[Lettera aperta. Riceviamo e pubblichiamo]
Fammi un po’ capire, MakCocks...
Davvero pensavi di passarla liscia? Sei talmente pieno di te da sentirti in una botte di ferro?
Prima fai aspettare i tuoi lettori DUE MESI. Poi (squillino le trombe) sforni un terzo numero del Canemucco con i crismi del One-Man-Show. Così, quasi ti fosse scappata una goccia troppo generosa dal pannolone. Opsss! Dovevi dimostrarlo per forza, vero? Che quella goccia era la più limpida, la più frizzante, la più buona, neanche fosse acqua Rocchetta che ti fa diventare bella, alta e Miss Italia. Cerrrrrto. Nessuno doveva dubitare che eri in grado di mettere su un albo tutto da solo, senza zavorra né rete di sicurezza. E sì! Subdolo come sei, questo era un colpo di mano che sicuramente progettavi da tempo. E questo, poi! Questo Perline qui! Questo racconto che puzza di sociale, di coscienza malata (come la tua, semplicemente fetida!), e della più sporca, la più putrida, feroce delle redenzioni. Puah! Okay, okay! I pensieri infilati come perline in un ago fino a formare una collanina... un braccialetto... o una storia di Makkox. Tutte queste carinerie, simili a una graziosa e profumata pianta carnivora che ti alletta, ti blandisce e... ZAFFE!
Ma dico! La presenza dell’acqua, buia e gelida, sin dal principio... Questo cavolo di incipit sommessi pronti a uncinarti le budella neanche fossi Ian McEwan (ma cosa sogni? Il premio Pulitzer?). Quegli stronzissimi, improvvisi lampi di crudeltà, talmente asciutta e somministrata a tempo da sembrare quasi poesia. Ma si può sapere chi ti credi di essere? So io dove te lo dovrebbero cacciare quell’ago, pensa tu. Per poi tirarlo fuori e ricominciare daccapo. Te la combino io una bella collanina. Non ti bastavano due numeri di una rivista così fuori dal coro? Dovevi per forza andare oltre! Beh, la pacchia è finita, Mak. Le lodi da due soldi le lasciamo ai radical chic del fumetto. I tuoi lettori fanatici possono farsi un giro, nessuno ti proteggerà. Vedrai! quando meno te lo aspetti, ti raggiungerò nel sonno, e ti darò la sonora lezione che meriti.
Chi sono? Dai, sapevi che sarebbe successo. Basta poco. Un po’ di rumore in rete, quattro disegni fatti con la mano manca, un minimo di popolarità... la reazione chimica giusta perché il caos generi la tua immagine speculare. Stavolta, Mak, vengo alle rotte. Davvero, non ti digerisco neanche col bicarbonato. Ti detesto e voglio farti del male. Sono la tua nemesi: il Caneminchia! Pronto ad addentarti le chiappe fino a spremerne sangue nero. E non ti darò tregua, né allenterò la presa...
Perché questa non me la dovevi proprio combinare.
In giro, un coglione ha scritto che i tuoi fumetti ricordano il teatro. Sì, quello dei Pupi. Le tavole di Perline a me ricordano proprio quei fondali lì, dove Bradamante e qualche moro se le danno con grande strepito perdendo vituzze e chiodini su tutte le assi del palcoscenico. Solo che sul TUO palcoscenico, tutto seminato di ciarpame tagliente, gli spettatori tu ce li fai BALLARE A PIEDI NUDI, pezzo di sadico depravato! Non contento, gli cacci pure le dita negli occhi. Con quelle splashpage descrittive e dense che levati. Certo che nella tua sconfinata presunzione, riterrai che queste siano il mezzo per rallentare il racconto e introdurre (tacendo, per fortuna) i pensieri più riposti dei personaggi. Tavole intere dedicate a questo per accaparrarti l’intero albo, egocentrico della madonna. Macchie di colore da accecare un daltonico. A qualche boccalone, digiuno del buon fumetto, darai pure a bere che non lo fai a benefizio di natura. Ma non vedrai scodinzolare il Caneminchia alla tua corte, no. Lascia pure che gli sprovveduti pensino che usi il colore per comunicare a un livello profondo, e non in modo assolutamente casuale o solo perché ti attizza l’effetto di quella tinta. Il cromatismo che diventa una sola cosa con la narrazione... figuriamoci! L’azzurro e il color sabbia per introdurre un clima leggero e vacanziero, dove prevalgono toni pastello, squarciati ogni tanto da prosaici grigioverdi o vampate di ocra tiepido. Poi, d’un tratto: quel rosso cupo e quel giallo acido. Tosti come la collera, come l’amarezza, come il dolore. Vorresti farmi credere che adesso fai parlare i tuoi personaggi anche attraverso le scelte cromatiche? Ma vaffanzappa! Nessuno lo fa. Perché tu dovresti?
E non ho mica finito... ti prendi tutto questo tempo per scrivere una storiaccia che sembra la caricatura di un episodio dell’Ispettore Derrick, e di che parli? Ci sbatti dentro gli ultimi, neanche a farlo apposta proprio quelli nell’occhio del ciclone in questi mesi. E la cronaca. Quella assente, quella a margine, quella che nessuno vuole ascoltare, minchia di un cane!
E l’ironia, maledetto! Quell’ironia che... fa male! E non dovrei odiarti? Volerti vedere finito? Umiliato? Ridotto a un grumo di muco che frigge sull’asfalto cocente? Ma li hai letti i fumetti italiani popolari? Hai imparato niente nella vita? I personaggi di carta non parlano così. Non rompono il cazzo al lettore pretendendo di saltare fuori dalla pagina, e soprattutto...
Ma che dai in ciampanelle?! Non ti perdonerò mai!
Perline è l’inizio della tua fine. I calci nel sedere potevo anche sopportarli. Ma un colpo al cuore, no. Per questo non c’è perdono. Dicano pure, i cretini, che sei un artista come in Italia non se ne vedevano da tempo (ne avessi una sporta). Che migliori a ogni uscita (in malvagità e tracotanza). Che la qualità dei tuoi fumetti e la particolarità della tua arte fanno di te un personaggio unico da leggere assolutamente (per poi morire disperati). Adesso basta, qualcuno deve fermarti prima che tu faccia troppi danni. Il mercato è già in crisi, e non ha bisogno che una scheggia impazzita come te, come Mimì (ma la sua squinzia, sempre in topless, si chiama Michela o Miriam, diascane?!), come Tony Capatonda e il loro malefico microcosmo, apra altre brecce alla sperimentazione. Non ti darò tregua, e quando non passerai le notti turbato da incubi raccapriccianti in cui il commissario Corrado Cattani ti strizza le palle fino a farti decolorare ogni singolo pelo del corpo, saprai che dietro ogni angolo, ogni spigolo acuminato, sotto ogni chewingum incollato sul posto a sedere del tram, sotto ogni cacca di cane che ti appresti a pestare, potrei esserci nascosto io. E quando l’angoscia ti avrà consumato e ti avrà reso l’ombra di quello che sei (altro del paperotto allampanato che usi come controfigura), il Caneminchia mostrerà i denti. Ti salterà alla gola e succhierà quel brodo di pollo che ti scorre nelle vene. Devo distruggerti, affinché l’ossessione che ho per te e il tuo discutibilissimo modo di fare fumetto non mi costringa ad acquistare e leggere ogni singola stronzata porti sopra il tuo odiato nome: Makkox! Potrebbe andarmi in vacca il cervello. Anzi, è già così. Ed è tutta colpa tua...
Perline, me le chiama!
Sticazzi! Non lo dovevi fare...
Fammi un po’ capire, MakCocks...
Davvero pensavi di passarla liscia? Sei talmente pieno di te da sentirti in una botte di ferro?
Prima fai aspettare i tuoi lettori DUE MESI. Poi (squillino le trombe) sforni un terzo numero del Canemucco con i crismi del One-Man-Show. Così, quasi ti fosse scappata una goccia troppo generosa dal pannolone. Opsss! Dovevi dimostrarlo per forza, vero? Che quella goccia era la più limpida, la più frizzante, la più buona, neanche fosse acqua Rocchetta che ti fa diventare bella, alta e Miss Italia. Cerrrrrto. Nessuno doveva dubitare che eri in grado di mettere su un albo tutto da solo, senza zavorra né rete di sicurezza. E sì! Subdolo come sei, questo era un colpo di mano che sicuramente progettavi da tempo. E questo, poi! Questo Perline qui! Questo racconto che puzza di sociale, di coscienza malata (come la tua, semplicemente fetida!), e della più sporca, la più putrida, feroce delle redenzioni. Puah! Okay, okay! I pensieri infilati come perline in un ago fino a formare una collanina... un braccialetto... o una storia di Makkox. Tutte queste carinerie, simili a una graziosa e profumata pianta carnivora che ti alletta, ti blandisce e... ZAFFE!
Ma dico! La presenza dell’acqua, buia e gelida, sin dal principio... Questo cavolo di incipit sommessi pronti a uncinarti le budella neanche fossi Ian McEwan (ma cosa sogni? Il premio Pulitzer?). Quegli stronzissimi, improvvisi lampi di crudeltà, talmente asciutta e somministrata a tempo da sembrare quasi poesia. Ma si può sapere chi ti credi di essere? So io dove te lo dovrebbero cacciare quell’ago, pensa tu. Per poi tirarlo fuori e ricominciare daccapo. Te la combino io una bella collanina. Non ti bastavano due numeri di una rivista così fuori dal coro? Dovevi per forza andare oltre! Beh, la pacchia è finita, Mak. Le lodi da due soldi le lasciamo ai radical chic del fumetto. I tuoi lettori fanatici possono farsi un giro, nessuno ti proteggerà. Vedrai! quando meno te lo aspetti, ti raggiungerò nel sonno, e ti darò la sonora lezione che meriti.
Chi sono? Dai, sapevi che sarebbe successo. Basta poco. Un po’ di rumore in rete, quattro disegni fatti con la mano manca, un minimo di popolarità... la reazione chimica giusta perché il caos generi la tua immagine speculare. Stavolta, Mak, vengo alle rotte. Davvero, non ti digerisco neanche col bicarbonato. Ti detesto e voglio farti del male. Sono la tua nemesi: il Caneminchia! Pronto ad addentarti le chiappe fino a spremerne sangue nero. E non ti darò tregua, né allenterò la presa...
Perché questa non me la dovevi proprio combinare.
In giro, un coglione ha scritto che i tuoi fumetti ricordano il teatro. Sì, quello dei Pupi. Le tavole di Perline a me ricordano proprio quei fondali lì, dove Bradamante e qualche moro se le danno con grande strepito perdendo vituzze e chiodini su tutte le assi del palcoscenico. Solo che sul TUO palcoscenico, tutto seminato di ciarpame tagliente, gli spettatori tu ce li fai BALLARE A PIEDI NUDI, pezzo di sadico depravato! Non contento, gli cacci pure le dita negli occhi. Con quelle splashpage descrittive e dense che levati. Certo che nella tua sconfinata presunzione, riterrai che queste siano il mezzo per rallentare il racconto e introdurre (tacendo, per fortuna) i pensieri più riposti dei personaggi. Tavole intere dedicate a questo per accaparrarti l’intero albo, egocentrico della madonna. Macchie di colore da accecare un daltonico. A qualche boccalone, digiuno del buon fumetto, darai pure a bere che non lo fai a benefizio di natura. Ma non vedrai scodinzolare il Caneminchia alla tua corte, no. Lascia pure che gli sprovveduti pensino che usi il colore per comunicare a un livello profondo, e non in modo assolutamente casuale o solo perché ti attizza l’effetto di quella tinta. Il cromatismo che diventa una sola cosa con la narrazione... figuriamoci! L’azzurro e il color sabbia per introdurre un clima leggero e vacanziero, dove prevalgono toni pastello, squarciati ogni tanto da prosaici grigioverdi o vampate di ocra tiepido. Poi, d’un tratto: quel rosso cupo e quel giallo acido. Tosti come la collera, come l’amarezza, come il dolore. Vorresti farmi credere che adesso fai parlare i tuoi personaggi anche attraverso le scelte cromatiche? Ma vaffanzappa! Nessuno lo fa. Perché tu dovresti?
E non ho mica finito... ti prendi tutto questo tempo per scrivere una storiaccia che sembra la caricatura di un episodio dell’Ispettore Derrick, e di che parli? Ci sbatti dentro gli ultimi, neanche a farlo apposta proprio quelli nell’occhio del ciclone in questi mesi. E la cronaca. Quella assente, quella a margine, quella che nessuno vuole ascoltare, minchia di un cane!
E l’ironia, maledetto! Quell’ironia che... fa male! E non dovrei odiarti? Volerti vedere finito? Umiliato? Ridotto a un grumo di muco che frigge sull’asfalto cocente? Ma li hai letti i fumetti italiani popolari? Hai imparato niente nella vita? I personaggi di carta non parlano così. Non rompono il cazzo al lettore pretendendo di saltare fuori dalla pagina, e soprattutto...
Ma che dai in ciampanelle?! Non ti perdonerò mai!
Perline è l’inizio della tua fine. I calci nel sedere potevo anche sopportarli. Ma un colpo al cuore, no. Per questo non c’è perdono. Dicano pure, i cretini, che sei un artista come in Italia non se ne vedevano da tempo (ne avessi una sporta). Che migliori a ogni uscita (in malvagità e tracotanza). Che la qualità dei tuoi fumetti e la particolarità della tua arte fanno di te un personaggio unico da leggere assolutamente (per poi morire disperati). Adesso basta, qualcuno deve fermarti prima che tu faccia troppi danni. Il mercato è già in crisi, e non ha bisogno che una scheggia impazzita come te, come Mimì (ma la sua squinzia, sempre in topless, si chiama Michela o Miriam, diascane?!), come Tony Capatonda e il loro malefico microcosmo, apra altre brecce alla sperimentazione. Non ti darò tregua, e quando non passerai le notti turbato da incubi raccapriccianti in cui il commissario Corrado Cattani ti strizza le palle fino a farti decolorare ogni singolo pelo del corpo, saprai che dietro ogni angolo, ogni spigolo acuminato, sotto ogni chewingum incollato sul posto a sedere del tram, sotto ogni cacca di cane che ti appresti a pestare, potrei esserci nascosto io. E quando l’angoscia ti avrà consumato e ti avrà reso l’ombra di quello che sei (altro del paperotto allampanato che usi come controfigura), il Caneminchia mostrerà i denti. Ti salterà alla gola e succhierà quel brodo di pollo che ti scorre nelle vene. Devo distruggerti, affinché l’ossessione che ho per te e il tuo discutibilissimo modo di fare fumetto non mi costringa ad acquistare e leggere ogni singola stronzata porti sopra il tuo odiato nome: Makkox! Potrebbe andarmi in vacca il cervello. Anzi, è già così. Ed è tutta colpa tua...
Perline, me le chiama!
Sticazzi! Non lo dovevi fare...
Questa recensione è stata pubblicata anche su Fumettidicarta.
[Articolo di Filippo Messina]
Nessun commento:
Posta un commento