domenica 5 novembre 2006

UN’OSCURA, SPLENDIDA, VISIONE

"A Scanner Darkly - Un Oscuro Scrutare" di Richard Linklater, è sicuramente uno dei film più bizzarri dell'attuale stagione cinematografica. Tratto da un romanzo di Philip K. Dick, autore di una fantascienza politica e personalissima, è anche uno dei pochi titoli che non tradiscono le atmosfere malate e deliranti della propria fonte letteraria. Elemento che forse sta un po' penalizzando la pellicola presso il pubblico più giovane, abituato alle edulcorazioni spielberghiane di "Minorty Report", anche questo ispirato (stavolta a un racconto breve) di Dick.
Il film è interamente realizzato con la tecnica del rotoscoping. Gli attori sono cioè stati trasformati in cartoni animati, conservando fisionomie ed espressività proprie degli interpreti. Il risultato è straniante e non sempre gradevole. L'intento non sembra essere quello di inaugurare una nuova frontiera del cinema d'animazione, ma di generare un'atmosfera in perfetta sintonia con la trama labirintica e allucinata concepita da Dick.
Philip K. Dick scrisse "A Scanner Darkly" per dedicarlo agli amici scomparsi o rimasti gravementi lesi a causa delle droghe pesanti.
Il film, come già il romanzo, può infatti essere visto come un pamphlet sugli stupefacenti (in particolare la cocaina) e un'analisi sui perché sociali che conducono l’individuo a farne uso.
Un tema è sempre stato cardine nella poetica di Dick, ed è la percezione della propria identità, frantumata e svilita dai mille condizionamenti del mondo moderno. Per Dick, le meccaniche sociali, le tecnologie, i farraginosi interessi politici, manipolano e distruggono l’unicità dell’individuo minandone ogni certezza. Dai replicanti di “Blade Runner” ai giochi mentali di “Total Recall – Atto di Forza”, avevamo conosciuto il dramma di un’esistenza vissuta in bilico tra più identità incerte, metafora di una deriva morale che fatica a riconoscere il proprio posto nell’universo. Tuttavia, finora, i meccanismi hollywoodiani avevano inserito molti elementi avventurosi e d’azione che stemperavano in parte la forte carica angosciante dei racconti cui erano ispirati.
Per “A Scanner Darkly” il discorso cambia. Tanto per cominciare, la particolare tecnica di “quasi animazione” che lascia comunque intravedere le performance degli interpreti sotto i colori sgargianti da fumetto, catapulta lo spettatore in un vero incubo a occhi aperti. I presupposti della storia sono presto detti. Bob, un agente di polizia è infiltrato in una banda di tossici per indagare sulla produzione della Sostanza M, una nuova e letale droga il cui uso si sta diffondendo a macchia d’olio. Il corpo investigativo cui Bob appartiene, fa uso tra l’altro di una particolare tuta per nascondere la propria identità. Un involucro tecnologico dalle potenzialità psichedeliche, che alterna continuamente le caratteristiche fisiche di ogni tipologia umana esistente rendendo irriconoscibili gli agenti celati all’interno. Un vero incubo per lo spettatore, costretto a una concentrazione oggi rara nelle sale cinematografiche. Il gioco di inganni, i deliri ispirati dalla droga, lo stesso inumano sistema di mimetizzazione, finirà col minare in modo devastante la mente di Bob.
Quella di Philip K. Dick è una parabola sulla perdita di se stessi e sulla fragilità dell’identità dell’uomo moderno, oltre che un poderoso atto d’accusa sia contro la diffusione delle droghe pesanti che contro i metodi spietati adottati dalle istituzioni per combatterle. Come spesso accade nelle pagine di Dick, la demarcazione tra bene e male, giusto e sbagliato si fa molto vaga quanto più ci si avvicina al finale. L’intero film è basato sul dialogo. Un teatro dell’assurdo a tratti comico, spesso spiazzante, che gronda una sconfinata, intelligente tristezza.

“A Scanner Darkly” non sarà un capolavoro. Ma è sicuramente un film fuori dagli schemi, e non solo grazie alla trovata visiva, peraltro affascinante. Una pellicola che, grattata via per una volta la patina degli action movies, ci restituisce un Philip K. Dick paranoico, onirico e criptico. Molto più vicino al paladino della controcultura che emerge dalle pagine memorabili dei suoi libri.

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