mercoledì 2 marzo 2022

West Side Story: una sorpresa

 


Finalmente sono riuscito a vedere "West Side Story" di Steven Spielberg. Me l'ero perso al cinema per i soliti motivi (non posso andarci troppo spesso, e l'hanno tenuto pochissimo). Dopo averlo recuperato devo fare una riflessione che suona anche un po' come una confessione. Mi sono reso conto che ero discretamente prevenuto. Anche curioso, per carità. Spielberg che si misurava con un classico, musical storico di Leonard Bernstein e film mitico (premiato con un doppio oscar a film e regia) diretto da Robert Wise nel 1961.

Però c'era una recalcitranza di base, che magari non ammettevo con me stesso, e che oggi, dopo aver visto il film del 2021, mi interessa provare a spiegarmi.


Sì, perché "West Side Story" di Steven Spielberg, per come la vedo io, realizza un piccolo miracolo cinematografico, e riesce ad attualizzare quello che ritenevo impossibile traghettare nel nuovo secolo. Ho iniziato a vederlo, come dicevo, per curiosità, e con una certa prevenzione, ma sin dai primi minuti lo spettacolo mi ha completamente conquistato. I numeri musicali sono spettacolari, le canzoni di Bernstein sono quelle, ma rese al meglio, giacché calate in un contesto che funziona perfettamente. Insomma, l'effetto "puro omaggio" o "remake" non esiste. "West Side Story" del 2021 ha un'identità propria. Vive della regia, delle caratterizzazioni e delle coreografie (originali). In parole povere, è un gran bel film.
Perché allora il mio pregiudizio?
Devo ammettere che è stato spazzato via talmente in fretta che faccio fatica a ricordarlo. Io ho sempre avuto simpatia per il musical, pertanto non si trattava di questo. Forse una certa reverenza nel confronto del film di Wise del 61, e certe convinzioni che accompagnano la nostra percezione dei classici. Per capirci, poteva essere facile pensare che senza Natalie Wood non c'era storia, ma anche che la tragedia di "Romeo e Giulietta", più volte adattata in abiti moderni dopo i fasti musicali aveva ormai dato, e che non c'era nessuna necessità di rifare proprio "West Side Story".



E in effetti... necessità non ce n'era. Non ce n'è. Ma considerato i risultati non ce n'è neppure bisogno.
La verità è che probabilmente ho sottovalutato la capacità di Spielberg di aggiornare il materiale, così come i personaggi e lo scenario. Chissà se per molti spettatori che hanno ignorato il film decretandone il flop in sala, il ragionamento sia stato simile. Neppure un vero ragionamento, in fondo. Solo una pulsione. E una frase. "West Side Story" è un bel musical, ma anche datato. Quindi, soprassediamo.
E invece no.
Probabilmente gli haters del politicamente corretto troveranno pane per i loro denti. Spielberg infonde molta modernità alla classica storia di matrice shakespereana, modificando qualche carattere, introducendo il tema della sessualità transgender, e suggerendo che nel rifiuto da parte delle nuove generazioni si annida solo ignoranza e paura di ciò che è nuovo (il fantasma attualissimo dell'immigrazione). Ma anche al di là di questi elementi, di per sé già interessanti, la confezione risplende ed è veramente magnifica.
"West Side Story" acquista una sua nuova valenza epica (non solo romantica) e ci propone un film drammatico e musicale che va oltre il genere. Si fa film d'autore, forse tra le cose migliori firmate dal regista americano negli ultimi anni, e smentisce con eleganza ogni pregiudizio. Il mio per primo.
Speriamo che la candidatura agli oscar permetta al film di riguadagnare qualche giorno di programmazione in sala, perché vederlo sul grande schermo sarebbe l'esperienza migliore.

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