito perché i chirurghi Xlexu lo modifichino sfruttando le sue doti di ascoltatore del canto delle balene. Questo perché lo scopo del capitano è quello di trovare e uccidere Abraxas, una gigantesca balena rossa con due corni ai lati della testa. Ma nel destino di Isaac c’è di più che diventare un brutale strumento di caccia nelle mani del capitano. Secondo un piano ordito dagli Xlexu, Isaac è il prescelto per arrivare ad un nuovo stadio evolutivo, in cui l’anima, e non il corpo, acquisisce rilevanza nella determinazione dell’esistenza dell’essere vivente. L’anima di Isaac dovrà entrare in contatto e fondersi con Abraxas, per liberare finalmente la sua vera potenzialità e aiutarlo a condurre le anime di tutti coloro che lo meritano verso la fusione con altre balene, preservandone la specie e salvandole da un destino di annullamento.
Nell’opera di Veitch troviamo quindi tutti gli elementi classici di Moby Dick, sia figurativi che concettuali, ma c’è anche qualcosa di più. Al motivo della ricerca ossessiva del mostro da uccidere e a quella della denuncia di una pratica violenta come la caccia alle balene, Veitch aggiunge il tema dell’evoluzione umana. Tema che forse gli è caro più di ogni altro, dato che è anche uno dei principali della graphic novel The One. Qui, invece che all’evoluzione di un’intera razza, come avevamo visto in The One, assistiamo all’evoluzione di singoli individui, guidati da un essere che, attraverso diverse fasi, fisiche e metafisiche, raggiunge la completezza dell’essere e si dimostra pronto a guidare i suoi simili meritevoli nel suo stesso nuovo paradiso.
Un romanzo ricco di significati, questo, non privo di aspetti comici (penso alle due aliene ninfomani!) e romantici (come l’attrazione sentimentale tra Falco e Sfinge), ma che sostanzialmente ci propone il tema del viaggio e della ricerca non come qualcosa di fisico ma in una dimensione metafisica e interiore. Se siete stanchi di scazzottate e turpiloquio gratuiti, o di perdervi nei meandri di continuty ormai praticamente senza significato, Abraxas e il Terrestre è un fumetto che vi consiglio, magari potrebbe risvegliare una passione sopita per la letteratura disegnata.
[Articolo di Filippo Longo]
Questa recensione è stata pubblicata anche su Cose Preziose
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