mercoledì 26 febbraio 2020

L'impero delle ombre [di Kim Jee-woon]


E' allucinante che io mi debba sentire inibito a parlare di cose che apprezzo solo perché l'Oscar a Bong Joon-Ho ha scatenato due fazioni, tra cui alcuni soggetti pronti a disturbarti con toni che posso definire solo maleducati. Chi sta scoprendo il cinema sud-coreano (o asiatico in generale) soltanto adesso (non sarebbe il mio caso, ma in verità la trovo una cosa legittima) e cinefili integralisti che ti accusano di seguire un trend in modo acritico (perché naturalmente leggono solo quello che vogliono leggere e il loro unico fine è sentirsi migliori di qualcun'altro). Invece no, torno alle mie abitudini di condividere i miei pensieri sull'arte parlando de "L'impero delle ombre" di Kim Jee-Woon (regista di "Two Sisters", "Il buono, il matto, il cattivo", "I Saw the Devil" e tanto altro). Anche qui parliamo di un film arrivato da noi solo per l'home video, e anche in questo caso ingiustamente ignorato dal vasto pubblico (e non perché dovremmo imparare qualcosa dai cineasti orientali... ma perché è un cinema molto valido che è cibo per l'anima, e vale la pena di conoscerlo). Quando l'ho visto mi sono scoperto a interrogarmi sul titolo, sia italiano che internazionale. Ritengo che "L'impero delle ombre" sia un po' fuorviante. Il titolo in inglese è "The Age of the Shadows", quindi l'Era delle ombre... o meglio "delle tenebre". Penso che potremmo tradurlo più fedelmente dicendo "Gli anni bui". Il titolo originale "Mil-jeong", credo significhi "Agente segreto", ma non ne sono sicuro. Perché tutto questo girare intorno al titolo? Perché in molti siti ho trovato il film di Kim Jee-Woon definito come una "spy story", quando in realtà è qualcosa di molto diverso. E' un film drammatico, un film di guerra, storico, un racconto di scelte, di onore e tradimenti, di doppi giochi... e sì, è anche un thriller politico, confezionato con una notevole potenza visiva ed emotiva. Ambientato nella Corea degli anni venti durante l'occupazione giapponese, è una storia di resistenza e di riscoperta di un'identità, da parte di soggetti che l'hanno in parte persa e devono (forse, chissà) ricostruirla insieme al senso di appartenenza a un paese sotto il tacco di una potenza autoritaria. "L'impero delle ombre" può essere letto su molti livelli, una cronaca, per l'appunto, della resistenza coreana di quegli anni bui, un racconto di suspense in cui tutti fingono e non sai mai se credere a ciò che senti. Qualcuno ha accostato certe sequenze del film al cinema di Brian De Palma (la famosa, lunga scena del treno). Mi astengo dal dare conferme o smentite che (onestamente) non mi competono. Dirò solo che il film di Kim Jee-woon riesce a coniugare benissimo l'aspetto del thriller con quello della ricostruzione storica, del messaggio politico, dell'inno alla resistenza, dell'esortazione alla dignità e alla lotta contro tutti i totalitarismi. E non si può non sottolineare la presenza di Song Khang-ho, un viso che ormai è noto anche dalle nostre parti, e un attore camaleontico come pochi. Insomma, moda o non moda, ossessioni esterofile o meno, se non lo avete ancora visto, "L'impero delle ombre" di Kim Jee-woon è un film che vi consiglio spassionatamente di recuperare. Perché c'è solo da imparare. Dalle cose belle, intendo. Ed è un peccato che debba specificarlo.

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