Ogni uomo uccide ciò che ama... Chi ha coraggio usa la spada... Chi è codardo, un bacio...
Ogni nuova uscita del Canemucco è diventata un piccolo evento. Un parto artistico lungamente sospirato, lento, struggente. Dopo molti mesi dall’uscita del terzo numero, un volumetto interamente dedicato a Makkox e a una delle sue migliori storie, ecco arrivare il nuovo atteso capitolo. L’episodio precedente aveva lasciato i lettori annichiliti e ammirati, con un finale che semplicemente non poteva essere diverso. Dettato dalle regole, non scritte ma nobili, del crescendo e della buona narrazione. Nel quarto Canemucco ci troviamo davanti a un interludio che potrebbe traghettarci in un ciclo tutto da scoprire, dopo la conclusione della prima, meravigliosa trilogia.
Ritroviamo l’eroe di Makkox che più abbiamo imparato ad amare in una storia retrospettiva dal sapore elegiaco, che ci svela qualche dettaglio sulla giovinezza di Mimì e sulla sua origine di “Ronin” metropolitano. La ballata del carcere di Reading di Oscar Wilde ci echeggia nella memoria lungo tutta la durata di questo racconto introspettivo, che sfrutta un collaudato cliché da soap opera per portare in scena un viaggio nella mente e nelle motivazioni del protagonista. Mimì, maschera di una compassione che non mostra mai il suo volto, magistrale sintesi delle miserie e delle grandezze umane. L’epica di fondo ci ricorda le passioni tribali cantate da Léopold Sédar Sengor a proposito di Chaka, condottiero Zulu che per conquistare una forza superiore è costretto a uccidere la sua amata Noliwe. Makkox attinge ai semi di questa mitologia selvaggia e li scalda con le pulsioni mediterranee che gli sono proprie, il suo linguaggio tagliente e quella sensibilità per immagini che è ormai il suo segno distintivo. Forse qualche concessione di troppo alla verbosità, o magari un legittimo momento di riflessione dopo l’intensità dei capitoli precedenti. Le emozioni, però, non mancano e suscitano ulteriore attesa.
Roberto Recchioni riscopre la tradizione orale, e ci propone un viaggio negli anni ottanta, fatto di colori, sapori, languori e speziato con una generosa dose di ironia al testosterone. Parcheggiato per un momento l'elogio dell'ignoranza con cui aveva esordito nel numero precedente, il Recchioni irriverente e leggero, ammiccante all'underground e alla provocazione d'annata, buca la pagina con maggiore efficacia. Quel che lascia perplessi sono le prove degli altri autori, e non certo perché manchino di talento o di suggestioni, ma forse soltanto perché la personalità del capocomico (e in questo caso anche il mestiere del nostromo) rubano la scena ai comprimari senza averci fatto assistere a nessuna vera competizione. Il sommario del Canemucco, principalmente nato come veicolo per il teatro disegnato di mastro Makkox, fatica ancora a offrire un menu che sia armonico e vario. Le capacità grafiche e descrittive di Ennio Buffi e Davide G. G. Caci sono ben sopra la media, ma la breve storia di senilità non commuove, così come l'altrettanto crepuscolare racconto di Manlio3, e a suo modo la novella minimalista di Flaviano Armentario. Un trittico di racconti che sembrano tratti dall'antologia di un unico autore, dove si respira la poetica di Raymond Carver, fatta di quotidiane amarezze, e dove è possibile ammirare prove pittoriche più che piacevoli. Ma è proprio l'uniformità di atmosfere a pesare sul tutto impedendo alla mongolfiera di prendere davvero il volo, e a conferire ai pur gradevoli fumetti presentati un sentore di prova d'esame, tecnicamente riuscita ma appena scolastica. Il discorso non è troppo diverso per Zerocalcare, più a suo agio con l'umorismo surreale, ma anche lui armato di una spada non ancora adeguatamente affilata.
Il Canemucco, del resto, nasce come un curioso esperimento di alchimia fumettistica, non a caso definito “spettacolo di carta”. Dove andrà, come evolverà, è tutto da vedere. Il risultato attuale, con tutti i suoi pregi come tutti i difetti, lo rende però già un prodotto fuori da molti dei canoni vigenti. Difficile da collocare, e perennemente sospeso tra le arti dell'illustrazione e della narrativa come raramente un fumetto riesce a essere. Per questo ce lo teniamo stretto, con tutti i suoi nei. Perché, con il Canemucco, è un piacere anche contare quelli. Uno per uno.
Questa recensione è stata pubblicata anche su Fumettidicarta.
La storia di Recchioni non m'è piaciuta per nulla, è la storia a mio avviso peggiore nella banalità del suo tema, per di più è inutilmente oscena. Tra le collaborazioni di questo numero credo sia il punto più basso... Non è una questione di moralismo, il sesso nel fumetto d'autore ha uno scopo e introduce delle forze precise che devono lavorare di contrasto per sottolineare le dinamiche, nella storia di Recchioni invece la pornografia (abbiam già detto che non è sesso) è fine a se stessa, intelligente come un marmocchio di 10 anni che rigurgita la battuta sentita dagli amici più grandi all'amichetta che compri un ghiacciolo...
RispondiEliminaIMHO
Parere del tutto legittimo. A noi interessava semplicemente dire che abbiamo preferito la prova data da Recchioni su questo numero alla sua performance sul Canemucco #2. Accettiamo più facilmente, insomma, la goliardata dal sapore vintage che la pseudofilosofia cinica d'accatto in difesa dei bulli. Non so, a noi fa un po' l'impressione di qualcuno che ci dice che «la cacca, in realtà è bella e profumata! Io la conosco, la frequento e ci diamo del TU».
RispondiEliminaBeh, allora è meglio se dai un morso a un Magnum, va'!