La pellicola del regista Narciso Ibáñez Serrador, al pari di altri titoli di genere prodotti negli anni settanta, ha fama di cult maledetto, ed è annoverato dagli appassionati dell'horror tra i piccoli capolavori di una cinematografia malsana che ha infuso nuova linfa al racconto di spavento.
Beh, di solito c'è molta leggenda in certi miti d'annata della cinematografia horror. Ma stavolta non è così. Questo film è DAVVERO terrificante.
Il plot è semplicissimo. Una coppia di turisti americani, durante un viaggio di piacere in Spagna, approdano su una piccola isola nota per la sua quiete. La donna aspetta un figlio, e desidera sfuggire allo stress delle mete turistiche più affollate. Sotto il sole cocente di un affascinante villaggio irto di case bianche, scopriranno che il silenzio del posto nasconde qualcosa di tremendo. Gli adulti sono tutti morti, massacrati da un esercito di bambini improvvisamente impazziti. I pochi superstiti si nascondono come possono, braccati dai piccoli assassini che uccidono le loro vittime con aria innocente e divertita, proprio come se stessero giocando. A mano a mano che il racconto incalza, scopriamo che gli abitanti del luogo sono morti increduli, senza neanche tentare una difesa contro lo sconcertante nemico. Perché - per l'appunto - chi potrebbe uccidere un bambino?
Gli sviluppi del racconto ribaltano l'orrore storico ricorrendo a un contrasto classico nell'immaginario horror: il bambino, di norma simbolo di innocenza, trasformato in incarnazione del male assoluto. Che sta succedendo? E' forse in atto una rivolta dell'infanzia contro l'ottusità degli adulti? Follia collettiva? Un crudele capriccio dell'evoluzione? O si tratta dell'inizio di una subdola invasione aliena?
Il film ci mostra una cruda rappresentazione della pulsione più primordiale dell'essere umano. Quella violenza che, priva dei freni inibitori dell'età adulta, non ha bisogno di alibi politici per iniziare una guerra, sguazzando nella prevaricazione e nel sangue per il puro gusto di farlo.
Lontano dagli eccessi ultrasplatter di altre pellicole (ma di sangue ne scorre ugualmente!) "Come si può uccidere un bambino?" si basa sulla trasgressione a un antico tabù: nuocere a una creatura nel suo primo stadio di vita, quando dovrebbe essere più innocente e indifesa. Dopo un inizio lento e ossessivo, il ritmo del racconto diventa a un tratto serrato, stringendo lo spettatore in una morsa di angoscia. L'uso dei silenzi, dei rumori improvvisi e di colpi di scena abilmente distribuiti, preparano a flash di orrore psicologico realmente disturbanti.
Giustamente, certi critici hanno accostato alcune sequenze di "Quien puede..." a "Gli Uccelli" di Hitchcock. Stessa assenza di risposte, stesso crescendo da incubo e scene memorabili in cui la schiera di terribili pargoli in silenziosa attesa ricordano lo stormo di volatili pronti ad attaccare l'uomo. Ma non mancano anche parallelismi con un altro cult: "La Notte dei Morti Viventi". Come nel film di Romero siamo in presenza di una parabola sociale portata alle estreme conseguenze. Anche qui gli effetti speciali sono praticamente inesistenti, mentre viene dato spazio a un parossismo di tensione, e soprattutto una sequenza, significativa e amarissima, ci rammenta la forza trasgressiva del padre di tutti gli zombi-movies.
La visione di questo film (veramente un bell'horror!) lascia nello spettatore una sensazione di disagio e di genuino raccapriccio. E' anche un'occasione per rivedere la bella e compianta Prunella Ransome, apparsa nei primi anni ottanta nello sceneggiato televisivo "L'Isola del Gabbiano". Ma tutto il cast (pochissimi attori) è semplicemente splendido. Il film pone una quantità di interrogativi sulle vere radici della violenza, sulla sua gratuità, e sulle connessioni che questa può avere con gli aspetti più spontanei e in apparenza innocenti della natura umana.
Forse questo insolito horror spagnolo vuole ricordarci anche che i bambini, per crescere, hanno bisogno della presenza costante degli adulti. Del loro esempio, della loro guida illuminata. E che troppo spesso, questi ultimi, sottovalutano gli eccessi selvaggi dell'infanzia e della prima adolescenza, ripetendo a se stessi e ad altri che "sono solo bambini... e bisogna lasciarli fare". Forse perché anche gli adulti, dopotutto, non sono che bambini cresciuti fisicamente. E detestano essere interrotti mentre stanno giocando.
Una leggerezza che, col passare degli anni, può rivelarsi tragicamente colpevole
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