Un altro Color Fest per l’Indagatore dell’Incubo. Quarto di una collana partita come annuale che da questo numero diventa semestrale. Il primo, pare, di una serie di albi tematici, che esordiscono esplorando il territorio della comicità. O almeno così pare. Sin dalla nota introduttiva in seconda di copertina, infatti, il tiro sembra essere leggermente corretto. Non che ci sia nulla di male, anzi. La premiata ditta Bonelli può confidare in uno zoccolo duro di lettori irriducibili, ma anche in personaggi che nel corso di decenni, sia pure con alti e bassi qualitativi, sono riusciti a lasciare un’impronta profonda nell’immaginario collettivo fino a diventare vere icone popolari. Su tutti Tex Willer, praticamente il genere western incarnato. Così Dylan Dog, partito in quarta negli ormai lontani anni 80 come fumetto horror, per poi variare nel tempo la sua formula, stemperandola con ingredienti eterogenei. Tra l’altro, sembra che Dylan si trovi sempre più a suo agio nei racconti brevi più che nelle storie ad ampio respiro. La sua attuale dimensione surreale carbura ottimamente in piccoli incubi veloci, mentre mostra ormai spesso la corda nella serie regolare. Questo Dylan Dog Color Fest 4 – Humor, ha l’effetto di una piacevole rimpatriata con un vecchio amico. I quattro episodi, scritti e disegnati da artisti solitamente attivi nel campo dell’umorismo si leggono con facilità e sono un diletto per la vista. Conta poco che l’umorismo promesso nel titolo dell’albo non superi realmente i livelli di guardia cui siamo abituati dalle ordinarie sceneggiature della serie. Abbiamo quattro racconti brevi condotti in modo sufficientemente fresco, disegnati benissimo e calibrati per suscitare simpatia, nonché nostalgia in quei lettori che ormai hanno con Dylan un rapporto di frequenza non regolare.
Umorismo per immagini, dunque, più che per contenuti. Il surreale (spesso demenziale) è quello che conosciamo. E bisogna dire che gli illustratori scelti per questo albo lo cavalcano alla grande. La copertina di Silver (Guido Silvestri) è a suo modo un piccolo capolavoro che rilegge la cover dello storico numero uno, L’alba dei morti viventi. Silver colloca un trasfigurato Indagatore dell’Incubo tra talpe, cani e galline in versione zombi. Un biglietto da visita riuscito, come dire che il cast di Lupo Alberto ha scavalcato il recinto della sua fattoria e ha occupato lo studio in Craven Road.
L’episodio Manichini, scritto da Tito Faraci e disegnato dal sempre bravissimo Giorgio Cavazzano, è un piccolo classico della demential comedy dylaniata. Ormai è chiaro che Cavazzano potrebbe far suo qualunque personaggio, anche quello nato con gli intenti più cupi. Con Dylan si trova perfettamente a suo agio nel ritrarre belle pupe, marinai fortemente caratterizzati e mocciosi irritanti. Un incubo frenetico e coloratissimo scandito da un dialogo essenziale e ritmato.
In Una situazione pesante, Lorenzo Bartoli e Massimo Carnevale ribaltano lo spunto de L’occhio del male di Stephen King con esiti non meno grotteschi. Anche qui abbiamo l’ennesima, piacevole declinazione di un concept classico, dove Dylan attraversa un inferno personale in una vicenda fatta di magia, amore e percezione distorta del sé. Massimo Carnevale illustra Bartoli (qui alla sua prima, felice esperienza su Dylan Dog) con una forza pittorica insolita e molto interessante per un Bonelli. Deliziosamente in bilico tra scherzo e incubo, con un gusto agrodolce che non dispiace.
Morire dal ridere potrebbe essere l’episodio più debole di questa quadrilogia. Lo è sin dall’intenzione iniziale, cioè quella di creare una sottile storia portando in scena battute e barzellette, per lo più ripescate dal repertorio normalmente affidato al personaggio di Groucho. Il disneyano Bruno Enna fa comunque un lavoro diligente, riuscendo nel compito non facile di conservare l’attenzione del lettore fino alla fine dell’episodio. E’ ad ogni modo aiutato moltissimo da uno scatenato Fabio Celoni, che conferisce a ogni comparsa una caratterizzazione grafica vicina alla perfezione.
L’albo si chiude con La lettera bianca, l’episodio forse più fuori tema nella cornice umoristica con cui il volumetto si propone. Un racconto che parla di consapevolezza e di rassegnazione, ma anche di amicizia, del valore delle parole e di quel che lasciano anche quando non possono più essere pronunciate. Un concept che ammicca ancora una volta vagamente a Stephen King e al suo I Langolieri. Una parabola sul tema della memoria con al timone un misurato Giovanni Gualdoni (sarebbe stato facile cadere nel patetismo più scontato, ma il compito è svolto con grande pulizia) e un grandissimo Corrado Mastantuono (qui coadiuvato da Stefano Intini), che chiudono l’albo dedicato all’umorismo con un piccolo sussulto di commozione.
Dylan Dog, serie in edicola ormai da oltre vent’anni, avrebbe potuto implodere già da tempo. Questo numero del Color Fest dimostra che forse ha solo bisogno di nuova linfa e di reinventarsi, aprendosi a stili sempre differenti. Del resto, il mondo del fumetto è vasto e vario. E conservare un amico come l’Indagatore dell’Incubo, con i suoi tic e le sue avventure surreali, può dimostrarsi sempre una piccola, comoda consolazione.
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